Una storia mozzafiato tra residenti irritabili, profumo di lavanda, un inglese scomparso e un agente segreto in vacanza

Il primo capitolo di una nuova, straordinaria serie di gialli ambientati nell’entroterra della Costa Azzurra, con protagonista il commissario di polizia Isabelle Bonnet, detta Madame, Le Commissaire e il suo assistente Apollinaire.

Una storia mozzafiato tra residenti irritabili, profumo di lavanda, un inglese scomparso e un agente segreto in vacanza.

«L’affascinante ambientazione provenzale e i protagonisti ben caratterizzati fanno di questo libro una lettura irresistibile».

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La trama del romanzo

Il primo capitolo di una nuova serie poliziesca con due indimenticabili detective: il commissario Isabelle Bonnet e il suo assistente Apollinaire. Costretta a un periodo di riposo forzato, Isabelle Bonnet, ex capo della squadra antiterrorismo di Parigi, torna a Fragolin, ameno paese del Sud della Francia dove ha trascorso l’infanzia. Situato nell’entroterra della Costa Azzurra, in mezzo a boschi di querce da sughero e castagneti, Fragolin non dista molto dalla costa, eppure è lontano anni luce dal trambusto di Saint-Tropez, Cavalaire o Le Lavandou. Tuttavia, al suo arrivo, Isabelle trova inaspettatamente il paese in preda all’agitazione: due giorni prima una domestica ha scoperto in una villa il corpo di una giovane donna seminuda, colpita da diversi proiettili, uno dei quali le ha dilaniato la faccia. La tenuta appartiene a un inglese di cui si sono perse le tracce. L’uomo, del quale si sa molto poco, è ricercato dalla gendarmeria che lo ritiene il principale sospettato dell’omicidio. La vicenda non suscita più di tanto l’attenzione di Isabelle: nella sua vita ha visto ben di peggio. Ma qualche giorno dopo il suo superiore la chiama, le restituisce, secondo le sue parole, il grado di commissaire, ma di fatto la degrada, e le affida l’inchiesta su quel banale delitto di provincia. Una beffa per l’ex capo della squadra antiterrorismo di Parigi, accresciuto dal fatto che il capo del commissariato di Tolone le affida come assistente un certo Jacobert Apollinaire Eustache, un tipo goffo e maldestro che si è sempre occupato dell’archivio e non ha mai preso parte a un’indagine. Isabelle è, però, destinata a ricredersi ben presto. La vicenda della donna uccisa e dell’inglese scomparso rappresenta tutt’altro che un banale delitto di provincia. Primo capitolo di una serie, Madame le commissaire e l’inglese scomparso è un avvincente romanzo poliziesco in cui, nell’incantevole paesaggio provenzale, tra residenti irritabili e profumo di lavanda, si aggira una nuova, formidabile coppia di detective

Come inizia

1.

Chiuse gli occhi, e pochi secondi dopo le fu chiaro che era stato un errore. Il suo respiro diventò affannoso, all’improvviso avvertì il battito del cuore e un martellare alle tempie. Le parve di sentire dei passi veloci, vide un selciato bagnato dalla pioggia, una Citroën nera, l’ombra dell’Arc de Triomphe, e udì in lontananza le sirene della polizia… Poi ci fu un’esplosione di un bianco accecante dietro le sue palpebre e le onde d’urto le si propagarono nella testa; un attimo dopo era tutto finito. Ora era tutto nero e silenzioso, un silenzio di tomba. Il suo respiro si calmò. Si massaggiò le tempie con movimenti circolari. Poi riaprì gli occhi…

Isabelle Bonnet era seduta su un grande masso liscio sul ciglio di una strada provinciale poco trafficata. Si asciugò il sudore dalla fronte e cercò di pensare ad altro. C’era davvero profumo di lavanda o se lo stava solo immaginando? Il frinire delle cicale, però, era reale. Lasciò vagare lo sguardo sulla vastità del paesaggio, sulle colline che si perdevano da qualche parte nella luce tremolante. In lontananza intuì la presenza del mare azzurro. Le venne in mente un acquerello di Paul Cézanne, che come nessun altro aveva saputo catturare i colori incomparabili del paesaggio provenzale. Soprattutto quelle ammalianti tonalità ocra, l’azzurro dei campi di lavanda in fiore e lo strano velo argenteo steso su tutto. Nel suo appartamento di Parigi aveva appeso sopra il divano una stampa di quell’acquerello. Risvegliava ricordi d’infanzia quasi sepolti, ma che lei voleva tenere vivi.

   E ora era seduta lì, non davanti a un quadro di Cézanne, bensì nel mondo reale, all’ombra di una quercia da sughero, su un masso che le era così familiare come se vi si fosse seduta da bambina, con le braccia incrociate sulle gambe raccolte, a piedi nudi e con le trecce bionde. Quanto tempo era trascorso? Un’eternità… e qualche anno ancora.

   Isabelle Bonnet si passò le mani tra i capelli. Non erano più biondi, ma nemmeno grigi. Con un rapido movimento fece scivolare un folto ricciolo sul lato sinistro del viso. Era diventata un’abitudine, anche se era sola come adesso. I capelli coprivano una cicatrice che andava dalla fronte fino allo zigomo, scendendo accanto all’occhio.

