”È un mezzo fallimento dell’Europa tornare a cuccia sotto l’ombrello americano
MA ORA NON TORNIAMO A CUCCIA
SOTTO L’OMBRELLO AMERICANO
È un mezzo fallimento dell’Europa tornare a cuccia sotto l’ombrello americano. Non solo la copertura della Nato, ma anche l’ombrello da passeggio del modello americano. Negli anni passati avevamo fatto grandi balzi in avanti sia rispetto al mondo bipolare diviso tra Usa e Urss, sia rispetto al Nuovo ordine mondiale, modello globalizzazione a senso unico: erano sorte sovranità d’area, macro-spazi vitali, come li aveva delineati Carl Schmitt e più di recente Samuel Huntington. In particolare c’era stata l’unione europea e, su altri versanti, la rinascita della potenza russa, fuori dall’orbita dell’impero comunista sovietico. Ed erano risorte, e a volte insorte, le sovranità nazionali, le identità dei popoli, a partire dall’est.
Ora invece, torniamo indietro al signoraggio dell’America sull’Occidente, con il pretesto, tutt’altro che infondato, del pericolo cinese. Ma un conto è ribadire l’alleanza strategica per contenere l’avanzata della Cina che sta presidiando l’Asia, colonizzando mezz’Africa e invadendo il mondo con i suoi prodotti commerciali. Un altro è consegnarsi alla leadership americana. Per contenere l’avanzata cinese non occorre rinchiudersi in Occidente, semmai aprirsi ad altri mondi alternativi alla Cina, come la Russia, l’India e il Giappone, e magari anche l’Iran.
In ogni caso, non si tratta realisticamente di rimettere in discussione la NATO, benché sia tornato alto con Biden il rischio di essere trascinati in qualche sciagurata “guerra umanitaria”, come quelle che da Kennedy a Clinton, dai Bush a Obama, hanno funestato il mondo, occidente incluso. Ma si tratta di chiedersi: cos’è oggi l’egemonia americana, in cosa si traduce, cosa veicola nel mondo?
Oggi gli Stati Uniti esportano nel mondo il dominio di grandi multinazionali e dei colossi del web, consumi globali in competizione con quelli asiatico-cinesi, ma soprattutto una cosa: il delirio ideologico, moralistico, distruttivo, del politically correct e della cancel culture. Che è sorto da qualche decennio ma che in fondo è coerente, si addice, è fatto su misura per un Paese ed un Popolo che ha fatto del Nuovo, in antitesi all’Antico, del Presente, in antitesi al Passato e all’Eterno, del Moderno in antitesi al Classico, la sua bandiera identitaria e colonizzatrice nel mondo. Cos’è infatti il politically correct, e il suo assistente e buttafuori, la Cancel culture, se non l’applicazione estrema del nuovismo, del progressismo, dello spirito radical e ultra-liberal fino al marxismo, di quel sogno americano? Liberarsi dalla natura, dalla storia, dalla tradizione e da tutto ciò che ci lega alla realtà per correggere il mondo, raddrizzare la natura, rimuovere l’esperienza della tradizione: è il messaggio americano. Un messaggio che l’outsider Trump e la destra americana avevano in qualche modo avversato: sia perché esprimono spiriti conservatori, mondi old style, pratiche tradizionali; sia perché concentrandosi sul destino americano (America first), avevano scelto la via dell’isolazionismo, il ritirarsi dalle pretese egemonie planetarie e dal ruolo di guardiano e precettore mondiale. I conservatori americani hanno capito che oggi globalizzazione non vuol più dire conversione del mondo al modello occidentale e atlantico; ma vuol dire migrazioni di massa e dominazione cinese, flussi di popoli dal sud del pianeta e invasione di prodotti asiatici. Dunque meglio concentrarsi sull’America, piuttosto che pensare a redimere e sottomettere il mondo, dicono i conservatori.
I democratici, invece, sono il frutto e l’espressione di quella cultura espansionista e missionaria, progressista e moralista, che pretende di insegnare al mondo la libertà e i diritti umani, e di imporre la pace a suon di bombe e invasioni. E nell’alveo democratico trova naturale spazio il bigottismo politically correct corredato di cancel culture e di biopolitica applicata ai sessi, più l’accoglienza dei migranti.
Non dirò che Joe Biden e Kamala Harrys siano alfieri di quella cultura, anzi a volte mostrano di volersi dissociare. Ma oggettivamente il loro habitat politico e ideologico, la loro base elettorale, il loro mondo che li sostiene, è assai vicino a quel modo di pensare.
Per questo, dunque, la nuova americanizzazione nel mondo, il modello americano che vuole imporsi come codice umanitario e canone occidentale, è sostanzialmente quello che già patiamo con il P.C. e la cancel culture. Infatti il delirio di quel movimento arriva in Europa dall’Atlantico passando dall’Inghilterra (pensate alle follie del bigottismo progressista delle università britanniche, a partire da Oxford), transitando naturalmente per la vecchia Francia giacobina e colpendo la nostra Italia che ha avuto per mezzo secolo il più grosso partito comunista, più contorno di movimenti estremisti, post-sessantottini e radicali e benedizione catto-progressista.
Oggi più che mai occorre respingere l’identificazione del nostro destino e della nostra collocazione nell’ambito euroatlantico e filo-americano, perché nella vita corrente e nel comportamento collettivo conduce a quel tipo di modello, di (in)cultura e di becera intolleranza verso tutto ciò che resiste in natura, storia, cultura e tradizione a quella tabula rasa e quel rullo compressore.
Trattiamo con l’America, ma non facciamoci inglobare; non deleghiamo Biden a rappresentarci alle riunioni di condominio del pianeta.
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