”Non ho mai amato Andy Warhol…
NEL MONDO DI WARHOL
Non ho mai amato Andy Warhol. Non sono mai riuscito a considerarlo un autentico artista. Genialoide più che geniale. E un furbo di tre cotte.
Per carità, limite mio… non pretendo, certo, di mettermi a confutare tutti gli eccelsi critici e i raffinati intellettuali che lo hanno esaltato e beatificato. Io sono uno zotico che continua a pensare che una foto scolorita di Marilyn Monroe non possa venire comparata alla Venere del Botticelli.
Certo, la povera Marilyn era una gran gnocca. Ma Simonetta Cattaneo – la modella di Botticelli, la Donna più bella del ‘400 – era ben altra cosa. Guardare quella Venere che esce dalle acque non provoca pensieri libidinosi. Provoca la Sindrome di Stendhal.
Va però detto che Simonetta trovò un artista come il Botticelli, e un poeta come il di lui amico Poliziano, che la resero immortale. Marilyn, povera, solo Warhol con la sua Pop Art. Tacendo dello sfortunato matrimonio con l’algido Arthur Miller…
Che, poi, questa è altra cosa che non ho mai né compreso né digerito. Perché mai questa roba deve chiamarsi Pop, ovvero popolare. Quando piace solo agli intellettuali o autoproclamati tali. Quelli che si credono tanto intelligenti e superiori. Giotto era, anzi è popolare. E lo è Michelangelo. Se entri agli Scrovegni o alla Sistina ti emozioni. E capisci. Chiunque tu sia. Indipendentemente dal livello di istruzione…
Mentre ad una mostra di Pop Art la reazione di persone dotate di sensi comune, si avvicina inevitabilmente a quella di Alberto Sordi e gentile Signora nell’indimenticabile “Le vacanze intelligenti” …
Comunque, non volevo polemizzare con l’ombra, presumibilmente inquieta, di Warhol. Né tantomeno con i suoi apologeti. Anzi… proprio l’opposto. Perché mi sto sempre più rendendo conto che forse non sarà stato un grande artista, ma certamente era, a suo modo, lungimirante. Profetico. Perché il mondo in cui viviamo, o meglio sopravviviamo, sembra proprio una fotocopia di Warhol. Una finzione di vita. Dove tutti, per convincersi di essere qualcosa, cercano disperatamente i loro cinque minuti di celebrità. Basta aprire Facebook. O meglio (anzi peggio ancora) Instagram.
Esibizioni di Milfone o di Lolite nelle più diverse, improbabili pose. E in costumi succinti, o palesemente acquistati alla svendita di qualche Sexy Shop che ha anticipato il Black Friday… Ammiccamenti che ben poco lasciano alla fantasia, labbra gonfiate con la pompa da bicicletta schiuse come a promettere indicibili delizie… Intendiamoci bene. Nessun moralismo ipocrita e puritano. Alcune di tali immagini sono tutt’altro che spiacevoli da guardare. Tuttavia, lasciano un retrogusto di tristezza. Così come, per altro, i lunghi post autobiografici, le narrazioni autoreferenziali, le autocelebrazioni. E lasciamo perdere coloro che ci tengono ad informarci che ringraziano di cuore per gli innumerevoli auguri di compleanno ricevuti… E però lo scrivono alle sei del mattino del giorno fatidico. E i tanti che ritengono essenziale mostrarci le delizie dei loro deschi e…
Ho detto, prima, per convincersi di essere qualcosa. Qualcuno. Ma sbagliavo, a ben vedere. Perché in tutte le sue svariate declinazioni, questa furia di cercare visibilità sui Social, adombra soprattutto il disperato tentativo di dimostrare di esistere. E di dimostrarlo a se stessi prima ancora che agli altri… Ed un senso, desolante, di solitudine.
La Pop Art di Warhol è l’incarnazione, e l’anticipazione di tutto questo. Una distopia allucinata, come lo sguardo dell’artista. Non è arte, e ancor più non è popolare. Perché l’arte, ovvero la Bellezza non ha più diritto di cittadinanza nel mondo governato dall’Usura. E Ezra Pound lo aveva già rappresentato con, rara, potenza drammatica
“Con l’usura /non v’è Chiesa con affreschi di Paradiso /arpe e liuti…”
E, parimenti, non vi è più un Popolo, una comunità. Non vi sono più differenze, identità, civiltà. Solo una massa amorfa di solitudini. Anonima e anomica. Dove si cerca una disperata visibilità. Che è solo parvenza di vita. O meglio, una fotocopia alterata con colori tanto sgargianti quanto irreali. Fasulli. Come nei quadri di Andy Warhol, appunto.
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