   Spostò lo sguardo verso una catena di colline boscose, dove riuscì a intravedere le rovine di un monastero. Era stata lì da bambina, con suo padre, che le aveva raccontato la lunga storia della chartreuse, dei monaci che conducevano una vita ritirata pregando per l’umanità, di san Bruno, delle minacce d’incendio, dei saccheggi e della decadenza. Decise di fare una visita al monastero nei giorni successivi, non in macchina ma a piedi, lungo un sentiero che attraversava il bosco. Come un tempo con suo padre, quando lui era ancora vivo e il mondo era ancora a posto.

   Isabelle Bonnet pensò che avrebbe dovuto prendersela con calma, in fondo aveva tempo, come mai in vita sua. Sarebbe andata al mare e avrebbe cercato la spiaggetta con i pini dove aveva imparato a nuotare. Voleva andare in traghetto all’isola di Porquerolles, noleggiare una bicicletta e pedalare fino alla Plage Notre-Dame. Lì una volta aveva fatto un picnic con i suoi genitori e si era esercitata a fare la verticale in acqua. Le venne in mente che a Porquerolles Georges Simenon aveva trascorso alcuni anni della sua vita e vi aveva persino fatto svolgere un’indagine al suo commissario Maigret. Era di Simenon la frase che l’isola era il “distaccamento terreno del paradiso”. Fece un respiro profondo. Non credeva nel paradiso, né nell’aldilà e di certo nemmeno in questo mondo; più probabilmente credeva nell’inferno.

   Si riscosse, si alzò e si avviò verso la macchina. I primi passi le fecero male e la gamba sinistra non rispose come doveva, ma poi si riprese. Salendo in auto provò una fitta alla schiena. Tutto sommato, però, era abbastanza soddisfatta: era stata malissimo, ma ora stava migliorando. E c’era un lato positivo se i segnali di dolore arrivavano da tutte le parti possibili e impossibili del corpo. Non poté fare a meno di sorridere. Almeno in quel modo si era certi che c’era ancora tutto. Be’, in effetti esisteva anche il cosiddetto “dolore fantasma”, ma non voleva pensarci.

   Avviò il motore e affrontò gli ultimi chilometri. Presto avrebbe raggiunto la meta del suo viaggio, Fragolin, quel paesino nel dipartimento del Var, nel Sud della Francia, dove aveva trascorso la sua infanzia e da allora non era più tornata… tranne che nei suoi ricordi.

2.

Gli abitanti di Fragolin erano orgogliosi di vivere nell’arrière-pays, l’entroterra della Costa Azzurra nel Massif des Maures, in mezzo a boschi di querce da sughero e castagneti. Non distava molto dalla costa, eppure era lontano anni luce dal trambusto di Saint-Tropez, Cavalaire o Le Lavandou. Alcuni tra i più anziani del paese erano stati al mare solo una o due volte in vita loro. Le vieux Georges, che non aveva quasi più denti in bocca, ma beveva già il suo primo pastis la mattina e amava raccontare storie, sosteneva addirittura di conoscere il mare solo come una striscia blu in lontananza. Nel dirlo, sputava di solito con disprezzo per terra. Solo gli idioti megalomani bazzicavano da quelle parti, dove si prendevano malattie contagiose e ronzii nelle orecchie, com’era ben noto. Avrebbero dovuto approvare una legge per rendere la visita alle città costiere un reato punibile per le persone in buona salute. Al tempo stesso Fragolin avrebbe dovuto essere chiusa ai turisti, che inquinavano l’aria con le loro auto e sfrecciavano in lungo e in largo per le vie come pazzi. Di solito era quello il momento in cui Georges ordinava al più tardi un secondo pastis. Poi accendeva una Gitanes senza filtro, tossiva e iniziava a parlare della guerra.

   Ovviamente nessuno a Fragolin si spingeva a tanto, come il vecchio Georges. In linea di principio non avevano nulla contro gli avventori che salivano dal mare per spendere lì i loro soldi. Clodine, con il suo negozio Aux saveurs de Provence, viveva esclusivamente grazie ai turisti. A nessun locale sarebbe mai venuto in mente di comprare un sapone da lei, nemmeno i cœurs a forma di cuore al profumo di lavanda e limone. L’hotel Auberge des Maures era ricercato tra gli ospiti che amavano la natura e che facevano lunghe escursioni nella zona. C’erano il ristorante La terrasse provençale, consigliato anche dalla Guida Michelin, e il negozio di sughero, davanti al quale Alain aspettava, seduto su una vecchia poltrona, i turisti interessati alle ciotole che scolpiva. A Fragolin si erano stabiliti anche dei forestieri: alcuni artisti, una coppia che era scappata dalla Svezia, una manciata di inglesi e i proprietari di seconde case da Parigi, che vi soggiornavano di rado. Ma alla partita pomeridiana di pétanque davanti all’Hôtel de ville, il municipio, erano tutti del posto. Vigeva la regola non detta che solo i nati nel paese potevano prendere parte al gioco delle bocce. Fragolin era stata al passo con i tempi, ma in paese alcuni orologi sembravano andare più lenti, altri addirittura a un certo punto, molti anni prima, si erano fermati. Fragolin aveva mantenuto gran parte del suo carattere originale, forse perché le due strade che portavano al paese erano strette e tortuose. Per i turisti Fragolin non era così vicino come Ramatuelle, Grimaud o La Garde-Freinet. Il vecchio Georges si faceva il segno della croce. «Dieu m’en garde!» Dio non voglia!

