Il caso è emblematico: quando un certo mondo scientista, organico alle distorsioni mentali dei liberal progressisti…

Gene Wilder è i dottor Frederick von Frankenstein Peter Boyle è La Creatura, nel film Frankenstein Junior (1974) di Mel Brooks.

LO SCIENTISMO & IL SIGNORE DEGLI ANELLI MANCANTI


È cronaca: il 10 ottobre è stata ascoltata, in un’audizione presso il Parlamento europeo, Janine Small, una dirigente della Pfizer, in sostituzione di Albert Bourla, il capo dell’azienda, che si è arrogantemente rifiutato di presentarsi. Un deputato olandese conservatore, Rob Roos, le ha rivolto una precisa domanda: “il vaccino era stato testato per impedire il contagio?”. Ecco la sconcertante risposta: “Ma no! (risata) Dovevamo muoverci alla velocità della scienza!”. Significativa la risposta e ancor di più la disinvolta, arrogante ilarità.

Ha dichiarato Rob Roos al quotidiano La Verità:

«“La confessione di Small è di una gravità inaudita perché per la prima volta si è ammesso che le istituzioni hanno formalmente discriminato senza alcuna base scientifica. I nostri governi hanno perpetrato abusi e sottratto mezzi di sostentamento ai cittadini, privandoli anche della loro vita di comunità, sulla base di questo assunto”. Ha commentato un altro eurodeputato conservatore, Cristian Terhe: “Questa è la dimostrazione che il mondo intero è stato sottoposto a una incredibile campagna di disinformazione e Pfizer, assieme con i governi nazionali, ha mentito.”

Milioni di persone sono state sottoposte a detenzione domiciliare, multate se andavano a fare la spesa due chilometri più in là, se correvano su una spiaggia, se stavano sedute su una panchina, se nuotavano in mare. E poi ci sono quelli che hanno perso il lavoro perché si sono rifiutati di farsi inoculare il veleno, medici e sanitari sospesi, minacciati di radiazione dagli Ordini per aver detto la verità sui vaccini, scienziati e clinici di fama, persino Premi Nobel insultati, diffamati, silenziati perché scettici, Sante Messe vietate, con i vescovi miserabilmente conniventi, dimostranti cosiddetti no-vax bastonati, arrestati, portati in tribunale.

Janine Small

E soprattutto milioni di persone al mondo morte o rimaste invalide per reazioni avverse minimizzate o addirittura negate dall’isteria vaccinatoria del Big Pharma e dei governanti al suo servizio. Ma la signora Janine Small ci ha detto, sghignazzando: “Dovevamo muoverci alla velocità della scienza!” I vaccinari irriducibili e i presunti fact checker, invece di cospargersi il capo di cenere, chiedere perdono, rimediare ai soprusi e risarcire le vittime delle loro menzogne, hanno reagito infastiditi alla confessione della Pfizer: “Ma si è sempre saputo!” Ma se si è sempre saputo perché è stata messa in piedi la più tremenda, ottusa, violenta dittatura sanitaria di tutti i tempi?

Il caso è emblematico: quando un certo mondo scientista, organico alle distorsioni mentali dei liberal progressisti, si trova a veder smentita la sua ideologia dalla realtà, la reazione è sempre la stessa: al diavolo la realtà, che va negata, distorta, falsificata affinché l’anti-cultura della perversione possa prevalere.

Ecco un altro buon esempio. Sono pochi a conoscere la figura di Margaret Mead. Antropologa, femminista, scopertasi lesbica dopo molti matrimoni, autrice di una bibbia del femminismo, Sex and Temperament, al servizio della Rand Corporation, una fondazione liberal ultra-radicale. Fu convinta sostenitrice del mito rousseauiano del “buon selvaggio”, una delle ideologie più smentite dalla storia, fanatica del più estremo relativismo culturale. Visto che di società primitive “innocenti” non ne sono mai state trovate, la Mead se ne inventò una: quelle delle isole Samoa.

Morte del generale Wolfe di Benjamin West. Il ritratto di questo indiano d’America creato da West è stato considerato un’idealizzazione nella tradizione del “buon selvaggio”.

Nel suo libro Coming age in Samoa, del 1926, descrisse la società di quelle isole come sostanzialmente matriarcale, felicemente libera da ogni inibizione sessuale e culturale generata dal cristianesimo. Quelle popolazioni vivevano, secondo la Mead, in una sorta di comunismo edenico, nella più completa promiscuità senza alcuna proibizione. Il suo intento era proporre un modello, asserito come esistente, alternativo alla regolata società basata sulla cultura classica e cristiana – ma comune a tutte le civiltà – fondata sulla famiglia e sulla distinzione tra i sessi. Il testo divenne un manifesto del relativismo culturale, della libertà sessuale, della diffamazione della famiglia e dell’esaltazione dell’omosessualità. Molte università lo adottarono nei loro piani di studio.

