L’inclusione si potrebbe chiamare odiocrazia

L’ODIOCRAZIA


I primi vagiti della nuova normalità riguardavano l’inclusione sia pure limitata a marginalità gender e una sorta di guerriglia contro l’odio condotta principalmente sui social, salvo scoprire che per incitamento all’odio si intendeva qualsiasi critica allo status quo globalista. In realtà ci troviamo nella società storicamente più intollerante e più incline all’odio di cui si abbia notizia nei tempi storici dove si fa la guerra a qualunque cosa ritenga il sinedrio globalista e il suo megafono mediatico che segue fedelmente e appassionatamente: è politicamente corretto odiare Russia, la cosiddetta disinformazione, l’antisionismo opportunamente confuso con l’antisemitismo, l’antivaccinismo, la transfobia, il comunismo, la cultura marxista, il negazionismo del cambiamento climatico, gli stupratori di bambini decapitati che esistono solo in forma di bit nell’ufficio di Netanyahu, Trump, il terrorismo di cui manca una definizione certa, il populismo che allo stesso modo rimane indefinito. Insomma, bisogna odiare per far parte del consorzio sociale, occorre scegliersi un nemico esistenziale. Chi non lo ha non può sperare in alcuna inclusione, ma può stare certo dell’esclusione.

Si potrebbe chiamare tutto questo l’odiocrazia che è la nuova religione espressa dalla rete sovranazionale di multinazionali, dai governi sovrani solo nominalmente, da entità non governative che effettivamente governano, da conglomerati mediatici, da oligarchi che addirittura come Musk fanno una loro politica estera, insomma da tutto ciò che compone il sistema capitalista globale il quale  sta guidando il corso degli eventi, ma riesce a farlo solo creando emergenze fasullo e dunque generando ostilità a catena. La traiettoria del capitalismo globale come sistema è evidente da parecchio tempo e tutti potrebbero vederla chiaramente se non avessero occhiali colorati di rosa che sono diventati obbligatori. Ciò che accade quando si entra in questo sistema di consenso sociale è che perdi la capacità di partecipare alla “realtà”. È come essere in un paese di cui non si parla la lingua o provare a giocare a un gioco di cui non si conoscono le regole e di cui si ignora lo scopo. Tutto il perimetro del consenso è delimitato esclusivamente dall’odio per qualcosa e non per la volontà di fare qualcosa di sensato.

Il fedele odiocratico non ha bisogno di altro perché dopotutto sta cercando di costruire una realtà nuova e totalmente astratta con i pezzi di quella vecchia e così assistiamo a desolanti spettacoli dove, tanto per fare un esempio della cultura anglosassone che tutto sommato è rimasta alla rivolta del The(1),  si confonde la prospettiva marxista con il reset del Wef, la ridicola lotta alla Co2 la cui concentrazione è una delle più basse da tre miliardi di anni a questa parte con l’ecologia, mentre il cambiamento di sesso diventa tout court il fondamento della libertà negata peraltro in quasi tutto lo spettro delle attività umane. Del resto, questo è il capitalismo: quando è libero di agire e non è frenato da alcun tipo di sistema di valori dominante – ad esempio, un sistema di valori religioso, culturale o sociale – trasforma la società in mercato e ogni cosa compresi gli esseri umani in merce. Perciò deve liquidare ogni altro valore di ostacolo al libero flusso di capitale finché non rimane che il mercato dove il valore di scambio è l’unico riferimento e nulla ha alcun significato reale in sé. Tutto il resto è solo vacuità: oggi si esalta la libertà di parola e il giorno dopo la si demonizza come portatrice di divisioni e l’opinione diventa reato a seconda di come vanno le cose e così accade con tutto e tutti: alla fine il vero tessuto connettivo che fa stare insieme tutto questi è proprio l’odio. Di solito è l’amore che lega, ma diciamo che si tratta di un sentimento pericoloso quasi quanto la lotta di classe per i mercati: invece se riusciamo a odiare rimaniamo soli e isolati dentro un io in ristrutturazione. E persino chi si oppone alla fine diventa egli stesso un odiocratico non riuscendo – e accade purtroppo molto spesso – a formulare un’alternativa politica.

Redazione

 

 

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