Due date, due guerre, un solo confronto: quello eterno tra imperi, ideologie e visioni del mondo.

LO SCONTRO FINALE TRA STORIA E FUTURO

Il Simplicissimus

Lo scontro finale tra Storia e Futuro è un viaggio appassionante tra i fili intrecciati del tempo, dove gli eventi contemporanei si rivelano come l’eco di antiche battaglie. Il conflitto ucraino non è solo il frutto del recente golpe di Maidan del 2014, ma affonda le sue radici molto più in profondità: fino al 1814, quando la Grande Armata napoleonica – simbolo di un’Europa che tentava di farsi potenza unita – fu sconfitta dalla Russia. Un saggio provocatorio che rilegge la storia per comprendere il presente e intuire il futuro, mostrando come le ombre del passato continuino a proiettarsi sull’oggi in uno scontro epocale tra visioni del mondo. (f.d.b.)


Tutto ciò che stiamo vivendo è cominciato nel 2014 con il golpe di Maidan. Vero, ma in realtà la guerra ucraina è cominciata esattamente due secoli prima, nel 1814 quando la grande armata di Napoleone che era in realtà un’armata europea, venne sconfitta e annientata dai russi. Fu in quel momento che in Gran Bretagna nacque l’idea che l’allora impero zarista fosse la maggiore minaccia al suo impero e all’espansione dello stesso. Nel frattempo molte cose sono cambiate, ma questa idea invece di attenuarsi si è al contrario trasformata in un’ossessione via via accompagnata da varie teorizzazioni, tipo quella dell’Heartland di Halford Mackinder, passate poi come un virus da Londra in declino a Washington in ascesa. La rivoluzione di ottobre non fece altro che approfondire questa contrapposizione esistenziale come va di moda dire adesso, facendo temere che la Russia non solo fosse una minaccia per il controllo de mondo, ma per il sistema capitalistico nel suo complesso.  In questo quadro i legami tra i servizi segreti di Sua maestà e successivamente della Cia con gli ambienti filo fascisti ucraini sono stati un filone importante, di questa storia. E chi vuole approfondire può cominciare da questo articolo sull’argomento.

«LE RADICI DELLA GUERRA»

Proprio dentro tale paradigma, mezzo secolo fa gli Usa diedero vita a una politica di riavvicinamento alla Cina per accerchiare e isolare l’Unione Sovietica, senza sospettare che l’ex celeste impero fosse capace di crescere in maniera così straordinaria da diventare negli ultimi 25 anni l’economia più importante del pianeta e soprattutto la prima potenza industriale e commerciale del mondo che sta surclassando gli Usa con il possesso del 90 per cento delle tecnologie critiche. Nonostante questo, si è continuata una partita a scacchi con Mosca, attraverso l’allargamento parossistico della Nato e si è programmato lo scontro finale in Ucraina, senza tenere conto che questo avrebbe riavvicinato in maniera decisiva Russia e Cina, ovvero il Paese con le maggiori risorse la mondo e quello con un apparato industriale che da solo è ormai più cinque volte più grande di quello dell’Occidente complessivo. Così adesso la nuova amministrazione americana sta tardivamente invertendo la politica inaugurata da Nixon all’inizio degli anni ’70 e cerca un modus vivendi con la Russia per potersi dedicare a contenere la Cina.

Perciò Washington sta cercando di chiudere la piaga ucraina che si oppone a questo nuovo corso anche a costo di alienarsi l’Europa che si è completamente compromessa nel conflitto e che di fatto ne ha subito conseguenze disastrose. Per le élite della Ue che hanno trascinato il continente dentro questo cul de sac, continuare la guerra è questione di sopravvivenza, anche se l’ipnosi dei suoi cittadini incapaci di autodifesa, allontana nel tempo una possibile resa dei conti. Pagheranno i loro figli. In tutto questo groviglio c’è anche il Medio Oriente e il tentativo di conservare il dominio sull’area del petrolio che è al contempo il pilastro su cui si regge il dominio del dollaro. Trump, evidentemente prigioniero delle lobby sioniste, non sta facendo nulla per allontanare da sé la responsabilità morale delle stragi a Gaza, in Libano e in Siria, anzi pensa di sfruttare la resistenza degli Houti come scudo morale e come pretesto  per minacciare l’Iran. Qui si intersecano in un gomitolo due questioni: la debolezza americana e il fatto che Teheran abbia un patto di assistenza con la Russia oltre ad essere una tappa importante della nuova via della Seta. Debolezza degli Usa perché le loro navi, come del resto avviene in molte marine europee e di altre parte del mondo, usa massicciamente i lanciatori di missili Mk 41 che servono per la difesa antiaerea, antisuperficie, antisommergibile, difesa missilistica balistica e attacco terrestre. Tuttavia, tali lanciatori non possono essere ricaricati in mare e dunque, una volta esauriti i missili del lanciatore il che può avvenire abbastanza velocemente in operazioni con uso massiccio di droni da parte dell’avversario, eventualità inesistente al tempo della progettazione del sistema, le navi devono andarsene per ricaricare i lanciatori. Ciò in molti casi vuol, dire tornare al di là dell’atlantico. Gli Houthi in sostanza hanno un vantaggio importante nella loro lotta. E tanto più lo avrebbero gli iraniani.

Per questo Trump minaccia a destra e a manca cercando scompostamente di aumentare la pressione per evitare di scoprire la propria vulnerabilità, ma così facendo vanifica il tentativo di staccare la Russia dalla Cina. I teatri di guerra insomma s’intersecano e s’intrecciano tanto più che la cortina di ferro eretta dalla Ue e dalla Nato contro Mosca, ha spinto quest’ultima a una rapida ridislocazione dei propri rapporti economici e commerciali verso l’Asia da cui non può e non vuole tornare indietro. Insomma, per la Russia Teheran è importante quasi quanto Kiev anche perché è proprio in Medio Oriente che c’è la testa del serpente che si nutre di petrodollari. Non è certo un caso se proprio in questa area l’Occidente complessivo permette, favorisce e persino si compiace di ogni orrore. La sconfitta in Ucraina sarà una catastrofe per noi, ma toccherà relativamente gli Usa: è in Medio Oriente che si giocherà la partita finale.

Redazione

 

 

 

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