”Magistratura? Tra intercettazioni, lotte di potere e qualche dettaglio pruriginoso: le scandalose rivelazioni sul governo della “giustizia” in Italia. Che cosa ne penserebbe nonna Luigia e quale idea se ne fa l’uomo della strada?
Nonna Luigia frequentò solo la prima e la seconda elementare alla fine del secolo XIX. Vivace lettrice di giornali e riviste, aveva la saggezza e il senso della vita di chi ha allevato figli e nipoti e contemporaneamente condotto una piccolo commercio. Due erano le frasi che ripeteva più spesso, nel suo italiano dialettale. Studia, così ti farai una posizione, era la prima. Pura teoria; avremmo imparato presto, noi nipoti, che le cose non stavano così. La seconda la ricordiamo pronunciata con gravità, le parole lente e ben scandite: state lontani dalla giustizia! Voleva esprimere un forte invito all’onestà, ma contemporaneamente indicare la diffidenza verso tutto quanto sapesse di garbugli, leggi, aule di tribunali.
Abbiamo ripensato spesso a quelle parole, più che mai adesso, in mezzo alle scandalose rivelazioni sul governo della cosiddetta “giustizia” in Italia, tra intercettazioni, lotte di potere, colpi bassi, incontri tra politici e magistrati per orientare scelte, innalzare o distruggere carriere, pilotare inchieste giudiziarie, con il contorno di cene, fine settimana forse pagati da imprenditori e qualche dettaglio pruriginoso.
Se ne può parlare da mille punti di vista; noi scegliamo quello della persona comune. Che cosa penserebbe nonna Luigia, quale idea se ne fa l’uomo della strada? La prima osservazione è di natura generale; quando crolla un edificio, una nazione, una civiltà, tutto si sbriciola È vano pretendere che un’ala del palazzo resti in piedi, tanto più le fondamenta, i muri maestri e le pietre angolari. Non ci sono più zone franche, neppure nella funzione giudiziaria, uno dei tre poteri dello Stato moderno, insieme con il governo (esecutivo) e il parlamento (legislativo). I fatti, ad oggi, parlano di membri del Consiglio Superiore della Magistratura, organo di rilevanza costituzionale e di esponenti politici del PD alleati per pilotare nomine ai vertici delle procure e allontanare colleghi sgraditi a esponenti di quel partito. Alcuni evocavano il nome dello stesso Capo dello Stato, presidente del CSM. Incidentalmente, e senza alimentare sospetti, vale la pena ricordare che Mattarella fu imposto da Matteo Renzi all’apice della sua folgorante ascesa.
[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Magistratura? Tra intercettazioni, lotte di potere e qualche dettaglio pruriginoso: le scandalose rivelazioni sul governo della “giustizia” in Italia. Che cosa ne penserebbe nonna Luigia e quale idea se ne fa l’uomo della strada?[/stextbox]
Che cosa può pensare l’uomo della strada? L’istinto di base è il terrore. Non solo la giustizia è una giostra complicata e molto spesso incomprensibile, ma dobbiamo avere paura di essere travolti dalle sue spire, indagare a nostra volta sulle opinioni politiche, religiose, civili di chi ci accusa o giudica. Vengono i brividi, e diventa ridicola la regola aurea di ieri: male non fare, paura non avere. La paura è tanta, coglie anche noi che ci accorgiamo, scrivendo, di praticare una severa autocensura. Al telefono di Luca Palamara,magistrato potente, già presidente dell’associazione dei membri dell’ordine giudiziario, è stato applicato un trojan, una spia per intercettare tutto, anche i sospiri. Sarà legale, ma fa venire i brividi vivere in uno Stato in cui un pugno di signori e signore, investiti del potere di indagine, può entrare nella nostra intimità con pochi controlli di legittimità. Quis custodiet custodes? chi controllerà i controllori, è una vecchia domanda sempre più attuale e priva di risposta.
Le intercettazioni diventano “a strascico”, non risparmiano nulla e nessuno e talora, per la contiguità tra alcuni inquirenti e settori di stampa, il fango schizza su chiunque. Intanto è evidente che il normale modus operandi della classe dirigente è la costituzione di gruppi e camarille(1), l’uso mirato di dossier per colpire gli avversari, talora il vero e proprio depistaggio. Poco spazio ha avuto la notizia di indagini a carico di magistrati che avrebbero sviato l’inchiesta sull’attentato a Paolo Borsellino. Speriamo con tutta l’anima che si tratti di menzogne. Se fosse vero, sarebbero stati processati e condannati degli innocenti e alcuni soggetti a cui è affidata la funzione di giustizia sarebbero dei criminali.
