Quando l’ignoranza si traveste da potenza mondiale: un viaggio tra i pregiudizi assurdi dell’America che comanda ma non conosce.

MA IN RUSSIA C’È L’ENERGIA ELETTRICA?

Il Simplicissimus

È una riflessione pungente e satirica sull’ignoranza culturale che serpeggia anche ai piani alti del potere statunitense. L’autore parte da esperienze personali – come il sospetto con cui americani delle zone rurali e perfino di città come Chicago accolgono l’idea che in Italia ci sia l’elettricità o l’ADSL – per denunciare un difetto sistemico: la visione del mondo distorta, infantilizzata e autoreferenziale che affligge gran parte della popolazione USA, inclusa l’élite intellettuale e politica. Un’ignoranza spesso ammantata da superiorità morale e geopolitica, che produce fraintendimenti comici ma anche pregiudizi pericolosi. Un pezzo che non fa sconti e che invita il lettore europeo a riconoscere, dietro la maschera dell’impero, un colosso disinformato. (f.d.b.)


Tutte le amministrazioni statunitensi soffrono di un handicap fondamentale: sono formate da americani, vale a dire da gente la cui percezione del mondo esterno è generalmente alterata, distorta, irrealistica. E questo vale sia per gli appena alfabeti che per i laureati della Ivy league che generalmente formano il nerbo della governance visibile e invisibile di Washington. Tanto per fare un esempio, nel mio primo viaggio in Usa mi venne chiesto se in Italia c’era l’elettricità e quando dissi che Milano è stata la prima città al mondo ad essere interamente illuminata dall’energia elettrica, sui volti degli interroganti si dipinse un’espressione di scetticismo come di fronte alla pietosa bugia del buon selvaggio. D’accordo, era un luogo abbastanza isolato e si trattava gente che a mala pena parlava un inglese comprensibile. Ma ciò non toglie che questo è il terreno di coltura: molti anni dopo una conoscente che viveva al centro di Chicago non riusciva a credere che io avessi l’Adsl mentre lei andava ancora a 56k, pensava che scherzassi ed è rimasta convinta di questo.

Donald Trump e il generale Keith Kellog

Ora è proprio tale sindrome che rende difficile se non impossibile il raggiungimento di un accordo sull’Ucraina. Ciò che Trump aveva promesso in campagna elettorale derivava sostanzialmente da quella che è stata chiamata “formula Kellogg”. che non ha nulla a che fare con i corn flakes, ma prende il nome dall’omonimo generale, inviato speciale per l’Ucraina e nell’entourage di Trump sin dall’epoca della prima presidenza. È stato lui a convincere The Donald che sarebbe stato facile aprire trattative con la Russia, partendo dal presupposto che Mosca fosse molto vulnerabile alle sanzioni, che avesse subito un numero di perdite straordinariamente elevate nel conflitto e che quest’ultimo fosse in una situazione di stallo. Dunque, il Cremlino non avrebbe visto l’ora di accettare un cessate il fuoco e di intavolare trattative di pace. Anzi Putin avrebbe considerato Trump un salvatore. Questo non si adattava del tutto alla narrazione globalista che ancora vaneggiava in merito a una possibile vittoria ucraina, ma era perfettamente conforme alla cultura americana di base secondo la quale non era possibile che la Russia prevalesse sulla Nato, perché a capo dell’Alleanza c’è l’invincibile America. E poi vuoi vedere che a Mosca non c’è nemmeno l’energia elettrica? (1) Se questo vi ha fatto sorridere amaramente, non perdete «LO SCONTRO FINALE TRA STORIA E FUTURO» un altro viaggio tra le illusioni di chi comanda senza ricordare.

Da tale groviglio è nato il grande equivoco nel quale si è incastrato Trump: la riconoscenza di Putin per essere stato salvato dalla Casa Bianca, avrebbe permesso a Washington di fare la voce grossa con l’Iran per accontentare gli amici sionisti e anche di mettere in crisi l’alleanza di Mosca con Pechino. Erano presupposti clamorosamente sbagliati eppure sono stati istintivamente creduti perché fanno parte del primo comandamento americano. E ci sono voluti tre incontro di Witkoff con Putin per accorgersi che la Russia non avrebbe accettato alcun cessate il fuoco fino a quando non fosse stato concordato un quadro politico generale, parte del quale era l’impegno scritto che ciò che resta dell’Ucraina non sarebbe stata accolta nella Nato. La speranza del piano Kellogg era quella di poter arrivare a una specie di conflitto congelato grazie al quale la Nato si sarebbe riservata la possibilità di riarmare Kiev. Ora il generale è caduto in disgrazia senza però che siano sostanzialmente cambiati i termini del discorso perché la percezione della realtà è molto più difficile dopo gli autoinganni. Sta di farro che Trump ora difficilmente riuscirà a sbrogliare la matassa visto che il perno attorno al quale girava la sua strategia era in realtà illusorio. Senza una vera pace con la Russia anche la ostilità con la Cina e con l’Iran segneranno il passo dentro un’infinità di tira e molla (già lo si è visto con i dazi) che non porteranno a nulla se non a un’ulteriore perdita di prestigio.

Im questo ambito la presidenza Trump è già fallimentare: secondo Emmanuel Todd che lo ha detto in una conferenza a Budapest di cui ovviamente non è stata data notizia, la sua elezione è stata proprio una reazione al declino economico, militare, morale, cognitivo e demografico degli Usa, ma alla fine rischia di rimanere vittima proprio di questo crepuscolo americano. E ora possiamo rivelare al signor Kellogg un segreto sorprendente: sì. in effetti in Russia c’è l’energia elettrica e non ci sono nemmeno blackout, anzi molte centrali nucleari americane vanno grazie al combustibile fissile che viene dalla Russia. Magari saperlo prima…

Redazione

 

 

 

«IL BLACKOUT “RINNOVABILE” DI SPAGNA E PORTOGALLO»

 

 

 

 

 

 

 

«LO SCONTRO FINALE TRA STORIA E FUTURO»

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