Le vacanze che erano davvero… vacanze.

L’ESTATE DI UN TEMPO


Memorie d’Estate. Dell’Estate (come) era un tempo. Ed ora non è più.

Le vacanze che erano davvero… vacanze. Un lungo iato, un vuoto, tra la fine delle scuole, a inizio giugno, e la loro riapertura. Rigorosamente al primo di Ottobre. Giorno di San Remigio.

Uno spazio immenso, che ti si apriva davanti. E che dovevi riempire di cose, di momenti, di avventure…

Ma non era, poi, così difficile. Un’Italia più semplice… povera di cose, forse, ma molto, decisamente molto più ricca di emozioni.

E sono le emozioni che colmano i vuoti. Non le cose. Quelle affollano solo le cantine. Ingombrano. E in vacanza, per stare bene, bisogna essere leggeri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dunque, le vacanze italiane di tanti, tantissimi anni fa…. oddio proprio così tanti non sarebbero, perché basterebbe andare indietro di poco più di mezzo secolo… ma, si sa, il Tempo è sempre relativo alla nostra percezione. Non è, come si vuole credere, qualcosa di rigido. Meccanico. E questi cinquant’anni (o poco più) sembrano, a guardarli, ben più di alcuni secoli del passato. Perché le differenze tra allora ed oggi sono profonde. Abissali. E quelli come me, che questi decenni si sono ritrovati a vivere, stentano a raccapezzarsi. A conciliare la memoria con il presente.

Il problema è stato causato dalla Tecnica. Il suo sviluppo vorticoso, ha cambiato radicalmente, il mondo in cui viviamo. La Tecnica, sottolineo. Non la Scienza, di cui oggi tanto ci si riempie la bocca. Perché quanto a Scienza e Conoscenza se ci si dovesse misurare con i primi del ‘900, si farebbe una ben magra figura. Ma la Tecnica, appunto, è altra cosa. Come spiegava bene già Platone. E così, in cinquant’anni, il nostro mondo è diventato più ristretto. Le comunicazioni pervasive. Gli spostamenti sempre più rapidi. E la nostra vita è cambiata in modo molto più radicale che in tutti i secoli che vanno dal crollo dell’Impero Romano sino al Secolo dei Lumi…

Tre mesi di vacanze. Oggi sembra quasi impossibile immaginarlo. Eppure era così. Vacanze vere… in città, al mare, ai monti… ma comunque vacanze. Un ozio beato, con i libri, le passeggiate, i tuffi… le infinite chiacchierate con gli amici, seduti in spiaggia, al margine del bosco… camminando senza meta per le vie della sera.

Una fetta d’anguria mangiata ad un baracchino. Un cono gelato. Un muretto su cui riposare.

E parlare di tutto. Di calcio e ragazze. Del futuro, del recente passato, ché si era giovani e, come dice Leopardi, breve della memoria il corso.

Era l’Italia che chiudeva in agosto. Gli assalti ai treni per il Sud, con gli immigrati meridionali, fagocitati dalle grandi fabbriche del Nord, che tornavano per le ferie nei loro paesi.

Le interminabili file di automobili, per lo più utilitarie. Ché la macchina era il primo, vero, segno del benessere di un paese finalmente usciti dagli stenti del dopoguerra.

Le scuole chiuse per tre mesi ed oltre. Senza che questo abbia mai nuociuto alla preparazione dei ragazzi… anzi.

 

 

 

 

 

Le code, nelle località balneari e montane, davanti alle rare cabine telefoniche. Per chiamare chi era restato a casa. Con una manciata di gettoni (li ricordate?).

Era il paese delle pensioncine. Spesso senza neppure il bagno in camera. Tanto si andava in acqua al mare, e ci si faceva la doccia in spiaggia.

Delle famiglie che andavano sul bagnasciuga con lasagne, polpettoni, torte. E fiaschi di vino o bottiglioni di birra a buon mercato.

Mare e montagna. Vacanze lunghe. Sempre negli stessi luoghi. Gli stessi amici, che ritrovavi di anno in anno… stessa spiaggia, stesso mare… non cambiare. Le abitudini, e la loro sicurezza, te le portavi dietro…

Il mondo era semplice. Niente SPA e piscina… nella Pensione – erano pensioni, allora, pochi alberghi, gli hotel una cosa remota, quasi un miraggio… – .. un menù fisso. Primo, secondo, contorno. Frutta. La domenica, Dolce. Fatto in casa.

La colazione, pane, burro e marmellata…

 

Per guardare la televisione dovevi andare al bar del paese. La sera. Ma lì ti interessava di più il jukebox.

Nello Chalet al Lago, come in tanti altri, si ballavano i lenti. Luci soffuse. Cercavi di stringere una ragazza, che per tutta la sera si scherniva. O fingeva di schernirsi.

La mattina ti svegliavi sempre presto. Ha l’oro in bocca, ti dicevano. E andavi a camminare. Muovere le gambe, nell’aria fresca, o perlomeno non ancora rovente, muoveva i pensieri. Freschi anch’essi. Erano i momenti migliori. Di un’inspiegabile felicità.

E la notte dormivi con le finestre spalancate, se vi era afa. Non esistevano i condizionatori, grazie a Dio!

Una partita a biliardino, due calci al pallone, flipper, rubabandiera… si tirava in lungo sino alla mezza.

C’era da studiare per il prossimo anno scolastico. Ma era un problema che si affacciava a settembre… se non fosse che ti avevano rimandato. Da riparare, una, due materie.

Ma se eri tranquillo, promosso a giugno, allora potevi leggere. Tanto. Tanti libri, trovati a caso sulle bancarelle o all’edicola del paese.

Robetta. Per lo più gialli. Ma fu così che scoprii Wodehouse. Un saggio storico sull’Impero Moghul. Babur e Akhbar, il Taj Mahal…

Il racconto di Bloody Shiloo, la grande battaglia dei cavalieri sudisti di Beauregarde. Le Quattro Sonate di Ramòn de la Valle Inclàn.

Le poesie di Auden.

I romanzi di Fleming con James Bond.

“Bella vita e guerre altrui di mister Pym, gentiluomo”(1) di un Barbero ancora sconosciuto… resta il suo libro migliore.

Bruce Chatwin. Il sogno dell’alternativa nomade…

Gli incubi di Lovecraft.

Il Conan di Cimmeria e l’età Hyboriana di Howard.

Roba così. Presa a caso. E divorata sotto l’ombrellone. O meglio ancora nella penombra di un bosco di conifere.

Frammenti di memorie soprattutto.

Di vacanza perdute.

Di un mondo ormai perduto

Adele Piazza
Andrea Marcigliano

 

 

 

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Descrizione

1806. Gli Stati Uniti inviano in Europa Mr. Pyle per cercare di “capire qualcosa” della convulsa realtà politica del Vecchio Mondo. Da Amsterdam alla Prussia di Federico Guglielmo, questo libro è il diario del suo viaggio e delle sue avventure di galante spia ante litteram , un diario scritto sui tavoli delle osterie o nei palazzi dei principi, per strada, sui campi di battaglia, tra i mille incontri con personalità come Goethe e Fichte, e un’indimenticabile folla di personaggi, ragazze da bordello, contadini, soldati.

 

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