Referendum disertato, quesiti confusi e sinistra in rotta: i diritti del lavoro usati come paravento per una battaglia già persa.

MAMMA, HO PERSO IL REFERENDUM

Il Simplicissimus

Mamma, ho perso il referendum – In un Paese dove le battaglie sociali si combattono più nei talk show che nelle piazze, il recente fallimento referendario su lavoro e diritti non è solo una débâcle politica, ma lo specchio deformante di una sinistra smarrita e di un elettorato disilluso. Lungi dall’essere un tentativo serio di ricostruzione del welfare, i quesiti – ambigui, tecnici e strategicamente calibrati per servire più la propaganda che il cambiamento – hanno rivelato il vuoto di idee e la manipolazione del linguaggio tipica del progressismo neoliberale. Non si trattava di difendere diritti, ma di reimpacchettare la sconfitta di ieri in una nuova sconfitta “dal volto umano”. Il crollo dell’affluenza, le posizioni ondivaghe di leader come Calenda, e il tracollo del “campo largo” mostrano che la recita è finita: il pubblico non applaude più. E intanto, i diritti del lavoro restano al palo, usati come esca, poi buttati via. (Nota Redazionale)


Questo dei referendum è uno dei casi in cui più che alla luna è meglio guardare il dito che la indica. In primo luogo, perché l’oggetto del contendere non era un satellite, ma piuttosto un asteroide in lotta di collisione con ciò che rimane dello stato sociale, proponendosi di immettere improvvisamente milioni di persone, 2,5 subito e in una breve prospettiva, un’altra decina in un contesto ormai logorato dalle predazioni degli ultimi 30 anni. Il resto, ovvero qualche marginale correzione alla distruzione dell’articolo 18 operata dal Pd una decina di anni fa con la connivenza del sindacato e mai messa in discussione, chiariscono il loro uso meramente strumentale. La formulazione dei quesiti era poi così ambigua che non se ne sarebbe fatto nulla in concreto. I diritti del lavoro sono stati prima scandalosamente stracciati e poi altrettanto scandalosamente usati solo per far passare il breviario globalista. Ed è significativa la posizione di Calenda che tramite “Azione” ha suggerito il no sui primi quattro quesiti e il sì al quinto. Tutto questo era chiaro fin dall’inizio, anche se, pare, all’insaputa del cosiddetto popolo di sinistra. Perciò sono più interessanti le reazioni scomposte di fronte a una sconfitta quasi certa, a un numero di votanti tra i più bassi nella storia delle consultazioni referendarie in questo Paese, per non dire che il 35% abbondante di no sul quinto referendum, riduce significativamente il campo largo.

Bene, dalle reazioni ne esce un panorama desolante dove si intrecciano una singolare incapacità di argomentazione e un atteggiamento infantile di rifiuto. Quella che ci ostiniamo a chiamare sinistra è ormai la parte più politicamente gracile dell’intero panorama italiano. Non peggiore, ma semplicemente avulsa da qualsiasi realtà e persa dietro mere petizioni di principio che non si incarnano mai in una vera capacità politica, ma vengono tirate fuori dal cilindro a comando. Lo dimostra benissimo la manifestazione per Gaza, tenutasi dopo quasi due anni di stragi ininterrotte e organizzata solo quando è arrivato il semaforo verde dai lontani e schermati palazzi del potere. Anzi a questo proposito va segnalata la tendenza dei giornaloni pro Sì e soprattutto del Corriere della Sera, di incolpare la folla di piazza San Giovanni, dell’insuccesso referendario, essendo troppo “spinto” sulla difesa delle ragioni palestinesi. Pensate che merde. Ma insomma si è letto di tutto e di più, si è scoperto che l’astensione non è una scelta politica come invece è nell’essenza stessa della democrazia rappresentativa, che il quorum è un’ingiustizia e bisogna eliminarlo, si è altresì trovato che la sconfitta deriva dal patriarcato o dal fascismo innato degli italiani (ma loro cosa sono?) che vogliono un duce o persino dal fatto che gli operai cercano l’annullamento del loro desiderio. Insomma, la dimostrazione di una regressione culturale e umana che, partendo dalla convinzione di essere moralmente superiori, non si lascia sfiorare da nessuna analisi sulle dinamiche in atto nell’intero mondo occidentale. Davvero ci si chiede cosa legga questa gente, quali testi sacri consulti e come riesca ad essere così autoreferenziale che sembra vivere ancora negli anni ’70, non essendosi minima accorta di cosa è cambiato in mezzo secolo, né della mutazione di ogni riferimento. Una cosa però è chiara: sono eminentemente la rappresentazione dell’Italia col culo al caldo, per intenderci. Così, per esemplificare le reazioni, tanto vale prendere il twit di una pasionaria qualunque che potete vedere in alto a sinistra e che esprime in maniera imperdibile, il dispetto dei bambini cui è stato negato un giocattolo.

Certo adesso Rothschild e Soros saranno scontenti dei loro più fedeli emissari, quelli che come accade ormai dall’inizio degli anni ’90, sono la punta di diamante della globalizzazione, quelli a cui è affidato l’assalto delle trincee perché ancora identificati storicamente come portatori di istanze sociali, ancorché queste siano state di fatto eliminate dall’ideologia corrente globalista. Gli altri, gli avversari, sono troppo vicini e dunque meno credibili come portatori d’acqua. Tutto questo mette in crisi, non la Meloni che naviga a vista, quanto invece Landini e la Schlein che, per contarsi, sono andati incontro a una sonora sconfitta politica. La stampa della destra reale, tipo Riformista, li considera dei pericolosi massimalisti. Nonostante tutto si continua a giocare.

Redazione

 

 

 

 

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