Agatha Christie non andò mai a scuola, eppure è diventata la più grande scrittrice di gialli di tutti i tempi.

Agatha Christie.

Nata il 15 settembre 1891 a Torquay (Gran Bretagna), figlia minore del matrimonio di Fred Miller (Miller è il suo vero cognome) e Clara Boehmer. Da bambina aveva un carattere timido e ritirato, e rifiutava le sue bambole per giocare con amici immaginari. Suo padre, che viveva affittando appartamenti, passava la giornata a giocare a carte e morì quando lei aveva 11 anni, lasciando la moglie e i figli in bancarotta Agatha crebbe dunque in una famiglia borghese e non avendo frequentato alcuna scuola, viene istruita dalla madre, Clara Boehmer, donna della buona società e nonché dalla nonna e dalle governanti di casa. Tornata da Parigi dopo aver tentato gli studi per diventare una cantante lirica, conosce Archibald Christie, colonnello della Royal Flying Corps, con cui si fidanza.

Nel 1920 le venne l’idea, lavorando in un ospedale, come assistente nel dispensario, a contatto con i veleni, per il suo primo romanzo giallo che vedeva come protagonista l’investigatore belga Hercule Poirot, “Poirot a Styles Court”. Attraverso le avventure di quest’ultimo e dell’arzilla vecchietta Miss Marple fece la storia del genere “giallo/poliziesco”, influenzando generazioni di scrittori. Si misurò anche con il “romanzo rosa” pubblicando sei opere sotto lo pseudonimo di Mary Westmacott. Ricordata per capolavori assoluti come Assassinio sull’Orient Express e “Dieci piccoli indiani”, è, dopo Shakespeare, la scrittrice inglese più tradotta di sempre e i suoi romanzi hanno ispirato numerose versioni cinematografiche.

 

Ecco a voi Hercule Poirot.

   

Doveva essere un ispettore per avere una buona conoscenza del crimine. Doveva essere anche meticoloso e molto ordinato, decisi, mentre mi affaccendavo a raccogliere una serie di oggetti che avevo seminato nella mia stanza. Un omino preciso, con la mania dell’ordine, della simmetria, e una netta propensione per le forme quadrate piuttosto che per quelle tonde. E poi molto intelligente, con il cervello pieno di piccole cellule di materia grigia… ah, che bella frase, non dovevo dimenticarla. Bisognava anche che avesse un nome importante, un nome che non sarebbe sfigurato nella famiglia Holmes. Già, perché loro quanto a nomi… Come si chiamava il fratello di Sherlock? Mycroft, nientemeno. E se l’avessi chiamato Hercules? Hercules mi parve un ottimo nome per un omino così. Trovargli un cognome era più difficile. Non so assolutamente perché scelsi Poirot, se fu una folgorazione o se lo lessi su qualche giornale. Comunque mi parve buono, anche se non si legava bene con Hercules. E se fosse stato Hercule? Hercule Poirot… perfetto, grazie a Dio, era fatta.

Agatha Christie.

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Nido di vespe Titolo originale: Wasps’ Nest. Pubblicato per la prima volta con il titolo The Wasps’ Nest sul «Daily Mail» il 20 novembre 1928.Traduzione di Grazia Maria Griffini.

Trama.

