”Il fantasma di Trump terrorizza i progressisti britannici
L’ITALIA IGNORA I RISCHI DEL PROTEZIONISMO USA.
PER EVITARE DI CERCARE ALTERNATIVE: TROPPO IMPEGNATIVO
Il fantasma di Trump terrorizza i progressisti britannici. Anche quelli degli altri Paesi atlantisti, ma a Londra le preoccupazioni sono maggiori, come ha evidenziato l’Economist. Perché Trump, per gli inglesi, significa protezionismo. Significa più attenzione alla manifattura e meno al commercio internazionale. Ed avendo una scarsa industria interna, avendo abbandonato l’Unione europea ed avendo crescenti difficoltà con l’ex impero trasformato in Commonwealth, è comprensibile che i britannici siano spaventati.
A differenza degli europei che, continuando a danzare sul Titanic che affonda, evitano accuratamente di pensare ad un futuro che è quasi un presente.
Perché confrontarsi con un possibile cambiamento nella politica economica del padrone statunitense significherebbe dover mettere in campo strategie alternative. Significherebbe avere delle strategie. E se lo stratega, in Italia, è Urso, diventa inevitabile farsi una risata e lasciar perdere. Anche perché un briciolo di dignità imporrebbe di mettere in previsione una probabile guerra commerciale con gli Usa. E che un governo di Roma osi ribellarsi al padrone di Washington è una pia illusione.
Su quali basi, poi? Con quali mezzi? Gli Usa non sono certo totalmente autosufficienti, però dispongono di molte materie prime in più rispetto all’Europa. A partire da gas e petrolio, ma anche in ambito alimentare. In più sono statunitensi le multinazionali che controllano alcune materie prime in altri Paesi e continenti.
L’Europa ha poco o nulla. Ogni tanto si scoprono miracolosi e mirabolanti giacimenti di terre rare; di recente anche un possibile immenso giacimento di idrogeno bianco in Francia. Tutte scoperte utili nel medio-lungo periodo. Quando, come ironizzava Keynes, saremo tutti morti.
Dunque, è adesso che l’Italia e l’Europa dovrebbero agire, con rapidità, per creare le condizioni per affrontare un cambiamento che potrebbe essere radicale. Stringendo accordi con i Paesi che le materie prime le hanno e le esportano. Grezze o lavorate. Peccato che siano Paesi che non piacciono al padrone statunitense e, dunque, neppure ai servi sciocchi europei.
In economia e nel commercio internazionale i rapporti politici non vanno di pari passo con quelli economici. Erdogan tuona contro la macelleria israeliana a Gaza, ma la Turchia continua a vendere petrolio ad Israele. L’Australia è un fedele alleato degli USA ma, essendo un alleato e non un servo, aumenta lo scambio commerciale con la Cina.
L’Europa, al contrario, preferisce scuotere il ditino minaccioso di Ursula von der Leyen e litiga con mezzo mondo. E l’Italia, che aveva una posizione privilegiata nei rapporti con Pechino, preferisce rinunciare per ottenere una carezza in più da RimbanBiden. Oppure insiste a blaterare di Piano Mattei mettendo sul piatto due noccioline e schierandosi contro la maggior parte dei Paesi che avrebbe dovuto coinvolgere.
Sperando di ottenere il privilegio di baciare la pantofola con cui verrà presa a calci.