Il futuro economico di Torino non sarà legato a ciò che resta di Mirafiori
NEL FUTURO DI TORINO NON C’È PIÙ STELLANTIS
Arriva l’assessore comunale torinese Chiara Foglietta a un convegno sul futuro industriale e non nomina, neppure per una volta, Stellantis. Ma non pare una dimenticanza. Perché il nome del gruppo francese in cui è confluita la Fiat è un tabù anche per altri relatori. E non è neanche uno sgarbo. Semplicemente si fa strada la consapevolezza che il futuro economico di Torino non sarà legato a ciò che resta di Mirafiori.
Industria sì, ma non quella che ha depredato i fondi pubblici e ha favorito la nascita di orrende periferie. Mentre il denaro volava all’estero, nei soliti paradisi fiscali dove solo ora viene scoperto.
Ovviamente, a fronte di questo sguardo verso il futuro che prescinde dagli Elkann, la Busiarda (la Stampa) non poteva restare indifferente. E il quotidiano degli Elkann è corso ai ripari intervistando il presidente degli industriali subalpini e facendolo parlare proprio di Stellantis. E delle 200mila vetture da produrre a Mirafiori anche se non si sa a chi venderle.(1)
Non sarà comunque facile organizzare un sistema economico alternativo. Tenendo conto che il turismo cresce, ma non è in grado di sostituire la manifattura, soprattutto a causa dei prezzi eccessivi per un numero in costante aumento di italiani costretti a ridurre viaggi e vacanze.
Il workshop di Iniziativa ha evidenziato il ruolo fondamentale dei territori per attrarre nuovi progetti e per far rientrare chi aveva delocalizzato credendo alla menzogna della globalizzazione senza limiti né confini. Ora si assiste ad una clamorosa marcia indietro che, però, deve fare i conti con il dato di realtà. A partire dalla carenza di fonti energetiche e di materie prime.
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Dunque è indispensabile puntare sulla creatività, sull’innovazione, sul personale qualificato. Tutti aspetti che richiedono investimenti. E, invece, le aziende che investono in ricerca e sviluppo sono poche, ma quelle che investono sulla formazione dei lavoratori sono ancora meno. Si preferisce favorire l’immigrazione che, in Italia, è ampiamente caratterizzata da scarsa qualità e mancanza di competenze. Perché chi ha qualità e competenze supera le Alpi e va a lavorare dove la professionalità è retribuita adeguatamente.
Mentre, per Torino, restano le solite ricette: nuovi obiettivi, nuovi prodotti, nuovi mercati. E poi economia circolare, efficienza energetica. Attraverso nuove figure professionali e la valorizzazione delle risorse umane. Ma nelle ricette non compare mai quella facile facile: adeguare la retribuzione al costo della vita, portare i salari ai livelli della vicina Milano. No, di questo non si parla mai…
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