Poi, pian piano, la verità emerse: pieno di dati falsificati, il libro non era uno studio scientifico ma un manifesto ideologico, un wishful thinking iscrivibile all’agenda di social changing, analogo altri “studi” successivi, destinati a “cambiare la società”, come i due famigerati “rapporti” sul comportamento sessuale della donna (1948) e dell’uomo (1953) di Alfred Kinsley, entomologo che s’improvvisò sessuologo, anch’essi oggi dimostrati essere pieni di falsità. Venne provato che la Mead non conosceva il samoano, non visse mai con la popolazione samoana e che i suoi “confidenti” che le descrivevano la società samoana confessarono, anni dopo, di aver raccontato all’antropologa ciò che voleva sentirsi dire. Un altro antropologo, Derek Freeman, dimostrò in un libro, Mead and Samoa, le falsità dello “studio” dell’antropologa, aprendo un acceso dibattito che divise il mondo accademico e non solo. Rimane una certezza: per sostenere la sua ideologia, la Mead falsificò la realtà. D’altronde aveva solo seguito il suggerimento di Hegel, ripreso successivamente da alcuni marxisti: “Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti”.

Ma la compagnia degli scientisti alla Mead è numerosa e agguerrita. Prendiamo ad esempio l’evoluzionismo. È oggi dogma indiscutibile: se lo si mette in dubbio, si rischia di essere emarginati in tutte le università. Persino la Chiesa, nella sua fregola di piacere a tutti i costi alla modernità, come ha dimostrato il concilio, sembra averlo accettato, nonostante le evidenti contraddizioni con la teologia tradizionale.

Eppure, ha ragione Maurizio Blondet che lapidariamente ha scritto su questa ideologia: “Non una teoria scientifica dimostrata, ma un atto di fede”. Nonostante la dittatura accademica degli evoluzionisti, molti scienziati sono fortemente dubbiosi su questa teoria, aderendo piuttosto a quella di un “Disegno Intelligente” se non a quella del letteralismo biblico (la Creazione è avvenuta in sei giorni), tipica degli evangelici americani. In Italia il genetista Giuseppe Sermonti e il paleontologo Roberto Fondi hanno scientificamente contestato la teoria secondo cui, per dirla in termini rozzi, “discendiamo dalla scimmie” in un testo divenuto di culto: Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo. Giuseppe Sermonti ha all’attivo altri libri in cui questa teoria viene sbugiardata, come Dimenticare Darwin.

Il già citato giornalista Maurizio Blondet ha dimostrato di avere ottime doti di divulgatore scientifico nel libro L’uccellosauro e altri animali. La catastrofe del darwinismo, in cui sintetizza tutte le obiezioni scientifiche alla teoria evoluzionista che, pur prevalente, ha un grosso problema: non è mai stata dimostrata.

In particolare, non esistono prove provate di evoluzione da una specie a un’altra, ad esempio da un dinosauro a un uccello o da una scimmia a un uomo. I reperti fossili ci mostrano specie che compaiono già formate e che non si modificano significativamente nel tempo. Al massimo, si adattano. È l’assenza totale del cosiddetto “anello mancante”, cruccio di ogni credente nella fede evoluzionista. Ecco che allora diversi “scienziati” si sono dati da fare, per fede evoluzionista o per desiderio di fama e guadagno personale, per “ovviare” a questa mancanza. Insomma, creare una serie di falsi.

Il più noto tra questi è il cosiddetto “Uomo di Piltdown”, una località nel Sussex in cui, nel 1912, vennero rinvenuti frammenti di cranio e una mandibola che vennero presentati alla Geological Society di Londra e al British Museum dallo scopritore Charles Dawson, un avvocato e archeologo dilettante, e dal paleontologo Arthur Woodward come parti di un ominide dal cranio molto simile a quello di un uomo moderno ma la cui mandibola sembrava indistinguibile da quella di uno scimpanzé.

Quadro di John Cooke del 1915. Dietro (da sinistra): F. O. Barlow, Elliot Smith, Charles Dawson, Arthur Smith Woodward. Primo piano: A. S. Underwood, Arthur Keith, William Plane Pycraft e Sir Ray Lankester.