Non ci nascondiamo dietro un dito. Le lotte di potere sono sempre esistite e investono anche le associazioni dei filatelici o i gruppi parrocchiali: è la natura umana. Proprio per questo, in un ambito tanto delicato come la giustizia devono sussistere regole nette e forti tempre morali. Noi siamo convinti che in ogni settore ci sia una maggioranza che lavora e manda avanti la baracca. Il livello del potere coinvolge quasi esclusivamente le personalità peggiori: non i più energici, determinati e motivati, ma i signori dell’intrigo, delle manovre e del colpo alle spalle. Nell’ambito della giustizia, tuttavia, tutto ciò diventa infezione e conduce da un lato alla sfiducia popolare e al discredito, dall’altro ad un clima in cui il cittadino, il funzionario onesto, il magistrato bene intenzionato, è inerme dinanzi a un sistema marcito. Non vi è soluzione, se non adeguarsi, cercarsi padrini e padroni, anche solo per quieto vivere. È la storia di tanta parte della vita nazionale, ma quando certi metodi sono applicati nel campo della giustizia, si resta sgomenti.
La democrazia liberale va orgogliosa della divisione dei poteri e dell’esistenza di organi di garanzia. I fatti parlano diversamente: il potere legislativo è ormai fagocitato dall’esecutivo, mentre istituzioni come la Corte Costituzionale sono lottizzati politicamente. La magistratura è divisa in correnti su base ideologica, veri e propri partiti organizzati. Nella debolezza della politica – il cui ruolo è largamente sorpassato dall’egemonia della finanza e da varie cupole tecnocratiche – l’unico potere forte “istituzionale” in Italia è la magistratura. In qualche occasione ha apertamente vietato la promulgazione di leggi sgradite (governo Berlusconi), applica con enorme potere discrezionale le norme vigenti, la Corte di Cassazione si attribuisce un improprio ruolo di orientamento e cambiamento, rivendicato in un’intervista da un suo alto esponente, il Consiglio Superiore diventa l’imbuto in cui confluiscono tutte le contraddizioni.
Jean Jacques Rousseau, nel Contratto Sociale, intuì che gli uomini del potere formano un corpo a sé. Bertrand de Jouvenel, nella sua esemplare opera Il Potere: origini, metafisica, limiti, rilancia, affermando che tale corpo – la magistratura lo è – vive animato da una volontà che mira ad appropriarsi la sovranità. Ancora Rousseau: “più questo sforzo aumenta, più la costituzione si altera; e siccome non c’è più nessuna volontà di corpo che resistendo a quella del Principe (il potere, N.d.R.) le faccia equilibrio, deve accadere presto o tardi che opprima il corpo sovrano e infranga il patto sociale.”
[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Lo scontro in atto nella Magistratura Italiana? Capiamo poco di giustizia, nulla di diritto, ma sappiamo che dinanzi alla cancrena, c’è solo la chirurgia![/stextbox]
Nell’assenza della politica, per pavidità e cattiva coscienza, la magistratura organizzata ha assunto un potere improprio, minaccioso. Troppo spesso gli inquirenti parlano ai media anziché attraverso atti giudiziari. A detta degli esperti, molte richieste di rinvio a giudizio e motivazioni di sentenze sono fumose, generiche, difficili da interpretare persino per il ceto dei professionisti del settore. Evidentemente, scelta e reclutamento degli uomini e delle donne in toga non funziona. Tacciamo di vicende come quella del corso in cui le candidate venivano esortate a un abbigliamento da serata danzante, ma la sola conoscenza del diritto non è requisito sufficiente per una carriera tanto importante, che mette nelle mani di chi la esercita la libertà, gli interessi, il destino, l’onore di ciascuno di noi. Nessuno pretende che i magistrati siano santi o asceti estranei alle lusinghe del mondo, ma non convince il continuo sbarco in politica di alcuni di loro.
Pensiamo, con rispetto per la persona, all’attuale candidato sindaco di Sassari, magistrato in attività. Vinca o perda, non potrà evitare il sospetto di non essere – o essere stato – imparziale per fini politici. Al termine del mandato, tornerà ad amministrare giustizia. Non è normale, come non lo è che due professioni tanto distinte come indagare e giudicare non siano separate: reclutamento, attitudini personali, curriculum formazione, devono essere diversi per carriere distinte. È sempre difficile evitare condizionamenti tra chi svolge la stessa funzione e lavora nello stesso palazzo dall’altro lato del corridoio.