Seduto sulla terrazza del giardino della sua grande casa, John Harrison riceve una visita inaspettata da Hercule Poirot. Il detective gli dice che sta indagando su un omicidio che non è stato ancora commesso, per far sì che non avvenga. John trova nel suo giardino un nido di vespe e affida al suo amico Claude Langton, il compito di eliminarlo. Claude avrebbe agito il pomeriggio stesso, usando della benzina, non essendo favorevole al metodo con il cianuro di potassio. Poirot appare sorpreso e riferisce di aver visto Claude comprare il veleno. Il detective sospetta che l’uomo voglia vendicarsi di John per avergli sottratto la fidanzata. È un lungo racconto, tra i migliori scritti dall’autrice. Pochi i personaggi, tra i quali domina per acume e tempestività Hercule Poirot. L’ambientazione delle azioni è limitata a un esterno – il meraviglioso giardino di una ricca abitazione inglese –, cui si aggiungono riferimenti ad altri luoghi, non descritti ma anch’essi solamente evocati. La singolarità del racconto sta nel fatto che in queste pagine non si consuma alcun omicidio… L’autrice, attraverso le parole di Hercule Poirot, sottolinea infatti come un bravo detective non solo debba risolvere l’enigma intorno al crimine compiuto, ristabilendo l’ordine sociale con l’identificazione del colpevole, ma anche prevenire il delitto. In questo caso l’intelligenza di Poirot è volta appunto a prevenire che il misfatto si compia; essa si avvale di una fitta rete di indizi che il detective cerca di collegare tra loro per giungere a conclusioni non certe, ma altamente probabili.

 

Nido di vespe

 

John Harrison uscì di casa e si fermò un momento sulla terrazza che dava sul giardino. Era un uomo alto, con il viso emaciato, cadaverico. Generalmente aveva un aspetto piuttosto triste e cupo, ma quando, come in quel momento, le sue fattezze irregolari si addolcivano in un sorriso, diventava subito molto attraente.

   John Harrison aveva una vera passione per il giardino, che mai era sembrato tanto bello come in quella sera di agosto, piena di tutto il languore dell’estate. Le rose rampicanti erano ancora magnifiche; l’aria era colma degli effluvi profumati del pisello odoroso.

   Un cigolio familiare gli fece voltare di scatto la testa. Chi stava entrando dal cancelletto del giardino? Un attimo ancora e, sul viso, gli apparve un’espressione di profonda meraviglia: la figura elegante e ricercata della persona che stava venendo avanti sul vialetto era l’ultima che si sarebbe aspettato di vedere in quella parte del mondo.

   «Ma è meraviglioso!» esclamò Harrison. «Monsieur Poirot!»

   Ed effettivamente si trattava proprio del famoso Hercule Poirot, la cui fama di investigatore era dilagata per tutto il Regno Unito e all’estero.

   «Sì,» disse quest’ultimo «sono io. Una volta mi avete detto: “Se dovesse capitarvi di passare da queste parti, venite a trovarmi”. Vi ho preso in parola ed eccomi qui!»

   «E io ne sono felicissimo» disse Harrison, con calore. «Venite a sedervi e a bere qualcosa.»

   Con un gesto ospitale, indicò un tavolo sulla veranda, sul quale era radunato un assortimento di bottiglie.

   «Grazie» disse Poirot, lasciandosi cadere su una poltrona di vimini. «Immagino che non abbiate qualche sciroppo, vero? No, no, lo pensavo infatti. Allora un po’ di acqua di selz semplice… senza whisky.» E aggiunse con voce piena di rammarico mentre l’altro gli metteva vicino un bicchiere: «Ahimè! mi si sono afflosciati i baffi. È il caldo!».

   «E cosa vi ha condotto in questo angolino sperduto?» domandò Harrison mentre si lasciava cadere anche lui su una poltrona. «Una gita di piacere?»

   «No, mon ami, sono venuto per affari.»

   «Affari? In questo posto fuori dal mondo?»

   Poirot annuì gravemente. «Ma certo, caro amico, non tutti i delitti vengono commessi in mezzo alla folla, eh?»

   L’altro si mise a ridere. «Immagino che sia stata un’osservazione un po’ stupida, la mia. Ma su quale delitto, in particolare, siete venuto a indagare qui… ve lo posso chiedere, oppure è meglio evitarlo?»

   «Potete chiederlo» rispose l’investigatore. «Anzi, preferisco che me lo chiediate.»

   Harrison lo squadrò incuriosito. Intuì che c’era qualcosa di insolito nel comportamento del suo interlocutore. «Avete detto che state facendo delle indagini su un atto criminoso» disse sondando il terreno con una certa esitazione. «Si tratta di un caso grave?»