Isabelle Bonnet si avvicinò a Fragolin lungo una strada fiancheggiata su entrambi i lati da platani. Attraversò un fiumiciattolo e si fermò brevemente sul ponticello. Cercò di ricordare la foto con il vecchio mulino… invano. Svoltò a destra, superò il negozio di sughero di Alain, che di certo non esisteva quando era bambina, e vide un cartello che indicava l’Auberge des Maures, dove aveva prenotato una stanza. A quel punto fu costretta ad arrestarsi. Alcuni veicoli erano fermi davanti a lei, il che era strano perché non ce n’erano quasi per strada. Alla fine scoprì il motivo del rallentamento, sotto forma di un’uniforme della Gendarmerie locale. Il brav’uomo aveva bloccato la strada e stava controllando i documenti. Isabelle sorrise: probabilmente era annoiato o quello era anche un modo per passare il tempo. Ma era un divertimento unilaterale. Si trastullò con l’idea di sorpassare le macchine sul marciapiede e mettere sotto il naso del gendarme uno dei suoi documenti d’identità, preferibilmente quello dell’Eliseo, che era firmato dal presidente della Repubblica francese e le concedeva tutti i privilegi, ma poi cambiò idea. Perché avrebbe dovuto farlo? Aveva tempo e si era fermamente ripromessa di rilassarsi. Così aspettò paziente il suo turno. Il gendarme la salutò e le chiese la carta d’identità e la patente. Aveva più o meno la sua età e Isabelle si domandò se fosse possibile che avessero giocato insieme da piccoli.

   «È della stampa?» chiese il gendarme con voce inaspettatamente aggressiva.

   Isabelle lo guardò con aria interrogativa. «Della stampa? Le sembro una giornalista? E perché vuole saperlo?»

   Il gendarme la fissò attentamente. «Risponda alla mia domanda! È della stampa?»

   «No» disse Isabelle. «Sono qui per rilassarmi e ho prenotato una stanza là più avanti in albergo».

   «Per rilassarsi, quindi. La terrò d’occhio!»

   «Potrebbe spiegarmi perché? È successo qualcosa?»

   «Nessun commento. Ma se lei è della stampa, passerà dei guai, e con me personalmente». Le fece cenno di proseguire. «Bonne journée!»

   Isabelle si era immaginata un’accoglienza più calorosa nella sua città natale. Poco dopo entrò nel parcheggio dell’hotel.

   Alla reception deserta suonò il campanello sul bancone. Ci volle un po’ prima che una grassa concierge si facesse avanti, però almeno sorrideva cordialmente e non sembrava scontrosa come il gendarme. Mentre Isabelle compilava il modulo per gli ospiti, specificando “dipendente statale” come lavoro e “vacanza” come motivo del soggiorno, la concierge le disse che le previsioni del tempo erano buone e spiegò che la colazione veniva servita dalle otto alle dieci, non era permesso fumare in stanza… e che le facevano male le ginocchia per il tanto lavoro. Quindi, poiché la cameriera quel giorno era di riposo, la signora doveva portarsi lei stessa i bagagli in camera.

   Isabelle rispose che non era un problema: non aveva molto con sé. Poi chiese se ci fosse un motivo per il posto di controllo in cui era appena capitata. Era successo qualcosa?

   La concierge indicò la prima pagina del «Var-Matin», il quotidiano regionale, posato sul bancone. «Ecco perché. Adesso danno tutti i numeri. Però non ci interessa. Quei due non erano dei nostri».

   Isabelle lesse il titolo: Fragolin: nessuna pista nel caso di omicidio! Sotto: «L’inglese scomparso è il principale sospettato del crimine. Chi è la donna morta?» Chiese se poteva prendere il giornale.

   La concierge annuì. «Non erano dei nostri» ripeté. «Allora perché tutto questo trambusto? Che si uccidano pure a vicenda, questi étrangers. Che importa? Danneggia solo gli affari…»

   Isabelle sorrise. S’infilò il giornale sotto il braccio, prese la borsa da viaggio e si diresse verso la sua stanza. Buttò tutto sul letto, aprì le persiane azzurre e guardò fuori la piazzetta con la chiesa. Quindi ora era lì… nel suo passato, che riusciva a malapena a ricordare. A Fragolin voleva ritrovare se stessa, risanare anima e corpo e scoprire come affrontare la sua vita futura.

  

Dopo essersi rinfrescata, Isabelle prese due antidolorifici e andò a fare una breve passeggiata. Innanzitutto si diresse verso la chiesa e il piccolo cimitero sul retro. Le ci volle un po’ prima di trovare la lapide. Era una strana sensazione vedervi scritto sopra il suo cognome: “Bonnet”. E sotto i nomi dei suoi genitori. La data di morte era identica. I suoi genitori erano rimasti uccisi in un incidente stradale. Isabelle congiunse le mani. Era tornata la ragazzina con le trecce, seduta sul sedile posteriore dell’auto e sopravvissuta per miracolo. I bambini hanno spesso un angelo custode, i loro genitori no. Guardò la tomba. Chi si occupava della manutenzione? Perché non aveva portato dei fiori? Mon papa, maman… la prossima volta: tornerò ogni giorno finché sarò qui.

