”Una nuova équipe di scrittori e sceneggiatori di fantascienza è stata istituita qualche mese fa dal Governo francese…
L’UOMO È ANTIQUATO
Una nuova équipe di scrittori e sceneggiatori di fantascienza è stata istituita qualche mese fa dal Governo francese con il compito di immaginare le minacce per la società del futuro, i possibili scenari di guerra e di pericolo per la sicurezza che emergeranno nei prossimi anni.
“Fateci paura, raccontateci i vostri peggiori incubi” è stato il singolare invito lanciato dalla ministra della Difesa, Florence Parly, al gruppo di visionari creativi.
A dire il vero non è la prima volta che si sente parlare di questo tipo di coinvolgimento in ambiti governativi, a dimostrazione di quanto possano essere sorprendentemente utili i pareri di chi è di solito abituato a usare la propria capacità immaginativa con lo scopo di generare e simulare i possibili futuri che ci attendono. E chi meglio degli autori di romanzi di fantascienza o dei cosiddetti futurologi per adempiere a questo arduo compito?
Si è completamente fuori strada se – quando si parla di futurologia, o meglio di Future Studies – si pensa ad una specie di arte indovina da moderni Nostradamus. Tutt’altro. Si tratta di una disciplina scientifica che ha iniziato a svilupparsi sul finire degli anni Settanta e il cui obbiettivo è quello di anticipare i grandi cambiamenti sociali, tecnologici e culturali e prevederne gli sviluppi attraverso l’elaborazione di scenari.
Ma la capacità di prevedere il futuro non è solo prerogativa di esperti di fantascienza e futurologi.
Non è così difficile, infatti, ritrovare il presente che si sta vivendo nell’enorme patrimonio letterario, nelle pagine dei grandi autori e filosofi del passato che a tratti sembrano divenire quasi una sorta di strumento profetico, come un dono arrivatoci ai nostri giorni per poter interpretare meglio la realtà circostante. Questo patrimonio oltre ad assumere oggigiorno un valore inestimabile e ad evidenziare l’esistenza di un costante parallelismo tra la società del passato descritta in molti libri e quella odierna, ci suggerisce anche altre importanti riflessioni.
Se da una parte l’idiozia criminale della cosiddetta cultura della cancellazione (cancel culture) sta mettendo a rischio la memoria di pensatori classici sconvenienti, dall’altra parte – nel nome di un totalitarismo ideologico paradossalmente mascherato da democrazia – la censura sta sempre più prendendo una piega preoccupante accanendosi su qualsiasi idea, opinione o dissenso non in linea con il conformismo imperante. Pertanto, anche il ricambio generazionale nell’ambito della letteratura non potrà che essere limitato agli autori che – alcuni dei quali anche solo per pura sopravvivenza – resteranno grossomodo all’interno dei paradigmi del pensiero decisi dall’establishment e dagli adepti del culto globalista.
È vero, mutano i contesti, le modalità e i riferimenti temporali, e la minaccia alla libertà di parola resta ciclicamente una costante lungo tutta la storia dell’umanità. Ma ora questo fenomeno assume una forma, se vogliamo, più inquietante, sviluppandosi all’interno di un contesto globale e digitale, divenendo strumento di controllo di una governance sociale che ha sempre più le sembianze di una tecnocrazia, con il sapere umano trasferito su cloud e ancora più soggetto alla vigilanza di chi ha il potere di tracciare la linea di demarcazione tra il dicibile e l’indicibile.
Dunque, più si limita la divulgazione della conoscenza dei pensatori autentici – liberi da condizionamenti, scevri da pregiudizi e ideologie imposte – e maggiormente si assisterà ad un appiattimento cognitivo senza precedenti, che in parte stiamo già vedendo.
Ora più che mai, mentre ci troviamo catapultati nel mezzo di una fase epocale di transizione, abbiamo invece necessità di sviluppare uno sguardo critico verso la realtà che ci circonda, di stimolare la capacità di analisi del presente per provare ad anticipare il nostro domani; ne abbiamo bisogno per prendere in mano le sorti del cambiamento anziché delegarle in esclusiva a futurologi o esperti al soldo delle élite, le stesse che quel futuro sono in grado di modellarlo in base alle proprie necessità.
