Negli ultimi dieci anni (proprio quelli contraddistinti dalla crisi) l’Italia ha assistito ad un vero e proprio boom che per una volta non riflette le difficili condizioni economiche del Paese: quello di scuole e laboratori per diventare scrittori di professione.

   Ma è possibile insegnare scrittura creativa? Se è creativa come può esser frutto di una disciplina, di tecnica e lezioni? È un’obiezione che ho sempre condiviso, con due aggravanti. Una proviene dai guasti recenti della finanza creativa e di altri rami ove «creatività» è un eufemismo per dire improvvisazione, raggiro, fuffa, vaghezza.

La prima scuola fu quella di Raffele Crovi, nell’83. Poi venne la stagione di Giuseppe Pontiggia, dall’85 al ’95. Si deve a questi due guro dell’editoria il merito o la colpa di avere avviato in Italia i corsi di scrittura creativa. Che ormai hanno invaso la Repubblica, o meglio il Centro e il Nord d’Italia, perché al Sud faticano ancora a insediarsi. Il vero numero non è certo, ma siamo nell’ordine di 120/130, tra corsi più o meno sporadici e vere scuole.

Nel ’95 Pontiggia lasciò il suo corso, che si teneva al teatro Verdi di Milano, passandone il testimone a Laura Lepri, editor in proprio già allora. Alla quale un paio d’anni dopo Elisabetta Sgarbi, direttore della Bompiani, avrebbe affidato al cura di un numero della rivista «Panta» dedicato proprio alla scrittura creativa.

Si pensi che in America, paese utile per capire dove sarà l’Europa tra un decennio, ci sono oggi 310 corsi post-laurea riconosciuti ufficialmente e offerti da Università e Istituti che si prefiggono di insegnare “scrittura creativa”. Aggiungendo quelli non riconosciuti, probabilmente il numero è più simile a un migliaio. E, se contiamo che ognuno di questi corsi include, in media, 15 persone, si parla di 15.000 “scrittori creativi” ogni biennio. Sempre negli Stati Uniti, secondo i dati forniti da BFAMFAPHD.com, un progetto che mira a “unire” gli “artisti” prodotti dalle scuole d’arte, ogni dieci anni l’America produce oltre un milione di laureati in “arte”.

[stextbox id=’info’ mode=’undefined’ bwidth=’3′ bcolor=’1117d1′]Una scuola di scrittura è la laicità al mito della scrittura come dono di Dio.[/stextbox]

   Chiosando il film degli anni ’80 Vieni avanti cretino con un Vieni avanti creativo, un modo di dire per alludere a una specie di Cretino Liquido o Vaporoso, di Idiota Fumoso. Quell’aggravante che odora di quel Sessantotto andato a male che fece della creatività, figlia della fantasia e dell’immaginazione, un assurdo alibi per la sregolatezza senza genio, per l’ignoranza passata per virtù, per l’assenza di limiti, norme e faticosi studi e per la giustificazione arrogante di tutto ciò che è spontaneo, emotivo, casuale. Sappiamo poi i risultati prodotti lungo la strada, l’assurda pretesa della creatività di massa in un mondo fondato sull’uniformità, il desiderio di distinguersi e uscire dall’anonimato attraverso percorsi prestabiliti e conformistici che in realtà portano proprio nel cuore dell’omologazione e del narcisismo di massa

Dunque, si calcola che in Italia il totale degli iscritti ai programmi di scrittura creativa o creative writing (secondo la formula coniata in America nel 1915, quando sono nati) sia tra le 30 e le 50 mila unità. Un numero che fa sobbalzare, tenendo conto del fatto che non si tratta di adesioni gratuite e che anzi le quote si aggirano dal migliaio di euro per un corso di venti lezioni ai 20.000 euro annui per accedere alla torinese Scuola Holden di Baricco. Dove però la frequenza è quotidiana. L’esperimento torinese di Baricco merita un approfondimento specifico, a partire da imballaggio e decorazione, che nella «narrazione Holden» sono fondamentali. «Ricordo la presentazione: tutto confezionato, commerciale, mi è parsa più un’occasione per conquistare nuovi clienti che per spiegare le modalità didattiche», dice uno dei giovani che ha deciso di non proseguire nel percorso formativo sabaudo. Insomma, di anticonformista la Holden sembra avere ben poco. D’altronde, per frequentare il biennio nella prestigiosa scuola bisogna sborsare, come detto 20mila euro. Se non si è così fortunati da poterselo permettere, la scuola si trasforma in una banca con i cosiddetti «prestiti d’onore». «Pur di frequentare la scuola molti studenti si indebitano e quando finiscono il biennio devono iniziare a ripagare il prestito ricevuto. Gli indebitati sono davvero tanti», rivela un’ex studente. C’è da dire che quantomeno l’Istituto di Baricco ha il merito di offrire una preparazione di livello – seppur omologata – e di agevolare contatti tra i giovani e il mondo editoriale. «I docenti sono bravi – continua l’ex studente – e non è raro che chi abbia davvero talento alla fine abbia contatti anche con grandi case editrici. Paghi soprattutto la possibilità di conoscere qualcuno, il sistema è basato tutto su questo. D’altronde, la riprova del fenomeno sono i risultati: le scuole di scrittura nostrane continuano a non riuscire a sfornare grandi scrittori made in Italy e tutte le novità editoriali degne di nota negli ultimi sono il frutto di sperimentazioni letterarie autonome. Tutto il resto sembra essere riempimento editoriale. Non meno importante è stato, per l’editoria, il successo dei programmi di scrittura creativa che ha permesso di sfornare numerose pubblicazioni, giungendo a 200 titoli sull’argomento. Da allora molti scrittori conosciuti hanno rotto gli indugi e si sono lanciati nel genere istruzioni-per-l’uso-della scrittura (creativa o no). Ed ecco Come scrivere Guida per aspiranti narratori (Zelig Editore ’99). Un Vincenzo Cerami da Consigli a un giovane scrittore (Stile libero 2006). Roberto Cotroneo da i suoi (e altrui) consigli raccolti in un Manuale (Castelvecchi 2008).