   Salutò con un breve bacio, accese due candele in chiesa e si avviò per le viuzze tortuose. Divertita, si fermò davanti a un palo di legno con una quantità di frecce direzionali: Centre Village, Vieux Village, Église, Bibliothèque, Boulangerie-Pâtisserie, Boucherie, Écoles… Erano tutti a pochi passi l’uno dall’altro. Quello che le piaceva di più era il cartello che diceva «Toutes directions», con la freccia che puntava in alto, dritto in cielo. Oltrepassò due case talmente ricoperte di fogliame che le finestre si aprivano a stento. Una targa accanto a una fontana commemorava la «Résistance et Brigade des Maures» e i combattenti della resistenza uccisi dai nazisti nel maggio del 1944. Su una lavagna davanti al piccolo bistrot Chez Jacques, il couscous de poissons veniva offerto come plat du jour. Infine si ritrovò davanti a un grazioso negozio rivestito di pannelli in legno azzurro. «Aux saveurs de Provence» era scritto sopra l’ingresso in lettere d’oro ornate. Davanti, alcune ceste con vari saponi e tavolette nere. Le piacevano in particolare i cœurs nei colori pastello: verveine, vigne rouge ou lavande broyée. Quando per curiosità volle sbirciare nel negozio dalla vetrina, lo sguardo le cadde sull’adesivo con gli orari di apertura e il nome della proprietaria: Clodine Cassien. Isabelle sentì il cuore batterle improvvisamente più forte. Clodine Cassien? Non riusciva quasi più a ricordare i nomi della sua infanzia, ma quello sì. Clodine era stata la sua migliore amica da bambina. Per anni si erano scambiate lettere e cartoline, finché a un certo punto la corrispondenza era scemata. Clodine Cassien. Come mai il cognome da nubile? Domanda stupida, lo portava ancora lei stessa… perché la sua carriera era sempre stata così importante che si era completamente dimenticata di sposarsi. Ma quella era un’altra storia e non voleva pensarci. D’impulso entrò nel negozio, pieno fino all’orlo di prelibatezze provenzali e souvenir, che odorava come quei sacchetti di stoffa riempiti di lavanda, timo e rosmarino. Una donna dai capelli scuri che poteva avere la sua età stava sistemando bottiglie di olio d’oliva sullo scaffale.

   «Clodine?» chiamò Isabelle con cautela. «Sei tu?»

   La donna si voltò e la guardò con aria interrogativa.

   «Sono Isabelle, Isabelle Bonnet. Ti ricordi? È passato molto tempo…»

   Pochi secondi dopo si stavano abbracciando. Isabelle, che pensava di essere un osso duro e detestava il sentimentalismo, si rese conto di avere le lacrime agli occhi. Di lì a pochi minuti Clodine avrebbe chiuso il negozio per il pranzo e si accordò con Isabelle per incontrarsi nel piccolo bistrot dove il piatto del giorno era il couscous.Isabelle andò avanti, trovò un tavolo libero e si sedette. Quindi ora cominciava davvero a fare i conti con il passato! Era emozionata e si sentiva fortunata. Sul tavolo accanto c’era un’altra copia del quotidiano «Var-Matin» che aveva sul suo letto all’auberge, quella con il caso di omicidio in prima pagina, l’inglese scomparso e la donna morta non identificata. Sebbene avesse in mente Clodine e la sua infanzia, prese il giornale e scorse l’articolo. I fatti erano piuttosto scarni: due giorni prima una domestica aveva scoperto in una villa alla periferia di Fragolin il corpo di una giovane donna, seminuda, che era stata colpita da diversi proiettili, uno dei quali le aveva dilaniato la faccia. La tenuta apparteneva a un inglese celibe che non viveva lì da molto e del quale si sapeva poco. L’uomo era scomparso. La gendarmeria lo stava cercando, sospettando che avesse sparato lui alla giovane donna, presumibilmente la sua amante. Non erano stati trovati documenti d’identità della vittima, solo una borsetta con chiavi, rossetto e dei preservativi. Il viso era così sfigurato che era impossibile immaginare che aspetto avesse avuto. Isabelle piegò il giornale e lo rimise a posto. Il caso la lasciava indifferente: aveva già visto di peggio e in confronto quella era una specie di festa di compleanno per bambini. Ma doveva ammettere di essere sorpresa. Non si aspettava niente del genere nella tranquilla Fragolin. Tuttavia perché lì non avrebbero dovuto esserci crimini? Erano ovunque vivessero gli esseri umani. E lei lo sapeva bene.

Il tempo con Clodine volò. Brindarono al loro incontro con due bicchieri di rosé. Isabelle venne a sapere che Clodine non aveva figli, che era divorziata e aveva ripreso il suo cognome da nubile, e che aveva investito gli alimenti del marito nella piccola bottega, un sogno che aveva nutrito a lungo. Gli affari non andavano particolarmente bene, le riferì: Fragolin era un po’ fuorimano, ma durante la stagione estiva c’erano abbastanza turisti. Con il guadagno riusciva appena a superare i mesi difficili. Raccontò di suo fratello Pascal, proprietario della macelleria locale. Isabelle si ricordò del cartello con la scritta «Boucherie». Pascal era felicemente sposato e molto benvoluto in paese.

   La loro conversazione fu interrotta da un uomo alto con le tempie brizzolate, che si avvicinò per salutare Clodine. Le diede tre baci sulle guance, strinse la mano a Isabelle e fece una battuta in dialetto provenzale che Isabelle non riuscì a capire, ma lei si unì comunque alle risate di Clodine. Poi l’uomo si allontanò in fretta.

   «Thierry» disse Clodine, «il nostro sindaco e notaio. Lo conosco da molto tempo, è divorziato come me. È davvero simpatico, ma purtroppo non vuole saperne di me».

