“Una lingua “morta” che però continua a godere di ottima salute. Quante volte, nel parlare e nello scrivere, adoperiamo termini latini o di provenienza latina?
In dubio pro reo.
Nel dubbio, decidi a favore dell’imputato. Mancando prove certe, è meglio assolvere un colpevole che condannare un innocente: è un principio basilare della nostra civiltà giuridica. Nella finzione letteraria, vige più libertà. Rabalais ci parla del giudice Bridoye il quale decideva le cause a colpi di dadi, perché così, secondo il calcolo delle probabilità, almeno il cinquanta per cento delle sentenze risultava giusto. Però qualche volta la realtà imita la fantasia. Raccontava l’avvocato Arturo Orvieto che in Sardegna, subito dopo l’occupazione spagnola, un magistrato ignaro di ogni legge e procedura risolveva le cause facendo pescare dagli stessi interessati la sentenza dentro un sacchetto, nel quale aveva infilato dei rotoli di carta contenenti varie pene e, taluno, l’assoluzione. Con questo sistema un ladro che aveva rubato dei buoi se la cavò con uno scudo di multa. Subito dopo fu il turno d’una vecchietta, accusata d’aver rubato una gallina, e si ebbe tre mesi di prigione. La poveretta protestò per l’evidente sproporzione delle pene: uno scudo due buoi, tre mesi per un pollo. Ma il giudice le chiuse la bocca: «Accontentatevi, perché nel sacchetto c’era anche la pena di morte».