   «Del genere più grave che ci sia.»

   «Volete dire…»

   «Un delitto.»

   Hercule Poirot pronunciò quella parola con un tono tanto grave che Harrison ne rimase profondamente colpito. L’investigatore lo stava guardando fisso e, ancora una volta, Harrison credette di scorgere qualcosa di tanto insolito in quello sguardo da non sapere come proseguire. Infine disse: «Non ho sentito parlare di nessun delitto».

   «No,» disse Poirot «non potreste averne sentito parlare.»

   «Chi è stato assassinato?»

   «Finora» ribatté Hercule Poirot «nessuno.»

   «Cosa?»

   «Ecco perché ho detto che era impossibile che ne aveste sentito parlare. Sto facendo delle indagini su un delitto che non è ancora avvenuto.»

   «Ma, sentite un po’, è assurdo!»

   «Niente affatto. Se si possono fare le indagini su un delitto prima che accada, è molto meglio che non essere costretti a farle in un secondo tempo. Si potrebbe perfino… ma è una modesta probabilità… impedirlo.»

   Harrison lo fissò con gli occhi sbarrati. «Non starete parlando seriamente, monsieur Poirot, vero?»

   «E invece sì. Sono serissimo.»

   «Siete davvero convinto che stia per essere commesso un assassinio? Oh, ma è inconcepibile!»

   Hercule Poirot concluse la prima parte della frase senza badare all’esclamazione di stupore dell’altro.

   «A meno che non riusciamo a impedirlo. Sì, mon ami, è proprio questo che voglio dire.»

   «Noi?»

   «Sì, lo avete notato, vero? Ho detto “riusciamo”. Mi occorre la vostra collaborazione.»

   «È per questo che siete venuto qui?»

   Di nuovo, Poirot lo guardò e, di nuovo, qualcosa di indefinibile diede a Harrison una vaga sensazione di inquietudine.

   «Sono venuto qui, signor Harrison, perché… be’… perché mi siete simpatico.» E subito aggiunse, con un tono di voce completamente diverso: «Vedo, monsieur Harrison, che avete un nido di vespe, qui. Dovreste distruggerlo».

   Il modo brusco in cui aveva cambiato argomento lasciò perplesso Harrison, che aggrottò le sopracciglia senza capire. Seguì lo sguardo di Poirot e disse, con voce alquanto stupita: «Effettivamente, è quello che ho intenzione di fare. O, diciamo meglio,è quello che farà il giovane Langton. Ricordate Claude Langton? Era invitato anche lui alla stessa cena durante la quale ci siamo conosciuti noi due. Deve venire stasera a distruggerlo. Pare che sia un genere di lavoro che gli piace».

   «Ah!» esclamò Poirot. «E come avrebbe intenzione di farlo?»

   «Adoperando petrolio e un nebulizzatore da giardino. Anzi, porterà qui il suo; ha una misura più comoda del mio.»

   «Però c’è anche un altro mezzo per distruggerli, vero?» domandò Poirot. «Non lo si fa anche con il cianuro di potassio?»

   Harrison parve leggermente sorpreso. «Sì, ma è roba un po’ pericolosa, quella. È sempre un rischio averla in casa.»

   Poirot annuì gravemente. «Sì, è un veleno mortale.» Attese un attimo e poi ripeté con la stessa voce grave di prima: «Veleno mortale».

   «Molto utile a chi vuole far fuori la suocera, eh?» rincarò Harrison con una risata.

   Ma Hercule Poirot rimase serio. «Siete proprio sicuro, monsieur Harrison, che monsieur Langton sia deciso a distruggere quel vespaio con il petrolio?»

   «Sicurissimo, perché?»

   «Una semplice curiosità. Nel pomeriggio, poco fa, ero nel negozio del farmacista di Barchester e, per uno degli acquisti che ho fatto, sono stato obbligato a firmare il registro in cui si annotano le vendite di sostanze velenose. Ho osservato la registrazione precedente alla mia, l’ultima. Si trattava di un acquisto di cianuro di potassio ed era stato firmato da Claude Langton.»

