Un’azione moscia. Anzi, solo uno spaventapasseri

LO SPAVENTAPASSERI


Un’azione moscia. Anzi, solo uno spaventapasseri.

Così Ben Gvir, Ministro della sicurezza nazionale di Israele e leader dell’estrema destra, ha sinteticamente liquidata l’azione su Ispahān Un attacco, se così vogliamo chiamarlo, puramente dimostrativo. Che ha causato ancora meno danni di quello iraniano di sabato scorso. Ovvero…

Nulla.

Perché Netanyahu doveva dimostrare una qualche reazione. È parte, integrante e fondamentale, della dottrina di difesa (chiamiamola così) israeliana. Colpire, e colpire duro, per evitare ogni minaccia alla propria esistenza.

 

 

 

 

 

 

La logica, questa logica, lo avrebbe spinto ad una rappresaglia pesante. Direttamente sul territorio iraniano e, in particolare, sulle centrali nucleari. Dove il Mossad teme si stia preparando un arsenale nucleare. L’unico armamento di cui Teheran non dispone ancora. E l’unico elemento che permette a Israele una superiorità strategica.

Attaccare l’Iran, però, non è attaccare Gaza. E il rischio militare sarebbe stato pesante. La deflagrazione in tutto il Medio Oriente. A partire dalla destabilizzazione delle monarchie sunnite del Golfo e, in primo luogo, della Giordania. Ormai palesemente schierata con Tel Aviv. Discorsi di facciata a parte.

Una sorta di Primavere Arabe rovesciate. Guidate da Teheran. Un incubo per Washington. Che ha rischiato di vedere vanificato tutto il lavoro fatto dalle ultime quattro Amministrazioni per creare un cordone sanitario che isolasse l’Iran e garantisse Israele. Un sistema di alleanze del quale i, famosi, Accordi di Abramo sono solo la punta emergente.

Una strategia complessa. Che non poteva venire messa a rischio per le intemperanze di Bibi e le furie della destra israeliana.

Per cui Washington ha fatto la voce grossa. E, probabilmente, minacciato Bibi. Niente più copertura aerea e difesa americana, se avesse attaccato ancora briga con Teheran. Copertura che si è rivelata essenziale per bloccare i droni iraniani.

E Netanyahu sa bene che gli iraniani, nel loro attacco, hanno utilizzato solo una parte minimale, e soprattutto vetusta, del loro arsenale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quindi ha dovuto accondiscendere ad una finzione di attacco. Una sceneggiata. Uno spaventapasseri. Probabilmente coordinata con Teheran per tramite di Washington.

Tutto bene quindi? Prima di tirare un sospiro di sollievo ci andrei molto cauto.

Intanto si è aperta una crisi di fatto in seno al governo israeliano. E il contrasto fra destra e centristi sembra sul punto di esplodere. Se l’unità nazionale andasse in frantumi, sarebbe d’obbligo il ritorno alle urne. Con gravi rischi per Netanyahu…

Inoltre, è ancora aperta la partita per Rafah. La voce – smentita, ma non si può mai dire – che Netanyahu avrebbe chiesto mano libera sull’enclave palestinese, in cambio di “moderazione” nei confronti dell’Iran, non permette a nessuno sonni tranquilli.

E se Rafah venisse trasformata in un carnaio, il precario equilibrio che la diplomazia americana sembra aver conseguito in queste ore salterebbe immediatamente.

Coinvolgendo, inevitabilmente, Teheran al di là dei suoi disegni. E, di fatto, sconvolgendo tutto lo scacchiere medio orientale.

Ala.de.granha
Andrea Marcigliano

 

 

 

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