   Ora fu il turno di Isabelle di raccontare di sé. Non le piaceva farlo: quando si andava sul personale, di solito si chiudeva come un’ostrica. Ma con Clodine non poteva sottrarsi. La sua amica ricordava che lei era andata a vivere con la nonna a Lione dopo la morte dei suoi genitori, poiché all’epoca erano ancora in contatto epistolare. Finite le superiori si era trasferita a Parigi, aveva frequentato lì l’università e infine aveva ottenuto un impiego statale. No, non si era mai sposata e non aveva avuto figli; c’era stata qualche storia d’amore, ma al momento era di nuovo single. Ma non era un problema per lei, anzi, le piaceva stare da sola e non aveva voglia di dipendere da un uomo. Inoltre aveva sempre avuto molto da fare. Quando Clodine s’informo sulla sua salute, Isabelle rispose che era tutto a posto. «Pas de problème, tout va bien

   «Non eri molto brava a mentire neanche da bambina» disse Clodine. «Non stai per niente bene, l’ho capito subito».

   «No, invece, va tutto bene».

   «Che cos’hai alla gamba? In negozio ho notato che hai problemi a camminare. La cicatrice sulla tempia è evidente, e sembra piuttosto fresca. E quando abbiamo brindato ti tremava la mano. Hai avuto un incidente? A me puoi dirlo».

   Isabelle esitò. «Sì, un piccolo incidente» ammise, «novantasette giorni e sei ore fa. Ma ora sono di nuovo in forma». Accennò un sorriso. «Be’, quasi».

   Clodine le prese la mano. «Cos’è successo?»

   «Non voglio parlarne».

   «Questo non migliorerà le cose».

   Isabelle vuotò il bicchiere di rosé e fece segno al cameriere di portargliene un secondo. «Oggi non devo lavorare» disse in tono di scusa, «e non devo nemmeno guidare».

   «Allora, cos’è successo?»

   «Ha qualcosa… ha qualcosa a che fare con il mio… il mio lavoro…» balbettò Isabelle.

   «Avanti, dimmelo. Che impiego hai esattamente nello Stato?»

   Isabelle si guardò intorno e si assicurò che nessuno le stesse ascoltando. «Novantasette giorni e sei ore fa è esplosa una bomba a Parigi, vicino all’Arc de Triomphe…» S’interruppe.

   Clodine la fissò con occhi stupiti. «Intendi l’attentato al presidente, tutti quei morti… Eri lì?»

   Isabelle deglutì. «Sì». Di nuovo si sforzò di sorridere. Indicò la cicatrice. «A quanto pare, ero un po’ troppo vicino».

   Clodine avvicinò la sedia alla sua amica e l’abbracciò. «Che fortuna che tu sia ancora viva».

   Isabelle si accarezzò la ciocca di capelli sulla tempia. «Comincio a credere anch’io che devo essere felice di essere ancora viva. All’inizio mi sentivo uno schifo, desideravo solo morire».

   «Non capisco» disse Clodine dopo una pausa. «C’erano le unità operative speciali, era tutto transennato, il presidente è stato portato in salvo. Pensavo che nessun civile fosse rimasto ferito o ucciso. Solo i membri di una squadra segreta antiterrorismo…»  

   Isabelle annuì. «Sì, è vero».

   «Allora perché tu?» chiese Clodine.

   Isabelle bevve un sorso di rosé. «Perché io? Perché ero il capo della squadra antiterrorismo, ecco perché!»

   Clodine la guardò incredula. «Davvero? Hai salvato tu la vita al presidente?»

   «Forse sì, ma ho perso molti dei miei ragazzi. Ho fallito».

   «Sei un’eroina!»

   «No, ho rovinato tutto. La prima donna in questa posizione, e ho fallito».

   «Sciocchezze. Avrebbero dovuto darti una medaglia, invece».

   «La Grand-croix de la Légion d’honneur» sussurrò Isabelle.

   «La Gran croce della Legion d’onore? Mi sembra giusto, te la meriti un’onorificenza del genere».

   «È quello che pensava anche il presidente» disse Isabelle. «Mi ha decorato la scorsa settimana».

   «Incredibile!»

   Isabelle alzò lo sguardo, turbata. Si passò le mani tremanti sul viso. «Non so cosa mi abbia preso. Non avrei mai dovuto dirtelo. Le pastiglie, il rosé…»

   «Va tutto bene, non preoccuparti, non lo dirò a nessuno. Sono una persona riservata».

   Isabelle socchiuse gli occhi. «Riservata? Davvero? Non ti riconosco proprio più, è passata una vita».

   «Muta come una tomba» disse Clodine.

   Isabelle si rilassò. «Lo spero per te» disse con un sorriso, «altrimenti dovrò farti fuori!»

3.

Un’ora dopo Isabelle si avviò per tornare in albergo. Aveva raccontato a Clodine di aver rifiutato l’offerta del ministero degli Interni di andare in pensione anticipata a stipendio pieno. Si sentiva ancora troppo giovane: quarantacinque anni non era ancora un’età per mettersi in panciolle. Inoltre, non era nella sua indole. D’altra parte non si fidava ancora di tornare al lavoro, nonostante fosse stufa delle cliniche di riabilitazione e delle chiacchiere sul suo presunto disturbo da stress post-traumatico. Ecco perché si era presa un congé sabbatique a tempo indefinito, una pausa per rigenerarsi. Poi avrebbe pensato al da farsi. Il suo superiore, con il quale manteneva un rapporto amichevole, sapeva che lei era andata a Fragolin per rinfrescare vecchi ricordi d’infanzia e per ristabilirsi nella mite aria provenzale. La reputava una buona idea, ma era convinto che presto si sarebbe annoiata a morte lì.

