”Le sirene, donne ammalianti dalla coda pesciforme
LE SIRENE NELL’ARTE, SIMBOLICO RICHIAMO DELL’EROS
“Il vento era caduto, le vele si erano afflosciate sull’albero; nella notte appena rischiarata dalla nuova luna la nave dondolava leggermente sullo specchio nero dell’acqua, quando la sirena cantò. Parve ai marinai di sentire un fruscio come di una brezza leggera; poi come una musica che salisse dal mare profondo; poi come una voce dolcissima, mai udita prima; e finalmente il canto li avvinse ad uno ad uno in un sonno senza risveglio. La sirena, infatti, quando i marinai furono addormentati, montò sulla nave, li toccò uno dopo l’altro con la sua mano micidiale, e tutti, senza accorgersene, passarono, sognando, dal sonno alla morte.” (Leonardo da Vinci da Leggende: Lusinghe over soie. H. 8 r.)
Le sirene, donne ammalianti dalla coda pesciforme, in origine erano alate: d’altronde a chi appartiene il canto seducente se non agli uccelli. Le si rappresentava con il corpo metà umano e metà aviforme, con ali tipiche dei rapaci. Il primo a parlarne fu Omero nel celebre episodio di Ulisse dove le sirene intonano un canto dalla struggente bellezza erano le figlie del dio fluviale Acheloo e della musa Tersicore, riferisce Apollonio Rodio.
La sirena, dunque, è la più celebre e la più rappresentata tra le creature fantastiche. Il suo busto è alquanto seducente, con seni prominenti, mentre il resto del corpo si allunga in una coda di pesce, singola o doppia. Questo essere dal corpo flessuoso e dalla capigliatura fluente simboleggia tutte le seduzioni femminili e le tentazioni demoniache che queste ispirano.
Come la fulva “Sirena Lighea” nel quadro di Dante Gabriel Rossetti, così un impensabile Giuseppe Tomasi di Lampedusa, tra il 1956 e il 1957, negli ultimi mesi della sua vita, quando già sapeva di essere gravemente malato, scrisse un racconto fantastico La sirena. “Lighea” è stato suggerito dalla moglie di Tomasi di Lampedusa, Alexandra Wolff Stomersee detta Licy e riprende il nome del personaggio mitologico coprotagonista. Lighea, per Tomasi, è quasi una estrema comunicazione della propria visione del mondo.
Le sirene, incantatrici di uomini e ancelle di superba sensualità, gettano radici nell’iconografia dai primordi ellenici. Di non secondaria importanza, in questi esseri immortali è racchiuso ciò che l’uomo ha da sempre ricercato: il sapere. Ciò che l’uomo stesso brama di sapere è custodito, per assurdo, in un essere che dovrebbe temere, ma che al contempo desidera. La discesa delle sirene, dal cielo alle acque, giunge nel suo estremo capovolgimento da metamorfosi in bellissime e desiderabili donne, rappresentazione del tranello mortale che ci tendono i sensi, le sirene hanno avuto una connotazione negativa nella storia dell’arte, specularmente alle credenze antiche. Sotto il profilo simbolico esse rappresentano, almeno fino al passaggio edulcorato nella fiaba ottocentesca, che ne mutò indole, inclinazione, atteggiamento e rappresentazione – vedi Sirenetta di Copenaghen, che si ispirò alla fiaba di Andersen, in cui essa è l’incarnazione dell’amore romantico -, il tranello mortale teso dalla donna, con la propria voce dolce e suadente e con il proprio corpo dotato di grazia e bellezza, nei confronti dell’uomo.
In un racconto, Kafka afferma che la cosa più terribile da sopportare, sia proprio il silenzio della Sirena.
“Quel che ancor non sai- tu lo imparerai- solo qui fra le mie braccia” canta Fabrizio de André nella canzone La città vecchia (1965) ed è ciò che una bimba canta nella canzone antica della donnaccia. È né più né meno il canto ammaliatore della Sirena, che promette a chi si ferma “fra le sue braccia” la conoscenza di ciò che ancora non sa. Essa riprende, infatti, la tradizione omerica.
