Il secolo dei grandi, interminabili Carnevali veneziani

MASCHERE VENEZIANE

Maschere. Mascherine, Bautte, Tricorni, Domino, Tabarri, merletti e Sole barocco, occhi di gatta, e Tarocchi… E la lista sarebbe lunga. Lunghissima. Perché innumerevoli sono le maschere del carnevale veneziano. Multiformi e multicolori, con la prevalenza dell’oro, del bronzo, dell’argento. Ma anche a scacchi rossi e bianchi. O solo bianche ed inespressive. Inquietanti.
Le vedo su un sito di vendita online. Un artigiano che resiste, nonostante tutto. E persiste in quella che è arte antica della cartapesta e dei tessuti, dei pizzi, delle piume e degli smalti.
Arte rinascimentale ed ancor più barocca. Arte del secolo leggero per eccellenza, il ‘700. Il secolo di Goldoni e delle Dame galanti, di Casanova e di Valmont, della villeggiatura e dei grandi balli. Il secolo la cui colonna sonora è Mozart, quello degli ultimi Quartetti d’archi, quello dello scintillante “Così fan tutte”.
Il secolo dei grandi, interminabili Carnevali veneziani. Gli ultimi, più splendenti bagliori nel crepuscolo della Serenissima.

Un po’ torpido, mi lascio andare al libero gioco di associazioni mentali. Immagini, ricordi, echi. Fantasticherie, se volete. Una specie di sogno desto di una notte non lontana dal Mezzo Inverno. Da Imbolc, come la chiamavano le genti celtiche. Una delle notti magiche per eccellenza…
O, volendo, il sogno di una delle Prime Sere di Carnovale. Per fare il verso al capolavoro goldoniano…

Una delle ultime sere di carnovale. Giandomenico Tiepolo – Il minuetto – Museo del Louvre, Parigi
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La mente, e la memoria, corrono ad un Carnevale di tanti anni fa. Nevicava su Venezia, ed è cosa abbastanza eccezionale ché la laguna tempera sempre la rigidità del clima.
Ma la neve, quella volta, era caduta a larghe falde. E a lungo. Coprendo tutta la città, proprio nei giorni culminanti di quel Carnevale. Ed era una atmosfera surreale. Non solo, forse neppure tanto, per i ponti e le rive completamente imbiancate, dove si camminava, a fatica, su una coltre ormai alta, morbida, farinosa. Surreale era il silenzio. Il silenzio che porta sempre con sé la neve, quando cade così, e tutto copre. I rumori e le voci, più ancora che le cose.
Eppure di rumori, suoni, voci ve ne erano. E tanti. Ma venivano filtrati, ovattati, resi opachi dalla neve.

Dossennus è un goffo e spassoso mimo del III secolo a.C.

Tutto era rallentato. Le voci, le persone. Ci si muoveva come in una sorta di recita, dove il regista, o meglio il capocomico avesse deciso che la frenetica farsa delle maschere dovesse sì aver luogo… ma luogo sospeso. Come in uno scorrere del tempo… altro. Lento. Incredibilmente lento.
Era, per altro, il Carnevale del gemellaggio con Napoli. Immediatamente successivo a quelli del Teatro. E Venezia era letteralmente rigurgitante di Pulcinella. Di tutte le dimensioni. Grandi, piccoli… Uomini e donne. Pulcinella grassi e magri, che ostentavano gobbe come il Dossennus dell’antica Atellana. Con il cappello a pan di zucchero, taluni con la cuffia o il Tricorno. Talvolta con il batocchio in mano. Lanciavano coriandoli, stelle filanti. Alcuni erano mimi. Altri, in gruppo, recitavano nel loro morbido dialetto. Mi sembrava di essere entrato in un affresco di Giandomenico Tiepolo.

Poi, c’erano le altre maschere. Quelle barocche e settecentesche, sontuose, rarefatte. Che ti davano l’impressione, in quel contesto innevato, di essere entrato in un altro mondo. Magico, incantato. O che fosse quel mondo ad aver fatto irruzione nel nostro.
Fantastiche, soprattutto, alcune figure femminili. Avvolte in grandi abiti, pizze, merletti, sete e broccati. Le grandi parrucche e acconciature più candide della neve stessa. E le maschere. Oro, argento, nere… Mascherine che sottolineavano occhi maliziosi, sopra a finti nei… e dando rilievo a bocche dalle labbra vermiglie. In quel contesto, una rosa rossa che si schiudeva sensuale, in un mazzo di rose bianche.
E grandi maschere che coprivano totalmente il volto. Maschere inespressive, fantasiosi soli, lune barocche… Facevano galoppare la fantasia. Tutte.
Nelle calli in ombra, alla fioca luce delle lampade, intuivi, più che sentire davvero, risate. E, talvolta, sospiri e gemiti.
Era un Carnevale straordinario. Il Carnevale di Venezia, certo. Ma di una Venezia irreale. Avvolta in una coltre di neve.

Ricordi. Più che altro sensazioni. Evocate da un Catalogo di Maschere veneziane. In una, torpida, sera di fine gennaio. Senza neve. Senza Venezia. Senza bellezza. E con ben altre maschere…

Andrea Marcigliano

 

 

 

 

 

Fonte: ElectoMagazine

 

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