Ecco, finalmente, si disse, il famoso “anello mancante”. Una lapide venne posta, a imperitura gloria di Dawson, sul luogo della scoperta. Ma gli scienziati, quelli veri, incominciarono ben presto a dubitare, a cominciare dal Royal College of Surgeons. Poi David Waterson, del King’s College pubblicò un articolo in cui sosteneva che i resti erano un cranio umano e una mandibola di scimmia. Un paleontologo francese e uno zoologo americano confermarono questa tesi: in particolare la mandibola era quella di un orangutan.

Scienziati di tutto il mondo negarono l’autenticità dei reperti, compreso un italiano, Guido Bonarelli. La pietra tombale della “scoperta evoluzionista” fu posta dallo studio approfondito di un gruppo di scienziati pubblicato sul Times nel 1953 che dimostrava che il reperto era una contraffazione composta da resti di tre specie distinte. Interessante notare che, secondo alcuni, alla costruzione del falso contribuì anche il “teologo” evoluzionista Pierre Teilhard de Chardin.

KNM-ER 1470

Ma l’accanimento degli evoluzionisti nella cerca del mitico “anello mancante” non si fermò qui. Più recente è il caso, presentato da Blondet nel suo citato L’uccellosauro e altri animali, del Archeoraptor liaoningensis, (così lo battezzarono) il fossile di un rettile piumato grande come un tacchino ritrovato da contadini cinesi ed enfaticamente presentato dal National Geographic come: il vero anello mancante della complessa catena che connette i dinosauri agli uccelli. Esso sembra fissare l’attimo paleontologico in cui i dinosauri stavano diventando uccelli”. Già, “sembra”, perché anche questa prova era un falso costruito dai furbi contadini cinesi che sapevano quanto gli occidentali potevano pagare per un “anello mancante”: avevano incollato il corpo di un Archeopterix, un uccello estinto, alla coda di un piccolo dinosauro del tipo raptor. L’“autorevole” National Geographic ci era cascato. Commentò severamente Storr Olson, ornitologo dello Smithsonian Institute: “Con la pubblicazione di novembre, il National Geographic ha toccato il punto più basso di sensazionalismo e di giornalismo da rotocalco.” Ma di storie di falsificazioni come queste ce ne sono molte altre. Come quella del rifiuto come “vero” reperto quello del cranio di una bambina, simile a quello di un Homo Erectus, repertato come Skull 1470, ritrovato in Africa e che accuratissimi esami datarono 1,9 milioni di anni fa. Questa datazione contraddice totalmente la cronologia evoluzionista. Il dottor Richard Laekey, autore di altre scoperte paleontologiche, così commentò: “O buttiamo via questo teschio, o buttiamo via le nostre teorie sull’uomo primitivo.” Vinse la prima alternativa, come commentò la scienziata anti-evoluzionista Gastruche: “In breve, hanno buttato il reperto per tenersi la teoria”. Si può quindi affermare che l’evoluzionismo non sia basato su osservazioni scientifiche dirette e provate, ma su ipotesi a priori a cui si cerca poi di adeguare la realtà.

Su un tema diverso, quello della differenza tra le razze umane, quattro genetisti hanno invocato, sulla rivista Nature, la censura sulle ricerche dichiarandosi preoccupati “per l’utilizzo della letteratura scientifica come un’arma da parte dell’estrema destra”. In sostanza: se le risultanze scientifiche non coincidono con l’ideologia antirazzista liberal, vanno silenziate e nascoste.

Un ambito in cui le menzogne, le falsificazioni, le previsioni terroristiche e indimostrate stanno dilagando da decenni è quello climatico-ambientale. Molti si ricorderanno delle profezie del Club di Roma nel 1972 con uno studio titolato I limiti dello sviluppo. Il Club di Roma era diretto da un ex partigiano, ex dirigente della Fiat, il massone Aurelio Peccei e secondo le analisi “scientifiche” di questo sodalizio avremmo dovuto essere tutti morti da tempo, considerata la previsione di esaurimento di tutte le fonti principali di energia e le fosche previsioni di una sovrappopolazione mondiale.

Poi, sempre negli anni ’70, gli scientisti iniziarono a minacciare l’umanità con il clima. Ma, ancora qualcuno se ne ricorderà, non con il riscaldamento climatico, ma con l’opposto, il suo raffreddamento e l’avvento di una nuova era glaciale: “entro il 1985 l’inquinamento avrà ridotto la quantità di luce solare sulla Terra”. Nel 1990 avremmo dovuto avere quattro gradi di temperatura media in meno, e undici nel 2000. Una nuova era glaciale, con i poli che avrebbero occupato gran parte della Terra. Nessuno di questi “scienziati” ha mai chiesto scusa per le terrificanti previsioni, nessuno è mai stato denunciato per “procurato allarme”.