La sirena simbolizza i rischi dell’abbandono della retta via, a causa dell’ascolto del richiamo dei sensi – prestare ascolto alla malia, rende il maschio ammaliato, cioè privo di ragione, di controllo e di capacità di discernimento -; è metafora della necessità dell’uomo di deviare le proprie pulsioni o di contenerle, in quanto un eccessivo ascolto dei richiami che suscitano la reazione della carne, porta a deviare rispetto alla costruzione della civiltà, a cui tutti devono tendere. Suggestivo, a questo proposito, è il segmento narrativo dedicato alle Sirene, in Omero. Ulisse, nell’Odissea, riesce, con ogni donna incontrata durante il lungo viaggio di ritorno da Troia, a rifiutare le offerte comunque a gestire razionalmente il cedimento temporaneo. Poi, in ogni caso, riparte. Ma dalla maga Circe viene avvertito del richiamo irresistibile delle Sirene. Sicché il previdente Odisseo chiede di essere legato dai propri uomini all’albero della nave per evitare di cedere a quella che non è più una semplice tentazione, ma una malia d’amore che porterebbe all’abbandono della rotta primaria, con conseguenze che potrebbero essere mortali.
Nell’antica tradizione greca e romana, le sirene era dotate di ali, di un volto seducente In alcune rappresentazioni esse hanno un corpo statuario, con seni ben fatti, fianchi espansi, cosce tornite che, a partire dal ginocchio, divenivano arti e zampe di volatile. Il ruolo di queste creature era legato all’Ade perché, con i loro canti melodiosi, rinfrancavano le anime che si accingevano ad entrare nell’Aldilà. Molto probabilmente il mito s’era sviluppato attorno ai gridi di colonie di gabbiani che, alla distanza, sembravano canti di donna, all’interno dei quali era possibile immaginare qualche parola. I naviganti che si fossero fatti ammaliare da questi melodiosi fraseggi, avrebbero diretto la prua verso le sirene, naufragando su scogli poco evidenti dalla nave. Virgilio cantava nell’Eneide: “Iamque adeo scopulos Sirenum advecta subibat difficilis quondam multorumque ossibus albos… ” e già (la nave) si appressava agli scogli delle Sirene, un tempo rischiosi e biancheggianti per le molte ossa.
Esiste addirittura un ordine di Mammiferi chiamato Sirenidi a cui appartiene il lamantino, per esempio. E’ vero che questo animale ha le zampe inferiori fuse in una paletta che può ricordare la pinna caudale di un pesce, ma è anche vero che la parte superiore del corpo, col suo buffo muso, non è proprio ammaliante quanto una bella donna, sebbene i gusti siano gusti. Dal momento però che i lamantini vivono solo nell’Oceano Atlantico ed in quello Indiano, è molto probabile che le sirene incontrate dagli eroi mitologici nel Mar mediterraneo fossero ispirate ad animali un tempo comuni nelle nostre acque, le foche monache.
Nel Medioevo cristiano, probabilmente in seguito alla fusione di queste figure con miti analoghi provenienti dai mari dell’Europa settentrionale, le sirene non vennero rappresentate più con le ali e le zampe d’uccello, ma con la coda di pesce. Questo mutamento iconografico si impose quasi certamente per differenziare creature mostruose dagli angeli che, a partire dal III secolo, furono rappresentati nella forma che ben conosciamo. Le sirene persero pertanto le alate connotazioni per mettere la pinna caudale. In questa nuova forma, rispetto alla tradizione classica, vengono descritte, nell’VIII secolo, nel Liber monstrorum de diversis generibus. (1)
Le sirene pisciformi furono scolpite nelle chiese romaniche, imprigionate dalla costruzione stessa, in molti casi costrette a sostenere, come capitelli, gli edifici. La pulsione primitiva veniva così catturata dalla pietra divina e finalizzata al bene. La più ampia raffigurazione di sirene, nella pittura, si attesta però nel XIX secolo quando rappresentarono inequivocabilmente la donna fatale, irresistibile, che porta l’uomo a certa rovina. Per questo i pittori indugiarono, con compiacimento, sulle soavi nudità di queste figure, che, in molti casi, persero persino la coda.
(1) Il Liber monstrorum de diversivi generibus è una compilazione di notizie ricavate da fonti varie che è insieme un bestiario, una trattato di litografia e una raccolta di “mirabilia”.
BIBLIOGRAFIA
slideshow di sirene nell’arte