   Harrison lo squadrò sbalordito. «È strano» disse. «Proprio l’altro giorno Langton mi diceva che non gli sarebbe mai saltato in mente di adoperare quella roba; anzi, ha dichiarato che non dovrebbe neppure essere venduto per questo scopo.»

   Poirot spostò lo sguardo sulle rose. La sua voce era molto sommessa, e pacata, quando chiese: «Vi è simpatico Langton?».

   L’altro trasalì. Sembrava che la domanda lo cogliesse del tutto impreparato. «Io… io… voglio dire… certo che mi è simpatico. Perché dovrebbe essere il contrario?»

   «Mi chiedevo semplicemente se vi è simpatico» disse Poirot placidamente.

   E, poiché il suo interlocutore non rispondeva, continuò: «Mi sono chiesto anche un’altra cosa, e cioè se voi siete simpatico a Langton!».

   «Si può sapere a che cosa volete mirare, monsieur Poirot? C’è qualcosa in queste vostre parole che mi sfugge.»

   «Ebbene, sarò sincero. Siete fidanzato, monsieur Harrison. State per sposarvi. Conosco la signorina Molly Deane. È una ragazza affascinante, molto bella. Prima di essere fidanzata con voi, era fidanzata con Claude Langton. Lo ha piantato per voi!»

   Harrison fece segno di sì.

   «Non chiedo quali siano stati i motivi che l’hanno spinta a farlo; può darsi che avesse delle giustificazioni. Però c’è una cosa che voglio dirvi: non mi sembra illogico supporre che Langton non abbia né dimenticato né perdonato.»

   «Siete in errore, monsieur Poirot. Vi garantisco che sbagliate. Langton è sempre stato uno sportivo e ha accettato la situazione da vero uomo. È stato incredibilmente bravo e buono nei miei confronti… anzi, ha cercato addirittura di dimostrarsi pieno di simpatia e cordialità.»

   «E questo non vi colpisce come un fatto insolito? Avete usato la parola “incredibilmente”, eppure non mi sembra che consideriate “incredibile” il comportamento di quel giovane!»

   «Cosa vorreste dire, monsieur Poirot?»

   «Voglio dire» disse Poirot, e una nuova tonalità si era insinuata nella sua voce «che un uomo può nascondere il proprio odio finché non giunge il momento opportuno.»

   «Odio?» Harrison scosse la testa e scoppiò in una risata.

   «Gli inglesi sono molto sciocchi» disse Poirot. «Credono di poter ingannare chiunque. Ma sono convinti di non poter essere ingannati da nessuno. E proprio perché sono coraggiosi ma sciocchi, qualche volta muoiono quando potrebbero benissimo evitarlo.»

   «È un avvertimento quello che mi volete dare?» chiese Harrison a bassa voce. «Adesso capisco… ciò che mi ha lasciato perplesso e dubbioso. Mi volete mettere in guardia contro Claude Langton. Oggi siete venuto qui per avvertirmi…»

   Poirot annuì. Harrison si alzò di scatto. «Ma siete pazzo, monsieur Poirot. Questa è l’Inghilterra. Non succedono cose di questo genere, qui. I corteggiatori respinti non vanno in giro a pugnalare alle spalle la gente o ad avvelenarla. E poi, vi sbagliate su Langton. Quel ragazzo non farebbe male a una mosca.»

   «Non è la vita delle mosche che mi preoccupa» disse Poirot senza perdere la calma. «E per quanto diciate che monsieur Langton non sarebbe capace di ucciderne neanche una, dimenticate che, già in questo momento, si sta preparando a togliere la vita a parecchie migliaia di vespe.»