Camminare sul vecchio acciottolato le procurava dolore, ma strinse i denti e cercò di non darlo a vedere. Attraversò la piazza davanti all’Hôtel de ville, dove alcuni uomini giocavano a bocce. Si fermò un attimo a guardare, poi scorse un grande pannello con una mappa panoramica di Fragolin. Si volevano agevolare il più possibile i turisti, ecco perché la presenza di tanti cartelli indicatori in paese. Ne era responsabile Thierry, l’affascinante sindaco che aveva incontrato al bistrot? Le era piaciuto, ma se c’era una cosa di cui non aveva bisogno in quel momento era un uomo. Non stette a rimuginare sul fatto di essere single e cercò invece sulla mappa la via con la villa dell’inglese. Nell’articolo di giornale era citata tra parentesi e lei aveva tenuto a mente l’indirizzo. Quando l’ebbe trovata, pensò che sarebbe stata una bella passeggiata. Forse da lì si godeva di una bella vista sulla campagna? Sorrise. Be’, era una scusa debole, lo capiva lei stessa. Ma dopo i lunghi anni alla Police nationale era in qualche modo programmata per recarsi sulle scene del crimine. Anche quando, grazie a Dio, lei non c’entrava nulla, come in quel caso.

   La strada era più ripida del previsto, ma a ogni passo i dolori alla gamba diminuivano: il movimento ovviamente le faceva bene. In cambio ora sentiva pulsare dietro la tempia, ma aveva imparato a ignorare quei particolari irrilevanti. Finalmente arrivò davanti alla casa. Era facile da riconoscere, per via del nastro rosso e bianco attaccato al cancello d’ingresso: «Gendarmerie nationale: Accès interdit!» Proibito entrare. Non aveva intenzione di ignorarlo e, in realtà, non sapeva bene perché fosse andata fin lì. Una bella villa, una donna morta e un inglese scomparso. Molto probabilmente un delitto passionale, semplice: l’uomo se l’era svignata da un pezzo e non lo avrebbero più trovato da quelle parti. Non c’era più molto da fare per la gendarmeria locale. Certo, sarebbe stato interessante scoprire l’identità della morta, ma presto nessuno se ne sarebbe più occupato. Il tempo passava rapidamente, le notizie invecchiavano in fretta… Isabelle fece un respiro profondo e lasciò vagare lo sguardo sulla campagna, poi giù fino ai tetti di Fragolin. Non c’erano dubbi che l’inglese avesse scelto bene l’ubicazione della sua villa. Forse in quel momento stava sognando la sua casa, le palme nel giardino e la vista meravigliosa? Se era davvero lui l’assassino, difficilmente ne avrebbe ancora goduto. Impossibile tornare.

   «Lei è proprio della stampa, lo sospettavo!» Isabelle si trovò davanti il gendarme che aveva incontrato al posto di controllo. Non lo aveva sentito arrivare. Prima non le sarebbe successo, era davvero solo l’ombra di se stessa; ora vide anche la Renault blu della gendarmeria parcheggiata dietro la casa.

   «Quante volte lo devo ripetere» ribatté lei, «non sono della stampa. Sono in vacanza qui e in questo momento sto facendo la mia passeggiata pomeridiana. Se non aveste sbarrato il cancello in modo così evidente, non mi sarebbe mai venuto in mente di fermarmi. Se vuole scusarmi. Au revoir». Si voltò e proseguì per la sua strada.

   Il gendarme si affrettò a seguirla. «Allora lei è una turista curiosa. Se c’è una cosa che sopporto ancora meno dei giornalisti, sono i guardoni che ostacolano le indagini della polizia».

   «Ah, quindi state indagando. Posso chiederle su che cosa?» domandò, in un tono più impertinente di quanto intendesse.

   Il gendarme alzò minacciosamente l’indice. «Stia attenta a quello che dice. Ancora una parola sbagliata e la denuncio per oltraggio a pubblico ufficiale».

   Isabelle cercò di trattenersi. In effetti esisteva una radicata e non sempre amichevole rivalità tra la Police nationale e la Gendarmerie militarmente organizzata, ma quel brav’uomo non c’entrava niente. Stava solo facendo il suo lavoro, anche se sembrava non sapere in cosa consistesse. Ma chi era preparato a gestire un omicidio in un posto sonnacchioso come Fragolin?

   «Potrebbe indicarmi la via più breve per l’Auberge des Maures?» chiese in tono conciliante. «Così si libererà di me».

   Il gendarme puntò la mano in una direzione vaga, mormorò alcune parole incomprensibili e si voltò. Isabelle pensò che fosse stata decisamente un’idea stupida cercare la villa dell’inglese. Non c’era assolutamente alcun motivo per farlo. La gendarmeria, che a quanto pareva era incaricata di indagare su quel caso – come accadeva solitamente nelle zone rurali – reagiva con irritazione ai curiosi. Isabelle lo capiva bene, e ne sapeva qualcosa lei stessa. Decise di stare alla larga da quel caso: aveva già abbastanza problemi con se stessa.

