”L’Occidente nel bene e nel male ha dato il “la” al pianeta. Anche per coloro che vorrebbero cambiarlo, distruggerlo, ridisegnarlo sono costretti a usare i suoi prodotti: banche, armi, cellulari, tivù, computer.
Possiamo definire con un termine di “civiltà occidentale”, l’inizio di questo lungo cammino, dove si mise la nota del Bene come fine della vita e dell’osservanza delle Leggi mediante la Ragione e la Libertà per raggiungerlo, non possiamo che pensare all’Atene del 430 a.C. dove gli abitanti erano all’incirca 155 mila e che due o trecentomila persone vivessero nelle città-Stato. Dunque al massimo i “greci” ammontavano a mezzo milione di individui. Nella stessa epoca i persiani, erano quaranta milioni.
Eppure i primi ebbero la meglio sia sulla terra, a Maratona (490 a.C.), che sui mari, a Salamina (480 a.C.). Inoltre la geografa della Grecia contraddice a tesi secondo cui in tempi successivi la supremazia europea sarebbe stata riconducibile a favorevoli condizioni geografiche. In Grecia le terre “migliori” erano sassose e la loro produttività mediocre. La regione non dispone neanche di un fiume navigabile e ha la disgrazia di non avere risorse naturali. Mentre i grandi imperi dell’epoca – Egitto, Persia, Cina – occupavano enormi e fertili pianure, attraversate da grandi fiumi. Eppure è lì nell’Atene del VI e V secolo a.C., che ebbe inizio quella che oggi chiamiamo appunto la “civiltà occidentale”. Alla civiltà è dedicato un libro del più autorevole sociologo delle religioni alla Baylor University, Rodney Stark(1), La vittoria dell’Occidente. La trascurata storia del trionfo della modernità; è un bignamone di storia della civiltà occidentale, oltre seicento pagine per fortuna alleggerite dalla suddivisione in brevi capitoli. Stark ne ha per tutti.
La Cina, per esempio, conosceva la carta e la polvere pirica, ma ci faceva aquiloni o giochi pirotecnici, nell’XI secolo un’industria siderurgica fiorì nel Nord della Cina, ma i mandarini della corte imperiale dichiararono il ferro monopolio di Stato, se ne impadronirono e così distrussero la produzione siderurgica cinese. Nel 1517 i portoghesi trovarono una società arretrata e preda di frequenti carestie, «inoltre le classi privilegiate ritenevano più importante azzoppare le ragazzine bendando loro i piedi, che sviluppare tecniche agricole più produttive di quelle che avevano per far fronte alle frequenti carestie». Anche il potentissimo impero ottomano dipendeva dalla tecnologia europea per le flotte e gli armamenti; per il resto, doveva vivere di continue conquiste, depredazioni e lavoro di schiavi. E qui Stark non esita a demolire il più tenace dei luoghi comuni: «Lo splendore della cultura islamica mentre l’Europa marciava nell’ignoranza». In realtà gli arabi assorbirono le acquisizioni dei popoli conquistati e ridotti a dhimmi(2) «Era la cultura giudaico-cristiana greca di Bisanzio, sommata con il notevole sapere di gruppi eretici cristiani come i copti e i nestoriani, più le vaste conoscenze della Persia zoroastriana (mazdaica) e i grandi successi matematici degli indù (si tengano presente le antiche ed estese conquiste musulmane in India)». Inoltre, «non solo i dhimmi furono all’origine della maggior parte della scienza e del sapere “arabi”, ma fecero anche la maggior parte delle traduzioni in arabo».