Oggi il “riscaldamento climatico di origine antropica”, cioè prodotto dall’umanità, “cancro del pianeta” secondo gli ecologisti (l’umanità dovrebbe essere ridotta da 7 miliardi a 1 miliardo, a detta di un reduce del Club di Roma, Dennis Meadow) è diventato un dogma intoccabile: se solo lo si sfiora si rischia l’accusa infamante di “negazionismo”, se non la messa al bando della comunità scientifica, ritiro di finanziamenti, licenziamenti.

Tutta la comunità scientifica sarebbe compatta nel difendere questo dogma, ma questa “compattezza” è un falso clamoroso. La storia di questo falso ce la racconta Willie Soon, ingegnere aerospaziale, astrofisico e geofisico, un’autorità mondiale sulla relazione tra i fenomeni solari e il clima globale. In sintesi: nel 2013 un gruppo di attivisti ecologisti pubblicava un documento nel quale, sulla base di una presunta analisi di circa 12.000 lavori scientifici, sarebbe esistito un “consenso” del 97% degli studiosi sul “cambiamento climatico causato dall’aumento di CO2 antropica”.

Willie e altri suoi altrettanto autorevoli colleghi hanno pazientemente esaminato i 12.000 lavori citati dagli ecologisti. Da questa opera di fact checking è risultato che due terzi dei lavori non manifestavano alcuna opinione sui cambiamenti climatici. Solo 64 ipotizzavano una responsabilità umana, ma solo 41, quindi lo 0,35%, effettivamente approvavano il dichiarato “consenso”.

IL RISCALDAMENTO GLOBALE ANTROPICO: IL GRANDE INGANNO – PAROLA DI TIM BALL

A smentire ulteriormente la bufala, voluta e non innocente, quindi un falso, del “consenso scientifico”, basti ricordare la lettera aperta sottoscritta da più di duecento scienziati italiani, climatologi, geologi, geofisici, tra i quali anche nomi noti come Franco Battaglia, Antonino Zichichi e Franco Prodi, nella quale si affermava chiaramente che l’origine antropica del riscaldamento globale è una congettura non dimostrata, a cui ha fatto seguito una petizione internazionale di oltre 1.200 scienziati di varie discipline, inclusa ovviamente la meteorologia, tra cui Premi Nobel, titolata “There is no climate emergency”. Il testo, ampliato con uno studio approfondito, è stato anche pubblicato in Italia con il titolo Non c’è alcuna emergenza climatica”. Ed è quanto va dicendo, anzi urlando, il professor Franco Battaglia, docente di Chimica Fisica, con un curriculum internazionale che lo fanno essere nel suo campo una delle eccellenze italiane: “Diciamolo forte e chiaro in un momento come quello in cui stiamo vivendo: non esiste alcuna emergenza climatica. Non v’è nulla nel clima di oggi che sia differente dal clima di 100, 500, 1.000 o 5.000 anni fa.”

Ma ciò che più indigna è che i fanatici dell’apocalisse climatica non solo mentono consapevolmente, ma giustificano le loro menzogne, ne sono soddisfatti e se ne vantano pure. Prendiamo Greenpeace, nata per difendere le povere balene anche con pericolose e criminali (e mai sanzionate) operazioni di pirateria contro i pescherecci e le baleniere, poi contro le piattaforme petrolifere, oggi una potentissima multinazionale ecologista con un volume d’affari dell’ordine di 200-300 milioni di dollari, uno dei maggiori contributori al terrorismo climatico internazionale. Il suo fondatore Paul Watson ha dichiarato: “Non m’importa cosa è vero, importa solo ciò che la gente crede sia vero”.

Nel 2008 il Goddard Institute for Space Studies (GISS), una costola della Nasa, segnalava, pur contraddetto da altri enti di rilevazione, l’ottobre di quell’anno come uno dei più caldi della storia. Una prova del riscaldamento globale. Due matematici canadesi, specializzatisi nello smentire le falsità ecologiste, denunciarono la truffa: il GISS aveva “riciclato” per ottobre i dati di settembre, mese ovviamente più caldo. Mandarono un’e-mail al GISS, senza risposta, ma dopo un’ora i dati falsificati scomparvero dal sito. Il GISS era diretto dal dottor Hansen, consulente di spicco del “profeta” Al Gore, che era già stato smentito dai due matematici canadesi per un precedente falso a supporto della teoria del “riscaldamento globale”.

