”Nella nostra galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle, e nell’universo ci sono più di cento miliardi di galassie. Pensare di essere unici è molto improbabile.
Margherita Hack
Cosa ci hanno insegnato e cosa possiamo imparare dai nostri antenati greci ed ebrei. Come il patriarca Abramo, che ebbe il coraggio di contrattare sfrontatamente sulla salvezza di Sodoma e Gomorra. Solo la moglie di Lot volse lo sguardo verso il fumo di fornace che si spandeva per le città reprobe, distrutte dallo zolfo e dal fuoco. Secondo una certa tradizione teologica, quell’ultimo sguardo gettato dalla donna non sarebbe stato altro che un’imperdonabile leggerezza. «Una moglie incredula», la definisce il più tardo libro biblico della Sapienza, lasciando intendere che la punizione divina fu ben meritata. Ma questa moglie innominata e proverbiale è un altra eroina del dubbio, attratta irresistibilmente dall’inguardabili e dall’inesplicabile, in quella che ha tutta l’aria di essere una sfida al divino. Un pensatore geniale e rivoluzionario come Walter Benjamin ha ravvisato nel quadro di Klee dove vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Lui, come la moglie di Lot che guarda lo scempio della storia, l’angelo, non si trasforma in statua di sale, ma precipita verso il futuro, a cui pure volge le spalle.
E noi, sopravvissuti a quella distruzione, a volte verrebbe la tentazione di restituire le chiavi di un mondo che non sappiamo preservare, come fecero quei sacerdoti che rigettarono in cielo le chiavi del Tempio di Gerusalemme in fiamme. La leggenda racconta che una mano invisibile le afferrò al volo.
Dunque cosa è possibile imparare dai nostri antenati greci ed ebrei?
In principio Dio creò il cielo e la terra. E la Rua’h di Dio (Rua’h significa sia spirito che vento) aleggiava sulle acque. Così si apre la narrazione della Scrittura, dispiegando la storia religiosa dell’umanità e i suoi drammi.
Il mistero della genesi o delle origini ossessiona da secoli i filosofi e gli studiosi della mistica di tutto il mondo. Come la moglie di Lot, vittima della propria curiosità, ci piace volgerci a guardare indietro. Verso la fonte della memoria. Verso il primo movimento e la prima parola del primo essere umano. Ma prima, c’era un altro mondo, uno migliore? Era il Logos? Il Verbo? Il testo biblico parla di Tohu vabohu che descrive la condizione della terra davanti a Dio. Dove era una massa priva di forma. Il caos totale. Una confusione cosmica. Le acque che c’erano prima… erano vere e proprie acque?
Avviciniamoci un poco e osserviamo che nell’antica Grecia, i presocratici, agli albori della filosofia, il problema non era il significato dell’universo ma la sua “arché”, o principio materiale. Si credeva che fosse composto da quattro elementi: acqua, fuoco, aria e terra. La stessa concezione compare già nei testi sumeri: il padre An o cielo, la madre Ninhursag o terra, Enki il dio dell’acqua ed Enli, dio del fuoco. Stranamente, il testo mistico “Sefer yetsira” (Libro della Creazione) parla di tre madri dell’universo. Il cielo fu creato dal fuoco, la terra dall’acqua. Lo Zohar o Libro dello Splendore menziona quattro angeli corrispondenti a certe Sephirot o sfere ed elementi tutti legati tra loro dallo spirito divino.
Talete di Mileto, Anassimandro, anch’egli di Mileto, Parmenide, Eraclito, Socrate e Platone, alcuni di loro credevano nell’uno o nell’altro, ma anche nelle loro combinazioni. Eraclito sostiene che la risposta risieda negli eterni opposti. Aristotele ritiene che i quattro elementi possano venir descritti come due gruppi di caratteristiche opposte: caldo e freddo, umido e secco, con la terra fredda e secca, l’acqua fredda e umida, l’aria umida ma non calda, il fuoco caldo e secco. In precedenza Socrate e Platone, diffidando dei sensi, avevano preferito le forme e le idee. Illusioni e astrazioni invece di persone vive. Ma gli antichi filosofi, si sa, sapevano conciliare i paradossi.