   I dubbi di queste “palestre” della narrazione sono risaputi. Sono corsi che tendono a omologare la scrittura letteraria, sfornando nei migliori dei casi libri come tanti, di pronto consumo ma destinati a non lasciare tracce durature. È un modo per assecondare un mercato editoriale che non aspetta altro che romanzi artigianalmente ben confezionati, con trame affascinanti e personaggi plausibili, ma senz’anima. Si sa che al talento e alla necessità creativa non si comanda e comunque non servono i precetti. Forse ci si dovrebbe vaccinare

dalla creatività istituendo corsi d’amanuensi per ricopiare con fedele amore e umiltà diligente i grandi testi della tradizione. Qualcuno potrebbe storcere il naso e dire di sentir puzza di moralismo. Le scuole, secondo alcuni, permettono di acquisire un buon artigianato, di apprendere metodi, tecniche e strumenti senza i quali non si può scrivere un romanzo. Come lo si realizza se non scrivendo scrivendo scrivendo e leggendo leggendo leggendo, cioè confrontandosi con quelle esperienze che costituiscono la tradizione. Chi insegna non garantisce nulla sui risultati della scrittura, ma sicuramente ne usciranno dei lettori migliori, più scaltri, esigenti e raffinati, dunque pronti a scrivere con maggiore consapevolezza. È falso pensare che le scuole di scrittura debbano sfornare capolavori. Al di là dell’artigianato, per essere scrittori ci vogliono il talento, ma anche ragioni profonde che non si possono certo insegnare. Una scuola di scrittura è la laicità al mito della scrittura come dono di Dio.

   La scrittura ha la capacità di far comprendere la propria voce, di mettere in moto verità recondite, sentimentali, umorali, nel pieno rispetto per gli allievi, e i loro animatori si presentano come «facilitatori», dicono alcuni degli insegnanti. Definizione un po’ fatua; meglio sarebbe presentarsi come maieuti, come diceva Socrate, figlio di una levatrice; o più semplicemente ostetrici dei creativi in gravidanza. È in questo senso che chi non ha talento o vocazione può lavorare con la scrittura per riacquistare fiducia in se stesso. Siamo nella civiltà dell’immagine, si diceva, è finita la civiltà del testo, c’è l’homo videns, si scriverà sempre di meno. E invece nel giro di trent’anni la previsione si è capovolta: gli sms, le mail, Facebook e Twitter sono stati un ritorno massiccio alla scrittura. Nella scrittura creativa gli opposti s’incontrano: da un verso la scrittura creativa per essere efficace dev’essere primordiale, elementare e magari lavorare sui 200 vocaboli che costituivano il lessico di Guareschi e in versione chewing-gum costituiscono il linguaggio basic del presente. Il problema di fondo è il movente, o il compito, della scrittura creativa: avvincere o convincere, stupire o sedurre, lasciare un’impronta nell’anima o cercare un target, suscitare una suggestione o un desiderio. La creatività è un piacere, a volte un’esuberanza, talvolta un fruttuoso business.

[stextbox id=’info’ mode=’undefined’ bwidth=’3′ bcolor=’1117d1′]teniamo presente che il racconto è all’origine del mondo e all’origine di tutti i linguaggi, compreso quello scientifico o quello del marketing.[/stextbox]

   Quali sono le basi, il minimo che viene richiesto ad un creativo. Per primo il saper sognare, usare la scrittura come la continuazione dei suoi sogni usando altri mezzi. Il creativo deve trasformare la parola in mito, piovuta dal cielo e non dalla grammatica. All’origine c’è una visione onirica, si descrivono le immagini, si pensa per icone, poi si scivola dalla mente agli occhi, conquistando gli altri sensi. Per non perdersi nella nebulosa onirica, lo scrittore creativo deve però puntare diritto al cuore del suo tema, indicare la meta. L’intuizione originaria deve così comporre una scaletta di parole chiave, di situazioni su cui costruire l’ordito facendo molta attenzione di mantenere un equilibrio terreno, planare sulla terra, sul territorio, essere vincolato alla realtà, al linguaggio corrente, tornare alla vita e rappresentare i suoi desideri: l’eden, l’eros, la nostalgia dell’infanzia (non propria), le speranze, la Natura. Cercare di esprimere il comune in modo originale, l’universalità tramite la singolarità, sposare i contrari, congiungere i diversi. Per ultimo essere virtuosi nella brevità, nel messaggio condensato nel minor numero di parole; esercitarsi all’arte dell’aforisma, antenato nobile degli sms e di Twitter, dei titoli e delle didascalie, e di tutto ciò che è sintetico. Rapidi ma densi. Tutto il resto, al di là dei consigli, è nelle mani di chi si appresta a scrivere. Perché il resto è talento sensitivo, illuminazione, grazia, intuizione e chiarore, dono degli dei e intima complicità con le fate, magia di puntare diritti al cuore delle cose e delle persone. Le scuole ti danno un metodo che hai l’obbligo di disertare.

Ecco, forse, spiegato il motivo per cui la gente accorre con grandi speranze ai corsi di scrittura: non solo spinta dal desiderio di confezionare romanzi, di entrare nel mercato delle lettere e di fare carriera nei mestieri della scrittura, ma soprattutto per ragioni più profonde, che vanno al di là di una produttività tangibile. La scrittura rappresenta semplicemente uno strumento per stare meglio, per ritrovare e reinvestire le proprie energie.

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