Un altro episodio, finito sui giornali e poi subito silenziato, ma raccontato da Maurizio Blondet nel suo libro Cretinismo scientifico, è quello del cosiddetto “Climategate”: nel 2009 una mole impressionante di e-mail del Climate Research Unity (CRU) della East Anglia University, una delle “centrali” della super-setta ecologista, era finita nelle mani di alcuni giornalisti. In queste e-mail i “globalisti” parlando con colleghi di tutto il mondo, ammettevano tranquillamente di aver falsificato i dati sulle temperature per sostenere la loro ideologia. Il capo della CRU, il professor Phil Jones, scriveva ai suoi corrispondenti come aveva attuato “il trucco di aggiustare” le temperature e ordinava loro di cancellare i dati falsi: “Non diamo agli scettici qualcosa su cui divertirsi”.

La difesa della menzogna “per una buona causa” è comune a molti scientisti. Stephen Schneider, climatologo alla Stanford University scriveva ancora nel 1989: “Ci sentiamo costretti a offrire scenari spaventosi, a fare dichiarazioni drammatiche e semplificate, mettendo da parte tutti i dubbi che abbiamo”, perché il dilemma è “tra essere onesti o essere efficaci”. Daniel Botkin, del Dipartimento di studi ambientali dell’Università della California, ha ammesso: “L’unico modo per costringere la nostra società a cambiare è spaventare la gente con la possibilità di una catastrofe, e quindi è giusto e persino necessario che gli scienziati esagerino”. Esagerino o mentano per salvaguardare i finanziamenti alle loro ricerche?

Racconta Michael Shellenberger in L’apocalisse può attendere. Errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale delle dichiarazioni di un esponente del Sierra Club, una delle più estremistiche organizzazione ecologiste statunitensi, impegnata in una lotta senza esclusione di colpi contro le centrali nucleari: “Penso che il gioco sporco sia accettabile se c’è un fine nobile”.

Forse la più istruttiva delle falsificazioni è quella relativa alla “grande estinzione degli orsi nell’Artico”. Nel 2017 il National Geographic (ancora questa rivista, ormai dedita alla più becera propaganda liberal) pubblicò su You Tube un video che mostrava un orso polare malconcio, con una triste musica in sottofondo e una didascalia: “Ecco come si presenta il cambiamento climatico” riferendosi a un presunto scioglimento del ghiaccio artico (in realtà le teorie degli scienziati riguardo questo possibile fenomeno sono discordanti) che metterebbe in imminente pericolo gli orsi bianchi. Il video ebbe 2,5 milioni di visualizzazioni. Racconta Greta Thunberg: “Piangevo ogni volta davanti a quei filmati.” (È noto come la Pulzella di Svezia abbia solo due espressioni: un piagnucolio infantile e ricattatore o un’ira torva e minacciosa).

Il video venne ripreso in documentari allarmistici sul clima e citato in articoli in tutto il mondo. Molte persone sono ancora convinte che gli orsi polari si stiano estinguendo. In realtà il calo vertiginoso della popolazione ursina non si è mai verificato. Mai. Anche gli autori del video hanno dovuto ammetterlo, scaricando le responsabilità sulla rivista: “National Geographic si è spinto un po’ troppo oltre con la didascalia”. Ma intanto la bufala dell’estinzione degli orsi bianchi si è diffusa. Raccontando l’episodio nel suo libro citato, così conclude Michael Shellenberger: “La disinformazione sugli orsi polari mostra chiaramente come le storie che si raccontano sul cambiamento climatico abbiano scarso fondamento scientifico.”

L’orso polare è in via di estinzione? Secondo le dichiarazioni giurate presentate dai gruppi Inuit, la popolazione degli orsi polari sarebbe addirittura aumentata notevolmente negli ultimi 30 anni, e stando all’affidavit “La salute degli animali è considerata molto buona”. Gli orsi non vengono elencati come specie minacciata nell’area, secondo gli standard della Species At Risk Act.

I casi dell’evoluzionismo, del vaccinismo, del cambiamento climatico (ma ce ne sono degli altri, come abbiamo visto) dimostrano come la scienza stia rinunciando, ammesso che ci abbia provato in passato, a ogni tentativo di “oggettività” (in realtà impossibile) per trasformarsi in una fede, di più: in un culto pagano con i suoi riti, i suoi sacerdoti e sacerdotesse, i suoi chierici, i suoi misteri, i suoi riti iniziatici, i suoi dogmi, il suo proclamato “male assoluto”, cioè l’umanità. Sola fede e niente ragione?

Antonio de Felip

 

 

 

 

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