Le costituzioni moderne danno grande rilievo alla funzione giurisdizionale. La nostra vi dedica l’intero Titolo IV della parte seconda, gli articoli dal 101 al 113. L’articolo 101 sembra al cittadino comune una dichiarazione svuotata di senso, una presa in giro. La giustizia è amministrata in nome di un popolo la cui sovranità è stata espropriata da diverse parti. I giudici sono soggetti soltanto alla legge: un principio sacrosanto a cui non sembra credere nemmeno Vladimiro Zagrebelsky(2). A margine dell’attuale crisi, egli nega che il compito del giudice sia esclusivamente quello di applicare la legge, riservandogli un diritto di interpretazione non previsto dai codici. Ovvio che ogni giudice abbia un cervello e una sensibilità, ma che dire di sentenze che mandano liberi spacciatori di droga in quanto quella sporca attività è l’unico sostentamento dell’imputato? Casi estremi, ma che attestano l’eccesso di discrezionalità dei magistrati, anche per responsabilità di leggi scritte male, (volutamente?) vaghe, contraddittorie nello sterminato corpus giuridico italiano.
È essenziale separare la funzione giudicante da quella inquirente. L’accusatore, cioè il procuratore della repubblica, ha compiti di indagine, disponendo direttamente della polizia giudiziaria. Per questo è così urgente – nelle trame di potere – sistemare al posto giusto i propri amici. A Roma innanzitutto, sede dei palazzi del potere politico, Milano per il rilievo economico e finanziario, Palermo capitale della criminalità organizzata e così via, compresa, nella vicenda presente, Firenze, per le indagini sulla famiglia Renzi e il suo grumo di potere, il Giglio Magico. E poi, giacché la battaglia interna si svolge a colpi di denunce e controdenunce, è essenziale controllare gli uffici deputati ad indagare sui colleghi, Brescia per i milanesi, Perugia per i romani, Caltanissetta per Palermo. Un risiko incomprensibile ai cittadini comuni che si augurano di non dover mai varcare le aule dei tribunali civili o penali.
[stextbox id=’black’ mode=’undefined’ color=’1e25e8′ bgcolor=’1e25e8′ bgcolorto=’1e25e8′]Il Capo dello Stato è il presidente del CSM? Incidentalmente, e senza alimentare sospetti, vale la pena ricordare che Mattarella fu imposto da Matteo Renzi all’apice della sua folgorante ascesa![/stextbox]
Temiamo che l’obbligatorietà dell’azione penale, prevista dall’articolo 112 per il pubblico ministero, sia trascurata per alcuni e cercata con accanimento per altri. Come arriva la notitia criminis? Segnalazioni, denunce, soffiate più o meno anonime esistono da sempre. Ciò che turba è che si possa individuare, anche attraverso l’abuso di strumenti importanti come le intercettazioni, prima il reo e solo dopo il reato. Magari è così in casi isolati, ma chi la pensa come nonna Luigia trema, dal momento che l’organo di garanzia più alto, il Consiglio Superiore, è nelle condizioni che sappiamo.
Che fare, dunque? Non lo sa nessuno, giacché di riforma della giustizia si parla da sempre e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Almeno, conserviamo la capacità di indignarci per certi comportamenti nella stessa misura in cui lo facciamo per i politici incapaci, per la corruzione diffusa e la malvivenza che ci circonda. Proprio perché la giurisdizione ha il compito di difenderci e fare giustizia, abbiamo il diritto di pretendere molto dagli uomini e dalle donne che ne fanno parte. Poi, ci siano norme severe che impongano ai magistrati di parlare solo attraverso gli atti e il divieto di svolgere attività politica. È un sacrificio grande, ai limiti della lesione di diritti soggettivi, ma non c’è alternativa né per chi giudica né per chi indaga e accusa. L’eccesso di discrezionalità non si combatte tanto con le sanzioni disciplinari, ma con il ritorno a un principio del diritto romano: nullum crimen nulla pena, sine legge scripta et stricta.
