”Il fascino di quest’epoca e il suo essere un mito-motore della cultura statunitense ne hanno accresciuto l’importanza

L’INDIPENDENZA AMERICANA: RESISTENZA ARMATA CONTRO UN POTERE NEMICO
Tuttavia, contrariamente all’opinione comune, l’età della frontiera e la conquista del West non sono l’origine di questo fenomeno, ma ne vedono unicamente un affinamento. Il fascino di quest’epoca e il suo essere un mito-motore della cultura statunitense ne hanno accresciuto l’importanza, ma le ragioni fondative si annidano in un’epoca ancora precedente. E qui subentra un’ulteriore deformazione cui va incontro la nostra prospettiva europea: la nostra formazione scolastica – impegnata, anche giustamente, nel tentativo di ricostruire le complesse e talvolta ridondanti evoluzioni della Storia europea – tende infatti a trascurare la parallela vicenda americana, cui viene prestata attenzione unicamente in alcuni momenti nodali (le prime colonizzazioni, la guerra d’indipendenza, la guerra civile e il coinvolgimento nei conflitti mondiali) ignorando però i numerosi eventi intercorsi negli intervalli trascurati, fondamentali per costruire quel contesto che li determina. Occorre quindi illuminare alcuni episodi di cui il pubblico europeo spesso ha poca o nessuna cognizione, e soprattutto liberare quegli episodi invece conosciuti da etichette tanto familiari quanto inappropriate.
La nostra lente si deve quindi posare sulla guerra franco-indiana, che ci è più comunemente nota come guerra dei sette anni. Per il lettore non specialista, che probabilmente lo ricorderà solo come l’ultima grande guerra europea prima della Rivoluzione Francese, questo conflitto non sembrerà troppo diverso né particolarmente notabile rispetto ai suoi predecessori del XVIII secolo. Questa è precisamente una di quelle deformazioni prospettiche di cui vi avvertivo in precedenza: osservata dal giusto punto di vista, si rivela invece un fattore chiave nel preparare gli stravolgimenti dei decenni successivi. Possiamo concederci di trascurare l’andamento del teatro europeo, che fu in qualche misura secondario, e rilevare invece come numerosi teatri di guerra e gli esiti maggiormente importanti coinvolsero le colonie: a seguito di questa guerra, infatti, la Gran Bretagna estromise la Francia sia dall’India sia dal Nord America, annettendo ai propri domini i territori del Canada e della Louisiana, di estensione assai maggiore rispetto alle tredici colonie da loro fondate.
Questo trionfo sul campo di battaglia fu tuttavia pagato a caro prezzo, e richiese una mobilitazione di forze cospicua ed esigente: i britannici dovettero dispiegare sul campo ben 40.000 soldati dell’esercito regolare, affiancati a circa 17.000 miliziani delle colonie. Sono cifre considerevoli, e ancora più stupefacenti se teniamo conto del fatto che fin dalla sua origine il British Army abbia sempre avuto numeri assai inferiori a quelli che attribuiremmo ad una grande potenza: le statistiche da loro registrate riportano infatti come la media di arruolamento tra 1750 e 1800 sia oscillata tra i 78.000 e gli 80.000 uomini. Benché sorprendente ad un primo sguardo, ciò deriva dalla vocazione britannica, esercitata fin dalla prima età moderna, ad essere una potenza in primo luogo navale, attribuendo quindi alla flotta il compito di propagare la propria forza; l’esercito di terra diveniva così una forza principalmente professionale e volontaria, impiegata come corpo di precisione per conseguire obiettivi importanti e circoscritti.
L’impiego così massiccio delle truppe britanniche in Nord America non fu dirompente soltanto per il mero numero, ma anche per l’inedito impiego. Fino a quel momento, infatti, né il British Army né i suoi predecessori erano stati impiegati nelle colonie americane, che per un secolo e mezzo si erano rette in maniera pressoché autonoma ed autosufficiente(3) Benché i governatori fossero nominati dal re e dal Parlamento di Londra, tutte le colonie vantavano numerosi congressi ed assemblee locali co un ampia competenza legislativa, nonché il diritto di eleggere i propri giudici.