   Harrison non rispose subito. A sua volta il piccolo detective scattò in piedi e, avanzando verso l’amico, gli pose una mano sulla spalla. Era talmente agitato che si mise quasi a scuotere l’altro, che era un omone, mentre gli sussurrava nell’orecchio: «Su, amico mio, svegliarsi, bisogna svegliarsi! E poi, guardate… guardate dove vi sto indicando. Là, sull’argine, vicino alla radice di quell’albero. Vedete le vespe che tornano pacificamente a casa alla fine della giornata? Fra neppure un’ora tutto sarà distrutto, ma loro non lo sanno. Non c’è nessuno che glielo vada a dire. A quanto sembra, non hanno un Hercule Poirot. Vi ho detto, monsieur Harrison, che sono venuto giù per affari. Be’, il delitto è il mio mestiere. Ed è affar mio occuparmene prima che sia avvenuto, come dopo. A che ora verrà monsieur Langton per distruggere il vespaio?».

   «Langton non oserebbe mai…»

   «A che ora?»

   «Alle nove. Ma vi dico che vi sbagliate. Langton non…»

   «Questi inglesi!» gridò Poirot, accalorandosi. Poi afferrò cappello e bastone e si avviò per il vialetto, fermandosi un attimo ad aggiungere, voltando appena la testa sulla spalla: «Non rimango a discutere con voi. Finirei soltanto per andare in collera. Però mi avete capito? Avete capito che tornerò alle nove?».

   Harrison aprì la bocca per parlare, ma Poirot non gliene offrì l’occasione. «So bene ciò che direste: “Langton non oserebbe mai” eccetera, eccetera. Ah, Langton non… Comunque, sarò di ritorno per le nove. Ma, sì, mi divertirà… mettiamola così… mi divertirà veder distruggere un nido di vespe! Un altro dei vostri sport anglosassoni!»

   Non attese risposta e percorse a passo rapido il vialetto; poi uscì dal cancelletto cigolante. Non appena si trovò sulla strada, il suo passo si fece meno affrettato. Lasua vivacità scomparve, diventò serio e assunse un’espressione preoccupata. A un certo punto tirò fuori da una tasca l’orologio e lo consultò. Le lancette segnavano le otto e dieci. «Più di tre quarti d’ora» mormorò. «Chissà, forse avrei fatto meglio ad aspettare.»

  Il suo passo si fece ancora più lento; sembrò quasi sul punto di tornare indietro. Parve assalito da qualche vago presentimento. Tuttavia se ne liberò risolutamente e continuò a camminare in direzione del villaggio. Ma aveva l’aria ancora preoccupata, e un paio di volte scosse la testa come una persona che non è del tutto soddisfatta.

   Mancavano ancora pochi minuti alle nove quando si avvicinò nuovamente al cancello del giardino. Era una serata limpida e silenziosa; soltanto una lievissima brezza faceva frusciare appena le foglie. Forse c’era qualcosa di vagamente sinistro in tanto silenzio, come la quiete che precede la tempesta.

   Il passo di Poirot si fece impercettibilmente più affrettato. D’un tratto si sentì in preda all’angoscia… e pieno di incertezza. Temeva qualcosa, ma senza sapere bene di cosa si trattasse.

   E in quel momento il cancello del giardino si aprì e Claude Langton uscì rapidamente. Quando vide Poirot trasalì.

   «Oh… ehm… buonasera.»

   «Buonasera, monsieur Langton. Siete in anticipo.»

   Langton lo fissò. «Non capisco cosa volete dire.»

   «Avete già distrutto il nido di vespe?»

   «A dire la verità, no.»

   «Oh!» disse Poirot sottovoce. «Così, non avete distrutto il nido di vespe. E cos’avete fatto, allora?»

   «Oh, mi sono semplicemente seduto un po’ a fare quattro chiacchiere con il vecchio Harrison. Adesso, però, devo scappare, monsieur Poirot. Non immaginavo che foste rimasto da queste parti!»

   «Avevo qualche affare da sbrigare, capite?»

   «Oh! Bene, troverete Harrison sulla terrazza. Spiacente, ma non posso fermarmi.»

