”Un tempo, almeno, c’era un sentimento di disonore nella sottomissione…
LIBERTÀ VA CERCANDO, CH’È SÌ CARA…
Così Virgilio presenta Dante a Catone Uticense, “come sa chi per lei vita rifiuta”. Catone un suicida non disposto a ricevere la grazia di un Cesare rivale: un seppuku di marca latina, insomma.
Esempio cruento, quello di Catone, dal punto di vista simbolico sovrapponibile all’esperienza di Dante, che nella profezia dell’antenato riassume il costo della libertà: “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”.
Tempi cronologici diversi, come molto lontano da loro dal punto di vista temporale è l’ammonimento di Jünger: “L’Anarca sa che la libertà ha un prezzo, e sa che chi vuole goderne gratis dimostra di non meritarla”.
Tre personaggi che affrontano il tema fondamentale dell’essere che, tanto per continuare nello sfoggio di cultura, Nietzsche discrimina efficacemente tra “libertà da” e “libertà per”.
Aldilà di ogni ragionevole dubbio – come si usa dire nelle migliori circostanze – oggi questo paradigma, che si potrebbe confermare ontologico in ogni vita degna di definirsi tale, è stato diffusamente ignorato.
Un tempo, almeno, c’era un sentimento di disonore nella sottomissione, che magari la massa come sempre supinamente accettava, ma quanto meno non la rivendicava come furbizia, né grazie ad essa faceva carriera.
Nell’attualità prevale l’esistenza tutelata della libertà dal rischio, dalla responsabilità, dall’incognita. Tutti esigono l’accudimento, pretendono la garanzia, cercano volontariamente la sudditanza. Dalla culla alla bara tutto deve svolgersi all’insegna della sopravvivenza.
La libertà nella ricerca scientifica, nell’esercizio della giustizia, per l’attendibilità dell’informazione, è stata sostituita dall’opportunismo ben attrezzato di privilegi economici e di immagine. Il problema non è il prezzo, ma quanto prevede il tariffario dell’ubbidienza.
È vero che il dissenso è sempre stato guidato e rappresentato da una minoranza, ma la maggioranza subiva in silenzio, magari mugugnando, a volte con sentimento di umiliazione per la propria malcelata viltà. Ora le cose sono cambiate, in peggio ovviamente. C’è un risentimento esplicito contro i non omologati, contro i ribelli, contro gli indisciplinati: una acredine e una biliosità che non rappresentano soltanto la scontata invidia verso coloro che impersonificano una virtù che gli altri non hanno – una debolezza umana giustificabile –, ma una vera e propria ostilità da parte dei difensori del padrone di turno. Non è il rancore dell’inetto e del fallito, ma è l’odio del pretoriano e del conformista.
Le libertà che queste mediocrità pretendono di rappresentare sono misurabile con la lunghezza del guinzaglio che l’oppressore concede loro. Non è la libertà come “volontà d’essere autoresponsabili”, secondo le indicazioni di Nietzsche, ma sono miserabili franchigie che “minano la volontà di potenza, sono il livellamento, elevato a morale, di monte e valle, rendono piccoli, codardi e gaudenti – con esse trionfa ogni volta l’animale del gregge”.
Questo belato assordante della massa debilitata non sovrasterà il ringhio di rivolta della minoranza risoluta.
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