L’equilibrio fu spezzato dalle necessità della guerra franco-indiana, e la mobilitazione di truppe britanniche sul suolo americano fu sovvenzionata con un cospicuo aumento di tasse ed accise, fino ad allora pressoché nulle, da versare nei forzieri di Londra. La conseguente vittoria non fece altro che inasprire questo squilibrio, lasciando guarnigioni di soldati volte a presidiare un territorio che non aveva più nemici in grado di minacciarlo – i Francesi erano stati ricacciati, e le nazioni indiane non costituivano un pericolo per le colonie – le quali dovevano essere mantenute da una popolazione che non desiderava ospitarle, non ne aveva richiesto l’intervento, riteneva di farne a meno e che gli oneri di quella presenza non fossero ripagati dai corrispondenti diritti – qui ha origine il celebre motto no taxation without representation, “niente tasse senza rappresentanza”.
Si potrebbe credere ingenuamente che concedere quella rappresentanza, e garantire alle colonie seggi nel Parlamento di Westminster, avrebbe potuto disinnescare la guerra di indipendenza. Ma questo richiede di ignorare che le colonie non miravano a questo obiettivo, perché non avevano il minimo interesse ad essere coinvolti nelle questioni di Londra e dell’Europa: il loro desiderio era di badare ai propri affari, senza che potentati lontani e senza coinvolgimento imponessero obblighi per ragioni aliene alla situazione locale. I coloni riconoscevano nella madrepatria un signore distante, a cui si doveva certo obbedienza, ma al quale di contro si chiedeva unicamente di non intervenire.
Non è peraltro un caso che il New England, da cui sarebbe germogliato il primo embrione culturale dei futuri Stati Uniti, avesse avuto origine con la fondazione della colonia del Massachussets da parte dei Padri Pellegrini, un gruppo di puritani emigrati per poter vivere la propria fede difforme ed eterodossa senza venire perseguitati dal potere regio. Non solo quindi le colonie prestarono asilo a dissidenti religiosi, come i puritani od i quaccheri, ma anche a chi abbandonava la vecchia Europa per rifarsi una vita ricominciando da zero, lasciandosi alle spalle obblighi di natura feudale, e vedeva nella nuova terra una promessa di speranza dove il proprio destino sarebbe stato determinato unicamente dal proprio lavoro.
Il sentimento di sospetto e diffidenza nei confronti dello Stato non è stato creato da Ronald Reagan negli anni ‘80 del secolo scorso. Per quanto acuito, esso trova le sue fondamenta nel carattere originale delle colonie, fondate da abitanti che nel migliore dei casi non volevano avere niente a che fare con il Potere e chiedevano solo di essere lasciati in pace, e nel peggiore da quel Potere venivano perseguitati ed osteggiati. La traversata dell’Atlantico simboleggiava per quegli uomini una rottura netta con il passato, e la terra vergine ed inesplorata che si offriva loro concedeva un’occasione di ottenere prosperità e rispetto unicamente con la propria fatica. Anche questa è una delle ragioni alla base dell’individualismo americano e del suo sospetto per l’intervento pubblico: la narrazione del loro passato elogia chi si è costruito da sé, ha affrontato le difficoltà sul proprio cammino e le ha superate con le proprie forze, senza dipendere da altri.
Quando la Gran Bretagna si ritrovò costretta a dispiegare le proprie truppe nelle colonie, aveva di fronte una controparte che riteneva di potersi gestire da sé, come aveva fatto fino ad allora, e che nelle guarnigioni non vedeva un servizio od un’utilità, ma l’imposizione di un vincolo esterno e non richiesto. I soldati non erano uno strumento utile a mantenere pace ed ordine, ma la propaggine prossima di un potere distante, irraggiungibile ed impervio ad ogni richiesta, il mezzo di uno Stato tirannico e lontano per imporre costrizioni contrarie ai desideri dei cittadini.