Il celebre califfo Al-Mansur che fondò Baghdad nel 762 si affidò a progetti di uno zorastriano e di un ebreo. Nel secolo precedente il califfo Abd al-Malik edificò a Gerusalemme la maestosa Cupola della Roccia grazie ad architetti e maestranze bizantine. Il famoso Avicenna era persiano, come pure Omar Khayyman e Al-Khwarizmi, padre dell’algebra. I più eminenti medici dell’impero musulmano erano cristiani (gli astrologi erano ebrei quando non addirittura pagani). E fu il cristiano nestoriano Hunayn ibn Ish-aq al-Ibadi (in latino noto come Johannitius) che «raccolse, tradusse, corresse e diresse la traduzione di manoscritti greci, soprattutto quelli di Ippocrate, Galeno, Platone e Aristotele, in siriaco e arabo». Ma «quando, nel XIV secolo, i musulmani soffocarono qualsiasi forma di non conformità religiosa, l’arretratezza islamica divenne evidente». Infatti, la scuola di pensiero islamico detta mu’tazilita (che noi definiremmo razionalista) giunse al culmine con i califfi abbasidi, in poi prevalse il fondamentalismo ash’arita e la dottrina dell’imam Ibn Hanbal, che portò alla persecuzione dei «filosofi». I numeri «arabi», con lo zero, Leonardo Fibonacci (1175-1235) li apprese in Siria e in Egitto, dove divennero oggetto di studio capillare, perfino di massa.
Quando nel 1453 i turchi presero Costantinopoli, gli intellettuali bizantini emigrarono in Europa e portarono con sé tutte le opere degli antichi greci di cui gli europei conoscevano solo frammenti. E fu il Rinascimento, che addirittura rese organizzato e sistematico lo studio del greco (ancora oggi lo si impara nei licei), cosa impensabile nel mondo islamico. Sì, perché è la religione che forgia la mentalità. L’Occidente ribolle di idee, di invenzioni, fa tesoro di quel che impara, è continuamente proteso in avanti, ma solo perché la sua mente è stata formata dal cristianesimo. Basta guardare alle altre tradizioni per rendersene conto.
Perché la scienza e la democrazia sono nate in Occidente, insieme all’arte figurativa, ai camini, al sapone, alle canne dell’organo e a un sistema di notazione musicale. Inoltre, dal XII secolo soltanto gli europei avevano occhiali e gli orologi meccanici. E poi i telescopi i microscopi e i periscopi. Il merito di tutto quello che è accaduto in materia di sviluppo della civiltà va attribuito alla circolazione delle idee. Sono le «idee», più che le «forze economiche e materiali», all’origine della modernità. Sono sempre le «idee» che spiegano «perché la scienza sia nata soltanto in Occidente»: sono gli occidentali «hanno pensato che la scienza fosse possibile, che l’universo funzionasse secondo regole razionali che potevano essere scoperte».
Stark chiama «l’intermezzo romano», l’ascesa di quell’Impero. Perché scrive, «nella migliore delle ipotesi considero l’impero romano una pausa nell’ascesa dell’Occidente, e più probabilmente una battuta d’arresto». Oltre alla mancanza di innovazioni tecnologiche, «i romani sfruttarono poco o nulla alcune tecnologie già esistenti; per esempio, conoscevano perfettamente la ruota ad acqua, ma preferivano usare il lavoro degli schiavi per macinare la farina». E anche i celebri testi di Terenzio e Plauto furono per intero di derivazione greca. Per Stark «ai fini dello sviluppo della civiltà occidentale la caduta dell’impero romano non è stata un’immane tragedia, bensì il fatto in assoluto più benefico». I «molti soporiferi secoli di dominazione romana» hanno visto due soli significativi fattori di progresso: «L’invenzione del cemento e l’ascesa del cristianesimo, quest’ultima avvenuta nonostante i tentativi dei romani di impedirla». A cadere poi «fu Roma, ma non la civiltà; i goti non tornarono improvvisamente alle barbarie; e i milioni di abitanti dell’ex impero non dimenticarono improvvisamente quel che sapevano». Al contrario, scrive Stark, «con la fine dei paralizzanti effetti della repressione romana, riprese il glorioso cammino verso la modernità». Quanto alla svolta di Costantino, scrive l’autore, l’immenso favore dimostrato da quell’imperatore romano al cristianesimo «finì per danneggiarlo». Eamon Duffy(3), nella sua storia del papato, ha fatto notare che Costantino elevò il clero a tali livelli di ricchezza, potere e status che i vescovi «divennero figure eminenti al pari dei senatori più ricchi». Con la corruzione che ne derivò.