Nessun crimine, nessuna pena senza una legge chiara, inequivocabile, in grado di definire con certezza le condotte illegali. Di tale criticità non ha colpa la magistratura, ma la politica, le cui maglie si allargano o stringono secondo convenienza, in parte i tecnici del diritto padroni delle infinite finezze del linguaggio giuridico e un po’ anche l’esercito di avvocati, quasi 250 mila, che vivono da acrobati nelle pieghe della procedura e nelle astrusità delle norme. Nulla cambierà se non muterà il clima generale di una nazione in crisi esistenziale, nella quale i centri di potere servono innanzitutto a chi riesce a farne parte, in genere dopo battaglie fatte di intrighi, amicizie, sgambetti, appartenenze a questa o quella cordata.
La magistratura non fa eccezione, il suo prestigio è scosso, ma la debolezza della politica impedirà qualunque riforma. Riformare, poi, nell’Italia dei gattopardi, significa cambiare gli assetti del potere in base ai rapporti di forza del momento, mai assumere una prospettiva di lungo periodo, realizzare un progetto nazionale con lo sguardo alla storia. La crisi della magistratura non è che un elemento, il più doloroso per l’enorme importanza della funzione, di una crisi istituzionale, civile, morale della nazione diventata cancrena.
Capiamo poco di giustizia, nulla di diritto, ma sappiamo che dinanzi alla cancrena, c’è solo la chirurgia. In caso contrario, dovremo credere, come Lope De Vega(3) nel Siglo de oro spagnolo, che “Miglior giudice è il re”, oppure sperare che capiti come al mugnaio tedesco in lotta con l’imperatore, trovare un giudice a Berlino.(4)
NOTE
- (1) Camarilla (pronuncia: camariglia) è un gruppo di persone che hanno influenza su esponenti politici e che la usano per scopi di vantaggio personale. Per molti aspetti si tratta di un concetto assimilabile a quello di lobby, sebbene se ne distingua per la prevalenza di un fattore comune più prettamente politico, che lega fra loro gli aderenti, anziché economico.
- (2) Vladimiro Zagrebelsky (Torino, 25 marzo 1940). È un magistrato, giurista e accademico italiano, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo dal 2001 al 2010.
- (3) Félix Lope de Vega y Carpio (1562 –1635). È stato uno scrittore, poeta e drammaturgo spagnolo. Visse nel siglo de oro spagnolo. Fu incredibilmente prolifico ed è nel numero ristretto dei più famosi autori di teatro del mondo. Cervantes lo definì Monstruo de Naturaleza, “Prodigio della natura”, per la sua facilità nello scrivere. (
- (4) La lotta del mugnaio Arnold contro la giustizia corrotta. La storia è narrata nel libro Il Regno di Federico di Prussia, detto il Grande scritto da Enrico Broglio nel 1880, politico italiano che fu prima Ministro dell’Istruzione e poi dell’Agricoltura e dell’Industria. Nel volume Broglio racconta la storia del mugnaio Arnold di Sans-Souci e della sua lotta per ottenere giustizia contro i soprusi di un nobile, ed è qui che troviamo la frase «ci sono de’ giudici a Berlino». La vicenda è il resoconto di una storia successa realmente durante il regno di Federico. Il mulino dove lavorava Arnold era stato affittato alla sua famiglia da generazioni ed era di proprietà del Conte di Schietta. Un giorno del 1770 il Barone Von Gersdorf volle costruirsi una peschiera e deviò gran parte dell’acqua che alimentava il mulino. A causa di questo, il mugnaio non riuscì più a macinare il grano e a pagare l’affitto per il mulino. Disperato si rivolse ai giudici ma essi erano stati corrotti e diedero sempre ragione al barone. Arnold decise di rivolgersi al giudice supremo, il sovrano Federico il Grande, andando fino a Berlino. Esaminando il caso, Federico diede ragione al mugnaio e incarcerò i giudici corrotti.
Fonte: Wikipedia.
Francesca Rita Rombolà
21 Giugno 2019 a 16:14
Il povero, l’uomo della strada, l’indigente non ha mai creduto nella giustizia umana, men che meno ha mai avuto un poco di fiducia in essa. Quando mai i nostri nonni e bisnonni(specialmente al Sud)hanno pensato che un giudice potesse dar ragione a uno sconosciuto senza nè arte nè parte anzichè ad una persona dabbene?
Mia madre era solita dire una frase intorno alla giustizia “legale”, “dello Stato” il cui senso può essere reso così:”la Corte non da mai soddisfazione all’innocente”
Forse è davvero così, per noi poveri ignoranti senza “santi in Paradiso”.