   E si allontanò a passo affrettato. Poirot lo seguì con lo sguardo. Un giovane nervoso, di aspetto piacente, ma con la bocca della persona debole di carattere!

   «Così, troverò Harrison sulla terrazza» mormorò Poirot. «Strano.» Oltrepassò il cancelletto e percorse il piccolo viale. Harrison era seduto su una sedia, vicino al tavolo. Era immobile e non voltò neanche la testa quando Poirot gli si avvicinò.

   «Ah, mon ami» disse Poirot. «Vi sentite bene, vero?»

   Ci fu una lunga pausa, e infine Harrison disse con una voce molto strana, attonita: «Come avete detto?».

   «Ho detto… vi sentite bene?»

   «Bene? Sì, sto bene. Perché non dovrei stare bene?»

   «Nessun brutto sintomo? Ottimo!»

    «Brutto sintomo? E perché dovrei avere qualche brutto sintomo?»

   «Per via della soda da bucato.»

   Harrison si riscosse di colpo. «Soda? Cosa state dicendo?»

   Poirot fece un gesto di scusa. «Mi rammarico infinitamente che sia stato necessario, ma ve ne ho messa un po’ in tasca.»

   «Mi avete messo qualcosa in tasca? E perché diavolo l’avete fatto?»

   Harrison lo stava fissando. Poirot, allora, si mise a parlare sommessamente, in tono impersonale, come un conferenziere che si adatti a dare spiegazioni a un bambino.

   «Vedete, uno dei vantaggi, o degli svantaggi, di essere investigatore sta nel fatto che si può fare la conoscenza di molte persone che rientrano nella classe dei criminali. E questa gente può insegnare un sacco di cose interessanti e curiose. Una volta, per esempio, c’era un borseggiatore… mi sono interessato a lui perché, per un caso molto raro, non aveva fatto quello che tutti dicevano che avesse fatto, e così sono riuscito a farlo assolvere. E costui, pieno di gratitudine, mi ha ripagato nell’unico modo che gli è venuto in mente… cioè, mi ha insegnato qualche trucchetto del mestiere.

   «Di conseguenza, sono capace di vuotare le tasche a un individuo, se ne ho voglia, senza che lui se ne accorga. Gli metto una mano sulla spalla, mi eccito, tremo tutto e lui non sente niente. Eppure, così riesco a trasferire dalla sua tasca alla mia ciò che vi era contenuto, lasciandoci, invece, un po’ di soda da bucato.

   «Vedete,» continuò Poirot con voce assorta «se un uomo vuole versare rapidamente un po’ di veleno in un bicchiere, senza che nessuno lo osservi, deve tenerlo nella tasca destra della giacca: è l’unico posto adatto. Così sapevo che sarebbe stato lì.»

   Si infilò una mano in tasca e ne estrasse qualche cristallino bianco, dalla forma irregolare. «Pericolosissimo…» mormorò «portarlo in giro così… sciolto.»

   Con calma, senza affrettarsi, tirò fuori da un’altra tasca una bottiglietta l’imboccatura larga, vi fece scivolare i cristalli, si avvicinò al tavolo e la riempì di acqua naturale. Poi, dopo averla ben chiusa con il turacciolo, la agitò finché i cristalli non si furono completamente disciolti. Harrison lo fissava affascinato.

   Soddisfatto della soluzione ottenuta, Poirot si avvicinò al vespaio. Tolse il turacciolo alla bottiglietta, allungò una mano restando distante il più possibile e versò la soluzione nel vespaio, poi indietreggiò di uno o due passi e rimase a guardare.

   Qualche vespa che stava ritornando al nido vi si posò, ebbe un lieve tremito e poi rimase immobile. Altre ne uscirono per morire. Poirot continuò a osservarle per un minuto o due e infine, dopo aver fatto segno di sì più volte con la testa, tornò alla veranda.

   «Una morte rapida» disse. «Una morte rapidissima.»

   Harrison aveva ritrovato la voce. «Fino a che punto sapete?»