Un tempo era cosa comune per l’uomo servirsi delle proprie innate capacità di anticipazione, di immaginazione del futuro, una facoltà naturale che ci ha sempre permesso di superare i periodi di crisi creando soluzioni e alternative. Era normale preparare le scorte per l’inverno, come fare figli per avere poi braccia forti per lavorare la terra o per avere un sostegno nella vecchiaia. Programmare e anticipare è sempre stato sinonimo di sopravvivenza e per certi versi un’autonoma forma di resistenza.
Oggi sembra che abbiamo perso quelle abilità cognitive che hanno permesso alla nostra specie di arrivare fino a qui. La realtà preconfezionata che ci viene quotidianamente proposta non richiede sforzo di interpretazione, di analisi o di ricerca; non stiamo più esercitando i nostri cervelli a ragionare, a pensare in profondità, a sviluppare le capacità di orientamento, di approccio, di gestione degli imprevisti. Ci limitiamo superficialmente al presente fatto di input creati da qualcun’altro, soluzioni smart e algoritmi che dirigono le nostre azioni e il nostro pensiero. In questo modo l’identità umana, condannata ad omologarsi, si altera fino a divenire muta, il fantasma di sé stessa. Distaccati dalla realtà, il mondo là fuori arriva solo attraverso degli schermi, si scambia la copia per l’originale.
E in tal senso bisogna ammettere che questo ultimo anno di distanziamento sociale e transizione digitale non ha fatto altro che accelerare questo processo in corso – per il quale certamente eravamo già da tempo predisposti – ed estremizzare oltremodo la tendenza a “vivere alla giornata”, accettando passivamente che siano le scelte altrui a determinare il nostro futuro.
È scientificamente appurato che da molti anni ormai stiamo vivendo l’inversione dell’Effetto Flynn, il fenomeno che fino alla fine degli anni Novanta consisteva nell’aumento del quoziente intellettivo medio: siamo più tecnologici, ma sempre più stupidi. E guarda caso, secondo molti studi, una delle cause (o conseguenze) è proprio l’impoverimento del linguaggio che dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, incapace di proiezioni nel tempo.
Ma senza parole, non esistono nemmeno i pensieri critici. E senza i pensieri critici non siamo altro che ingranaggi di un sistema. Facilmente manipolabili e incapaci di reagire.
«“Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può rivoltarsi. Bisogna fare in modo che l’accesso al sapere diventi sempre più difficile ed elitario. Il divario tra il popolo e la scienza, che l’informazione destinata al grande pubblico sia anestetizzata da qualsiasi contenuto sovversivo. Niente filosofia. Anche in questo caso bisogna usare la persuasione e non la violenza diretta: si diffonderanno massicciamente, attraverso la televisione, divertimenti che adulano sempre l’emotività o l’istintivo. Affronteremo gli spiriti con ciò che è futile e giocoso. È buono, in chiacchiere e musica incessante, impedire allo spirito di pensare. Metteremo la sessualità al primo posto degli interessi umani. Come tranquillante sociale, non c’è niente di meglio. In generale si farà in modo di bandire la serietà dell’esistenza, di ridicolizzare tutto ciò che ha un valore elevato, di mantenere una costante apologia della leggerezza; in modo che l’euforia della pubblicità diventi lo standard della felicità umana. E il modello della libertà. Il condizionamento produrrà così da sé tale integrazione, l’unica paura, che dovrà essere mantenuta, sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi di non poter più accedere alle condizioni necessarie alla felicità. L’uomo di massa, così prodotto, deve essere trattato come quello che è: un vitello, e deve essere monitorato come deve essere un gregge. Tutto ciò che permette di far addormentare la sua lucidità è un bene sociale, tutto ciò che metterebbe a repentaglio il suo risveglio deve essere ridicolizzato, soffocato, combattuto. Ogni dottrina che mette in discussione il sistema deve prima essere designata come sovversiva e terrorista e coloro che la sostengono dovranno poi essere trattati come tali”. (Günther Anders – L’Uomo è antiquato. 1956)
Illustrazione di copertina: John Holcroft
Marzo 13, 2021
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