Stark quando analizza i cosiddetti «secoli bui» afferma che non furono tali, «iniziarono a magiare meglio di come avessero mangiato nel corso della storia e di conseguenza divennero più grandi e più forti di coloro che vivevano altrove». Nel 732, gli invasori islamici, quando penetrarono in Gallia, si trovarono di fronte «un esercito di franchi splendidamente armati ed addestrati e furono sconfitti». In seguito, «i franchi conquistarono la maggior parte dell’Europa e misero sul trono un nuovo imperatore». Un sogno che ben presto si infranse. Fu un peccato? Assolutamente no dice Stark «è una fortuna che quella costruzione sia andata in frantumi» e la «creativa disunità dell’Europa» sia stata ristabilita. «Sebbene svariati storici abbiano dedicato molta più attenzione all’impero carolingio che ai vichinghi, questi ultimi, per l’ascesa dell’Occidente, hanno avuto un ruolo di gran lunga più significativo dei primi». Smentita l’idea che i crociati abbiano «marciato verso oriente per conquistare terra e bottino». Essi si erano «indebitati fino al collo per finanziare la propria partecipazione a quella che consideravano una missione religiosa». Inoltre molti «ritenevano improbabile la possibilità di sopravvivere e di tornare in patria (e infatti non tornarono)». Le crociate, «per gli europei», era «la vera base dell’unità del cristianesimo, che si era trasformato in una ben organizzata burocrazia internazionale». Pertanto «sarebbe più corretto parlare di Cristianità più che di Europa, dal momento che, all’epoca, quest’ultima aveva ben poco significato sociale o culturale».
Fu in quel periodo che nacque davvero il capitalismo.
Gli europei si arricchivano dopo aver imparato a sfruttare le fonti di energia. Un fatto eclatante e curioso, racconta Stark che, [stextbox id=’grey’ mode=’undefined’ bcolor=’2e0dbf’]«l’Europa era così affollata di mulini a vento che i proprietari cominciarono a denunciarsi a vicenda con l’accusa di portarsi via il vento»[/stextbox].
I brillanti successi verificatisi nel XVII secolo «sono stati semplicemente il culmine di un normale progresso scientifico, iniziato nel XII secolo con la fondazione delle università», non vi fu, pertanto nessuna «rivoluzione scientifica». La Riforma «non ha portato alcuna libertà religiosa, ma ha semplicemente sostituito repressive e accentratrici Chiese cattoliche con altrettante repressive e accentratrici Chiese protestanti». L’Europa «non si è arricchita drenando ricchezza dalle sue colonie sparse per il mondo»; al contrario «sono state le colonie ad aver drenato ricchezze all’Europa, nel contempo acquisendo i benefici della modernità». In Africa «i primi interventi militari inglesi mirarono ad eliminare la tratta degli schiavi. Solo nel 1840 la marina inglese intercettò 425 navi negriere al largo della costa africana, impiccò i mercanti, riportò gli schiavi in Serra Leone e li liberò». Salvo il caso del Congo di Leopoldo II, il colonialismo fu per gli europei non sfruttamento ma salasso, per i «costi sostenuti dai contribuenti, necessari per pagare l’enorme numero di funzionari». Se per l’uomo bianco l’Africa fu un fardello, per l’uomo nero l’Europa fu sollievo da malaria, febbre gialla, mortalità infantile, schiavismo maomettano.
