”Nella sua prima passione la donna ama il suo amante, in tutte le altre ciò che ama è il suo amore
Lord Byron
L’amante di Lady Chatterley (titolo originale inglese: Lady Chatterley’s Lover) è un romanzo di David Herbert Lawrence del 1928.
Scritto in Toscana in tre successive stesure tra il 1925 e il 1928 e pubblicato per la prima volta a Firenze, l’opera venne immediatamente tacciata di oscenità a causa dei riferimenti espliciti di carattere sessuale e al fatto che in essa veniva descritta una relazione tra una donna della nobiltà, sposata con un baronetto paraplegico, e un uomo appartenente alla working class. Il romanzo venne perciò messo al bando in tutta Europa e specialmente nell’Inghilterra del tempo, ancora dominata dalla morale vittoriana, tanto che sarà pubblicato in Gran Bretagna solo nel 1960.
Il romanzo ha scosso nel profondo non solo la sensibilità di generazioni di lettori del ventesimo secolo, ma anche i pregiudizi sul piacere femminile e sulla virilità. A suscitare la disapprovazione dei benpensanti non fu la semplice descrizione degli amori della protagonista: la protagonista è il simbolo di un risveglio culturale e sociale che pervade l’Europa negli anni Venti, ed è un risveglio che non riguarda limitatamente l’universo femminile.
Lady Chatterley, eroina ribelle e rivoluzionaria suo malgrado, forse a causa delle sue esperienze giovanili che la rendono inadeguata alla vita rigorosa di una signora dell’alta società, è spinta a opporsi sia alle convenzioni imposte dalla sua posizione sociale, sia al potere maschile. Lo squallore di un distretto industriale del nord dell’Inghilterra è la molla decisiva che le fa comprendere l’avvilimento della sua esistenza e cercare una vita migliore fino a portare alle estreme conseguenze la sua storia d’amore e la sua rivolta contro la società.
Costance, dopo una giovinezza in giro per l’Europa, sposa Clifford Chatterley, un uomo della bassa aristocrazia, grazie al quale diviene Lady.
In seguito a una ferita di guerra Clifford diventerà impotente. Constance, nonostante la disgrazia, sceglie di non rinunciare al proprio amore platonico per Clifford, e gli rimane felicemente legata: lo aiuta, lo pulisce, lo sostiene. Tuttavia, avverte anche l’esigenza di un rapporto fisico, ormai impossibile per il consorte, e sente il bisogno di un figlio: il marito, quindi, le dà il permesso di concepirlo con un altro uomo, a patto di avere la possibilità di crescere ed educare il nascituro.
Quest’ultima relazione, insieme al desiderio di maternità della donna, saranno gli elementi che la faranno allontanare dal mondo freddo che la circonda, basato su convenzioni sociali che le vanno strette, in favore di una vita all’insegna della passione e delle emozioni forti da condividere con il suo amante.
In questo romanzo, la lotta nei confronti di un mondo borghese impostato e incapace di fare sentire Costance una vera donna passa tramite il sesso, mezzo per raggiungere la consapevolezza di sé e di quello che si vuole davvero.
Il libro parla dunque di un risveglio dei sensi e delle emozioni, rimandando a un modo più naturale e sincero di vivere, rivoluzionario per la borghesia e l’aristocrazia dell’epoca, chiuse nel grigiore dell’industrializzazione.
Certo, viene da chiedersi se non ci siano altri modi per giungere alla consapevolezza di sé e alla conoscenza profonda dei propri desideri e delle proprie aspirazioni, e viene anche da rispondersi che sì, ci sono altri mezzi, ma una vita fatta di convenzioni purtroppo li spegne, li assopisce, portando la protagonista a cercare qualcosa che sia intenso, da contrapporre alla freddezza della sua vita.
Tuttavia l’adulterio non può essere la soluzione, a mio parere, il libro mi sarebbe piaciuto di più se Costance avesse avuto il coraggio di ribaltare la situazione senza fuggire da ciò che la opprimeva: in questo modo il suo messaggio di donna ribelle sarebbe stato più forte.
Ma a queste condizioni sarebbe stata un’altra storia.
Come inizia.
”La nostra è un’epoca essenzialmente tragica, perciò ci rifiutiamo di viverla tragicamente. C’è stato un cataclisma, siamo tra le rovine, incominciamo a costruire nuovi piccoli habitat, ad avere nuove piccole speranze. È un lavoro piuttosto duro; adesso non ci sono strade scorrevoli che portano al futuro: bisogna scavalcare gli ostacoli o aggirarli. Dobbiamo vivere, non importa quanti cieli ci siano crollati addosso.
Questa era più o meno la situazione di Costance Chatterley. La guerra le aveva fatto crollare il cielo in testa. E aveva capito che bisogna vivere e imparare.
Aveva sposato Clifford Chatterley nel 1917, mentre era a casa per un mese di licenza. Dopo una luna di miele di un mese, Clifford tornò nelle Fiandre e sei mesi dopo fu di nuovo imbarcato per l’Inghilterra, più o meno a pezzi. Costance, sua moglie, aveva allora ventitré anni e lui ventinove.
Il suo attaccamento alla vita fu meraviglioso. Non morì, e quei pezzi sembrarono saldarsi nuovamente insieme. Per due anni rimase nelle mani dei dottori. Poi lo dichiararono guarito e poté ritornare alla vita, paralizzato dalle gambe in giù, per sempre.
Questo accadde nel 1920. Clifford e Costance ritornarono a Wragby Hall, residenza di famiglia di Clifford. Suo padre era morto e così adesso Clifford era baronetto, Sir Clifford, e Costance, Lady Chatterley. Incominciarono la loro nuova vita di coppia nella casa quasi abbandonata dei Chatterley con una rendita piuttosto inadeguata. Clifford aveva una sorella, che però se ne era andata. Altri parenti prossimi non ne aveva. Suo fratello maggiore era morto in guerra. Storpiato per sempre, sapendo di non potere avere figli, Clifford tornò nei fumosi Midlands per tenere in vita, finché poteva il nome dei Chatterley.
[…] Costance, sua moglie, era una ragazza dall’aspetto colorito e campagnolo, con soffici capelli castani e un corpo sodo, dai movimenti lenti, carichi d’inusuale energia. Aveva grandi occhi colmi di stupore, una voce dolce e sembrava essere appena arrivata dal paesello natio. Ma era solo un’impressione. Suo padre era il vecchio Sir Malcom Reid, membro dell’Accademia Reale, un tempo molto conosciuto. Sua madre era appartenuta alla colta società dei Fabiani, nei bei giorni un po’ preraffaelliti del passato. Tra artisti e colti socialisti, Costance e sua sorella Hilda avevano avuto quella che si potrebbe definire un’educazione esteticamente non convenzionale. Erano state portate a Parigi, Firenze e Roma per respirare l’atmosfera dell’arte e anche all’Aia e Berlino, ai grandi congressi socialisti, dove gli oratori parlavano tutte le lingue del mondo civile e nessuno era mai a disagio.