 

Tornata in albergo, si tolse le scarpe e si lasciò cadere sul letto. Vide sul cellulare un sms di Clodine, che la invitava a cena. Sarebbero andati anche suo fratello Pascal e la moglie Jeanne. Isabelle aveva una giornata faticosa alle spalle. Era stanca, ma le sembrava un’occasione piacevole. Chiuse gli occhi e si addormentò.

4.

I piatti con gli avanzi della cena erano ancora sul tavolo. Clodine accese una candela, Pascal versò dell’altro vino e la giovane moglie Jeanne accennò una vecchia canzone di Edith Piaf: Non, la vie n’est pas triste et le bonheur existe… Isabelle pensò che quella serata fosse la dimostrazione che la vita non doveva essere sempre triste. Sperava che la grande chansonnière avesse ragione: Tu peux tout changer… Si poteva davvero cambiare tutto, ricominciare in qualche modo e trovare una nuova felicità? Sarebbe stato bello.

   «Ancora due minuti e saranno pronti i tortini al cioccolato» annunciò Clodine. Dalla cucina aperta arrivava un profumo invitante. «Fondant au chocolat, dal cuore fuso, semplicemente fantastici».

   Isabelle si toccò la pancia, ridendo. «Non ce la faccio più».

   «Da piccola eri una golosona, ricordi?»

   «Se lo dici tu, sarà vero. Ma non sono più una bambina…»

   «Sì, stasera sì».

   «Allora non dovrei bere vino…»

   «Santé

   Brindarono. Era da tanto che Isabelle non si sentiva così bene.

   Mezz’ora e due tortini al cioccolato dopo, fece un altro tentativo di andarsene, che fallì per le proteste di Clodine e Pascal. Jeanne era sul balcone a fumare una sigaretta: aveva una gonna corta e delle belle gambe. Pascal avrebbe potuto trovare di peggio.

   Non senza orgoglio, Clodine raccontò che Pascal in passato aveva prestato servizio nella Légion étrangère, la Legione straniera, e per questo era rispettato da tutti in paese e spesso gli veniva chiesto di dare una mano quando si trattava di risolvere una controversia.

   Pascal liquidò la faccenda con un gesto e un sorriso. Non bisognava darci troppa importanza, gli faceva sempre piacere aiutare. Ma gli faceva ancora più piacere andare a caccia: era un chasseur fin nel profondo dell’anima.

«Ricordate i particolari dell’incidente in cui sono morti i miei genitori?» chiese Isabelle di punto in bianco.

   Clodine e Pascal si guardarono. «No, eravamo ancora bambini anche noi».

   «Non se ne è mai parlato in seguito?»

   «In realtà no» rifletté Clodine ad alta voce. «Tutto quello che so è che l’auto è uscita di strada».

   «Guidava tuo padre» disse Pascal, «questo è certo. Conosco la curva dove è successo: scende ripida dalla montagna, molto pericolosa. Oggi in quel punto c’è un guardrail»

   .Isabelle chiese a Pascal di descriverle in modo più dettagliato il luogo dell’incidente. Clodine andò a prendere carta e penna, e suo fratello fece uno schizzo.

   «Non credo che sia una buona idea rivangare il passato» disse Clodine a Isabelle. «Lascialo in pace, stai già vivendo un periodo abbastanza difficile nel presente».

   «Forse hai ragione. Ma so così poco dei miei genitori, quasi niente. La mia grand-mère di Lione non mi ha raccontato molto».

   «C’è un dipinto con il ritratto di tuo padre in municipio» disse Clodine.

   «Sì, è stato sindaco di Fragolin» aggiunse Pascal.

   «Non hai parenti in paese?» chiese Jeanne, che era tornata al tavolo.

   «No, nessuno. I miei genitori non avevano fratelli e io sono figlia unica».

   «Che triste».

   «In realtà questo non mi crea problemi. Ma così la mia storia è praticamente cancellata. Non c’è più nessuno che mi possa raccontare del passato. La mia grand-mère è morta quindici anni fa».

   «Dimmi un po’, la vecchia Florence è ancora viva?» chiese Clodine a suo fratello.

   «Sì, credo di sì» rispose lui.

   «Chi è questa Florence?» domandò Isabelle.

   «Florence Chapoulet è stata per molti anni la segretaria di tuo padre. Dovresti ricordartela».

   Isabelle scosse la testa. «Purtroppo no, l’ho dimenticata, come quasi tutto il resto».

   «Se vuoi davvero saperne di più sui tuoi genitori, dovresti farle visita. Ti faremo avere il suo indirizzo».

   «È una buona idea» disse Isabelle. «Bene, è arrivato il momento di salutarci. Devo andare a letto. Grazie mille per questa meravigliosa serata». Si alzò e li salutò con un bacio. Pascal e Jeanne la accompagnarono in strada. L’Auberge des Maures distava solo pochi minuti a piedi.

5.

La mattina dopo Isabelle si concesse il lusso di non alzarsi presto. Nel dormiveglia sognò una spiaggia solitaria con un grande pino, il mare azzurro con una barca a vela bianca, poi suo padre che la cullava in grembo, sua madre che le pettinava le trecce, profumati campi di lavanda… e squisiti tortini al cioccolato. Quando si svegliò, si rese conto con un sorriso di aver sognato solo cose belle. Era da tanto che non le succedeva. Le parve di sentire la voce di Edith Piaf: «Non, la vie n’est pas triste et le bonheur existe…» No, la vita non è triste, la felicità esiste…Più tardi mantenne la promessa fatta il giorno prima e andò a posare dei fiori sulla tomba dei genitori. Poi andò all’Hôtel de ville, dove trovò, proprio nell’atrio del municipio, la piccola pinacoteca con i ritratti degli ex sindaci. Si avvicinò per leggere le targhette di ottone con i nomi. Poi si fermò di fronte a quello di suo padre. Aveva un’aria severa ed estremamente dignitosa. Isabelle era colpita… e anche un po’ orgogliosa.