Stark ci esorta a paragonare le tragedie dell’antica Grecia con quelle di Shakespeare, egli dice: «non che Edipo fosse senza colpe, però non aveva fatto nulla per meritare la sua triste fine: fu semplicemente vittima del destino; al contrario, Otello, Bruto e i Macbeth non furono prigionieri di un destino cieco». Quale è il significato, dunque? Che «uno dei fattori più importanti nel favorire l’ascesa dell’Occidente è stata la fede nel libero arbitrio; mentre la maggior parte delle antiche società (se non tutte) credevano nel fato, gli occidentali giunsero alla convinzione che gli esseri umani sono relativamente liberi di seguire quello che detta la propria coscienza e che, essenzialmente, sono artefici del proprio destino». Secondo la tesi dell’economista Max Weber l’etica protestante sarebbe all’origine del capitalismo, «un’idea chiaramente falsa», esattamente «come gli insegnamenti di Sant’Agostino avevano segnato il cambiamento nell’atteggiamento cristiano nei confronti del commercio, i teologi che hanno poi assistito alle fiorenti attività economiche dei grandi ordini religiosi, cominciarono a rivedere le dottrine su profitto e interesse». Una sorta di protocapitalismo, nacque all’incirca a ridosso dell’anno Mille, «molti secoli prima che esistessero i protestanti». Dopo l’epidemia di Peste Nera, verso la metà del Trecento, «la scarsità di manodopera», dimostrata da David Herlihy(4) «stimolò le invenzioni e lo sviluppo di tecnologie che consentissero di risparmiare forza lavoro». Ed ecco che l’Europa medievale «vide l’ascesa del sistema bancario, di un’elaborata rete manifatturiera, di rapide innovazioni in campo tecnologico e finanziario, nonché una dinamica rete di città commerciali».
L’autore anticipa l’inizio, o almeno i «primi passi», di quella che, in seguito, avremmo definito la «Rivoluzione industriale». Se già l’Europa era più avanti del resto del mondo in fatto di tecnologia, «ma alla fine del XVI secolo quel divario era ormai diventato un abisso». Un esempio lo fa Stark quando, a margine di una notazione, riferendosi alla battaglia di Lepanto (ottobre 1571), la flotta cristiana quando saccheggiò le imbarcazioni turche ancora non affondate, i marinai cristiani vittoriosi scoprirono un autentico tesoro in monete a bordo della «sultana», l’ammiraglia di Ali Pasha, e ricchezze quasi altrettanto ingenti, nelle galee di parecchi altre navi. Il motivo lo spiega Victor Davis Hanson(5) «Non essendoci un sistema bancario, temendo una confisca qualora avesse scontentato il sultano sempre attento a tenere i propri averi al riparo dell’attenzione degli esattori fiscali, Ali Pasha si era portato la sua immensa ricchezza a Lepanto». Stark fa notare che Ali Pasha «non era un contadino che nascondeva il surplus del raccolto, ma un membro dell’élite dominante… se una persona come lui era in grado di trovare investimenti sicuri e non se la sentiva di lasciare i suoi soldi a casa, come era possibile che qualcun altro potesse sperare di far meglio?». L’idea espressa in epoca medievale, che la cultura islamica fosse molto più avanzata di quella europea «è un’illusione». Che Stark voglia, in questa pagine, alludere alle abbaglianti illusioni recenti delle cosiddette primavere arabe, è assai lampante. L’Occidente è sempre stato un ribollire di idee, di invenzioni, fa tesoro di quel che impara, è continuamente proteso in avanti, ma solo perché la sua mente è stata formata dal cristianesimo.
NOTE
(1) Rodney Stark è sociologo della religione e docente di Scienze sociali presso la Baylor University, in Texas. Tra le sue numerose pubblicazioni: La vittoria della Ragione, Ascesa e affermazione del cristianesimo, La scoperta di Dio, Un unico vero Dio, Gli eserciti di Dio, Le città di Dio, A gloria di Dio, e Il trionfo del cristianesimo, tutte edite da Lindau.
(2) Dhimmi era un suddito non musulmano di uno Stato governato dalla shari’a: la legge islamica.
(3)Storico irlandese e accademico, docente di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Cambridge
(4) Storico statunitense, studioso di storia medioevale e rinascimentale con particolare interesse per quella della Toscana.
(5) Un americano di storia militare, editorialista, professore e studioso di guerra antica.
(Fonti Wikipedia),
Bibliografia
Rodney Stark “La vittoria dell’Occidente. La negletta storia del trionfo della modernità”
Lindau, Collana i Leoni. Pagine 648
Arrigo Petacco “La croce e la mezzaluna” – Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam -. Mondadori Le Scienze.
Featured image: «La sete dei Crociati sotto Gerusalemme» (1838) di Francesco Hayez.