Ma il fatto che abbiano speso le loro intere vite per rispondere a queste domande potrebbe suscitare la nostra invidia. Ci si può dunque chiedere, non avevano niente di più urgente, di più concreto e reale di cui discutere? Come riuscivano a sfamare i propri figli?
Talete, uno dei sette saggi della Grecia, era povero, al punto che gli abitanti della città lo schernivano: a cosa serve la filosofia se non ti permette nemmeno di pagare l’affitto?
Questo ci insegna forse che la povertà è utile alla metafisica? Ma attenzione: Talete era anche scapolo, prima era troppo giovane, poi troppo vecchio, soleva dire. Metafisica e matrimonio sono dunque incompatibili?
Socrate invece credeva nelle domande: fermava le persone per strada e le interrogava, ammaestrandole con le loro stesse parole. Non stupisce che non fosse troppo amato dai suoi concittadini.
Platone, fondatore dell’Accademia, riteneva che la forma più alta e il fondamento ultimo della natura fosse il bene, che è altresì la miglior via d’accesso alla conoscenza. I sofisti si posero la domanda di come si acquisisce la virtù e da cosa è definita. Ma essi cosa insegnano in cambio di un compenso ragionevole: la conoscenza o la virtù?
«L’uomo è la misura di tutte le cose», dice Protagora, ma per quale motivo allora è stato creato il mondo, e per quale fine vi è stato inserito l’uomo? Le fonti ebraiche ci aiutano a rispondere a queste domande. Anche loro hanno come centralità il numero quattro. Gli stessi quattro elementi – o goufim, corpi – compaiono nei testi talmudici: fuoco e acqua, aria e terra. Maimonide(1) vi accenna ma sottolinea che a essi manca la coscienza. Eppure devono restare in armonia. Se un elemento dovesse invadere o sopraffare gli altri, l’universo potrebbe essere in pericolo.
Una leggenda talmudica, accennata all’inizio, parla di alcuni giovani sacerdoti durante la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Quando il calore delle fiamme divenne insopportabile, salirono sul tetto con delle chiavi in mano. Poi le lanciarono al cielo, dicendo: Dio d’Israele, evidentemente non siamo riusciti a difendere la Tua dimora, e così te ne restituiamo le chiavi. E una mano fiammeggiante apparve dall’alto e le afferrò…
Ci si potrebbe domandare: fecero bene a comportarsi così?
I Saggi talmudici, con la loro imperscrutabile immaginazione, descrivono gli sforzi celesti per assicurare all’uomo la possibilità di meritarsi la fiducia di Dio. Essi si pongono una domanda: perché Dio, all’inizio, creò un uomo e una donna, quando avrebbe potuto inserirne migliaia, se non milioni, nella realtà storica? Una risposta potrebbe essere per non permettere mai a qualcuno di vantarsi delle sue origini razziali, della sua posizione sociale o delle sue credenze religiose, dicendo: «Sono migliore o più degno di te».
Dunque siamo tutti figli o nipoti di un’unica coppia di nonni: Adamo ed Eva.
Una domanda sullo stesso tema, del perché l’uomo è stato creato così tardi, ossia il sesto giorno, se l’è posta un filosofo francese, dicendo che Dio abbia creato l’uomo quando era già stanco.
L’ipotesi talmudica è più cordiale, amichevole: non ha niente a che vedere con la stanchezza, Dio non ha di questi problemi. Ha deciso di aspettare fino all’ultimo momento per insegnare alle future generazioni di uomini e donne a non pretendere di essere migliori o superiori agli altri. Affinché ricordassero che persino un verme ha avuto la priorità su di loro nell’ordine di creazione.
NOTE
(1) Moshe ben Maimon. (Cordova, 30 marzo 1135 – Il Cairo 12 dicembre 1204), è stato un filosofo, rabbino, medico, talmudista, giurista e teologo spagnolo, una delle persone di spicco dell’Andalusia sotto il dominio arabo, tra i più importanti pensatori nella storia dell’ebraismo.
BIBLIOGRAFIA
«Storia della filosofia ebraica. Il problema della giustizia divina nella tradizione biblica, talmudica e medievale». Giuseppe Laras, Editore: CUEM
«Il Talmud». Abraham Cohen, Traduttore: A. Toaff, Editore: Laterza