Ogni possibile effetto positivo della presenza dei soldati non era nulla che non fosse possibile conseguire con l’impegno del popolo riunito in milizia, ben capace di proteggersi da sé da ogni minaccia. Il portare le armi era così il mezzo con cui ogni uomo provvedeva a sé e alla propria famiglia, dai compiti quotidiani come la caccia alle situazioni straordinarie come la cattura di un fuorilegge. Ogni famiglia era armata, e doveva esserlo per sopravvivere ad un ambiente ancora poco antropizzato ed ostile. Non aveva quindi per loro alcun senso demandare ad un corpo esterno, indicato per l’occasione, il dovere di esercitare la difesa che tutti loro collettivamente già svolgevano, e di conseguenza lasciargli il possesso dei mezzi per esercitare quel dovere.
La narrazione intellettuale che vede la coscienza civile degli Stati Uniti nascere nella lotta contro la madrepatria inglese descrive l’indipendenza delle colonie come il trionfo delle libertà dei cittadini contro un potere statale remoto e malvagio desideroso di sottrargliela. I volontari armati sono il mezzo preciso con cui quella libertà venne difesa, e disarmarli il modo a disposizione del potere per sottrargliela. Gli Stati Uniti hanno quindi come orizzonte natale un antagonismo tra lo Stato e i cittadini, e hanno modellato le proprie istituzioni con lo scopo di impedire ad un potere malevolo di esercitare la propria tirannide. Ciò traspare fin dalla Dichiarazione d’indipendenza, fondamento ideale e manifesto dei valori statunitensi, in cui si proclama apertamente questo ribaltamento dei rapporti di forza:
Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi diritti, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo […].
Quando una lunga serie di abusi e di malversazioni […] rivela il desiderio di ridurre gli uomini nell’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo(4) Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America
La Costituzione degli Stati Uniti è discretamente breve e semplice: comprende infatti soltanto sette articoli, che delineano unicamente il funzionamento dello Stato, la divisione dei suoi poteri nei vari organi e l’articolazione dell’amministrazione. La definizione dei diritti fondamentali garantiti dallo Stato fu lasciata al successivo Bill of Rights, la Carta dei Diritti approvata nel 1789 e ratificata nel 1791: sul modello del suo predecessore inglese di un secolo prima, vennero delineati quei diritti basilari e inalienabili che lo Stato non poteva modificare o ridurre, tesi a garantire la libertà dei cittadini e a impedire allo Stato di limitarne il godimento. Questa carta introdusse i primi dieci emendamenti alla Costituzione, il secondo dei quali sancisce:
A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed.
Essendo necessaria, per la sicurezza di un libero Stato, una ben regolata Milizia, il diritto del popolo di tenere e portare armi, non sarà limitato(5).Costituzione degli Stati Uniti d’America, II emendamento
Includere un tale diritto esplicitamente nella Costituzione, e inserirlo in mezzo agli altri diritti considerati inalienabili – la libertà di stampa, pensiero e religione, il diritto ad un giusto processo – dimostra come agli occhi dei Padri Fondatori era impensabile l’idea che un cittadino non potesse essere armato, e usare quelle stesse armi per la collettività era considerato un aspetto della partecipazione civica esattamente al pari di prendere parte ad una giuria o pagare le tasse.

Alessandro Sergio Martino Gentile Quando ero bambino, chiedevo che mi raccontassero delle storie. Mi affascinavano tutte, dai miti greci ai racconti dei cavalieri, dalle fiabe alle avventure di pirati. L’esito inevitabile era finire a studiare la Storia, con la s maiuscola, per tentare di capire da dove veniamo. Nel frattempo sono stato maestro di scuola e volontario del servizio civile, e collaboro dentro e fuori il palco del teatro con Associazione Studio Novecento. Amo il silenzio e la musica classica, la lettura e le camminate, la buona cucina di mano mia o altrui.