   «Le interessa la storia del nostro paese?»

   Isabelle si voltò. Dietro di lei c’era Thierry Blès, l’attuale sindaco di Fragolin. Era davvero un gran bell’uomo, si rese conto. Ma ancora di più la mise in agitazione il fatto di non essersi accorta, nemmeno questa volta, che qualcuno le si avvicinava da dietro. Non le piaceva affatto e la rendeva insicura.

   «No, non esattamente» rispose alla sua domanda.

   «Il dipinto di fronte a lei ritrae il maire Frédéric Bonnet». Thierry sorrise. «Era il mio pre-pre-predecessore, per così dire».

   «Lo so» disse Isabelle, «era mio padre».

   La guardò sbalordito. «Lei è sua figlia?»

   «Sì» rispose secca.

   «È un grande onore per me» disse Thierry, e le fece un perfetto baciamano. «Non ho conosciuto suo padre: sono nato poco dopo la sua tragica morte».

   «Quindi lei è di qualche anno più giovane di me» constatò Isabelle.

   Lui fece un’espressione dubbiosa. «Non può essere» disse galantemente. «Com’è possibile che non ci siamo mai incontrati?»

   «Dopo la morte dei miei genitori, mia nonna mi portò a Lione. Non sono più stata qui da allora, ecco perché».

   «Posso invitarla a cena» le chiese d’impulso Thierry, «per accoglierla ufficialmente a Fragolin in qualità di sindaco? La figlia del maire Bonnet, non ci credo».

   Isabelle ebbe solo un attimo di esitazione, poi acconsentì. «Volentieri, ma a una condizione: che lei non lo dica a nessuno».

   «Che andiamo a cena?»

   Lei rise. «No, chi sono io».

   «Mi risulterà difficile. Clodine lo sa, vero?»

   «Sì, Clodine sì, e anche suo fratello e la moglie Jeanne. Ma nessun altro, almeno per ora. Voglio stare tranquilla».

   Thierry promise di andare a prenderla in albergo alle otto. Sembrava davvero contento.

Meno di un’ora dopo Isabelle era in piedi davanti al guardrail in una curva stretta e fissava il burrone. Quindi era lì che i suoi genitori erano usciti di strada. Non c’era da stupirsi che non fossero sopravvissuti. Era molto più strano che a lei non fosse successo niente. Sembrava davvero che avesse un angelo custode particolarmente attento: le aveva salvato la vita per la prima volta da bambina e per la seconda volta esattamente novantotto giorni prima. Si voltò e guardò la strada. Suo padre era un guidatore così imprudente? C’era stato forse un difetto tecnico? E i testimoni? I suoi genitori erano morti sul colpo? Domande su domande a cui non aveva risposte. Tornò lentamente alla macchina. Nelle montagne russe delle emozioni, aveva appena toccato di nuovo il fondo.

Isabelle non scelse un percorso particolare per raggiungere il mare. Non aveva nemmeno in mente una destinazione precisa, ma svoltò in modo piuttosto intuitivo alle immancabili rotatorie e, dopo alcune peregrinazioni, arrivò effettivamente sul lungomare. Proseguì e parcheggiò dove vide dei gradini che scendevano verso l’acqua. Ora sedeva su una spiaggetta bella quasi come nei suoi ricordi, ma non altrettanto deserta. Indossava un costume da bagno e si era legata un pareo intorno alla vita. Era un po’ imbarazzata per le cicatrici sulla gamba sinistra e il colorito pallido della sua pelle. Poi pensò che non le importava, si tolse il pareo e si buttò in mare, ignorando il dolore. Nuotò verso il largo, alla deriva tra le onde, poi sentì i muscoli affaticarsi e tornò a stile libero verso la riva. A testa alta passò accanto alla gente fino al suo telo e si asciugò. Edith Piaf aveva ragione: «Tu peux tout changer!». Puoi cambiare tutto, dipende da te! Si sdraiò sulla sabbia e si godette il sole sulla pelle. Quella era la migliore terapia, e tutti i medici e gli psicologi potevano anche andare a quel paese.

In seguito si domandò se fosse stata una coincidenza che nel preciso istante in cui stava pensando a come cambiare la propria vita, il suo cellulare squillasse nella borsa da spiaggia. Sul display vide chi la stava chiamando. Ebbe un attimo di esitazione, poi rispose. Maurice non era solo un amico paterno, era il suo superiore al ministero degli Interni.

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L’autore

Pierre Martin, pseudonimo di uno scrittore tedesco, ha pubblicato sei romanzi della serie Madame le commissaire. Isabelle Bonnet e il suo assistente Apollinaire sono diventati in Germania dei veri e propri personaggi di culto, degni di figurare accanto alle più celebri coppie di detective del romanzo poliziesco.

 

 

  • Madame le commissarie e l’inglese scomparso
  • Pierre Martin
  • Testo in italiano
  • Cloud: Sì Scopri di più
  • Compatibilità: Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
  • Dimensioni: 1,5 MB
  • Pagine della versione a stampa: 288 p.
  • EAN: 9788865598320. Acquista €. 9,99

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