   Poirot guardò dritto davanti a sé. «Come vi dicevo, ho letto sul registro della farmacia il nome di Claude Langton. Ciò che non vi ho raccontato, invece, è che quasi subito dopo mi è capitato di incontrarlo. Mi ha detto di aver acquistato del cianuro di potassio dietro vostra richiesta, Harrison… per distruggere un vespaio. La cosa mi ha colpito perché mi sembrava un po’ strana, caro amico, soprattutto perché ricordavo bene come, al pranzo di cui mi avete parlato, voi stesso avevate sostenuto i meriti superiori del petrolio e denunciato l’acquisto di cianuro come pericoloso e inutile.»

   «Proseguite.»

   «Sapevo qualcos’altro. Avevo visto Claude Langton e Molly Deane insieme in un momento in cui non credevano di essere visti da nessuno. Non so quale litigio da innamorati li avesse spinti, in origine, a lasciarsi e avesse fatto finire Molly tra le vostre braccia, Harrison, ma mi sono accorto subito che ogni malinteso era stato dimenticato e che la signorina Deane stava tornando al primo amore.»

   «Andate avanti.»

   «Sapevo anche qualcosa di più, amico mio. L’altro giorno mi trovavo in Harley Street e vi ho visto uscire dallo studio di un medico. È un medico che conosco, so per quale malattia lo si va a consultare, e poi avevo notato l’espressione della vostra faccia! Mi è capitato di vederla solo una o due volte in vita mia, ma è difficile confonderla. Si tratta dell’espressione di un uomo che ha sentito pronunciare la propria sentenza di morte. Sbaglio, o no?»

   «Avete perfettamente ragione. Mi ha dato due mesi di vita.»

   «Voi, caro amico, non mi avete visto, perché avevate ben altro a cui pensare. Ma io ho letto qualcos’altro sulla vostra faccia… proprio quello che gli uomini cercano di nascondere, come dicevo questo stesso pomeriggio. Ho visto l’odio, amico mio. Non vi preoccupavate minimamente di nasconderlo, perché eravate persuaso che non ci fosse nessuno a osservarvi.»

   «Avanti!» disse Harrison.

   «Non c’è molto altro da dire. Sono venuto giù, ho visto per puro caso il nome di Langton sul registro delle sostanze velenose, come vi ho spiegato, ho incontrato il giovanotto e sono venuto qui da voi. Vi ho preparato qualche trappola. Avete negato di aver chiesto a Langton di procurarsi il cianuro, o perlomeno vi siete mostrato sorpreso sentendo parlare dell’acquisto del veleno. Non appena mi avete visto apparire, siete rimasto sorpreso ma, subito dopo, avete intuito come capitasse a proposito la mia visita qui, e avete incoraggiato i miei sospetti. Da Langton sapevo che sarebbe venuto qui alle otto e mezzo. Voi mi avete detto di aspettarlo per le nove, pensando che sarei tornato e avrei trovato tutto già finito. Quindi sapevo tutto.»

   «Perché siete venuto?» esclamò Harrison. «Ah, se almeno non vi foste fatto vedere!»

   Poirot si raddrizzò. «Vi ho spiegato che il delitto è il mio mestiere» disse.

   «Delitto? Suicidio, vorrete dire.»

   «No.» La voce di Poirot si levò, alta e sonante. «Parlo di delitto. La vostra morte sarebbe stata rapida e facile, ma la morte che avevate preparato per Langton era la peggiore di cui un uomo possa morire. Era stato lui ad acquistare il veleno, lui a venire a trovarvi, Harrison; e – qui – sareste rimasti soli. Voi morite improvvisamente, nel vostro bicchiere si trova il cianuro e Claude Langton viene impiccato. Ecco il vostro piano.»

   Di nuovo Harrison si lasciò sfuggire un gemito.

   «Perché siete venuto? Perché?»

   «Ve l’ho già detto, ma c’è anche un’altra ragione. Mi eravate simpatico. Ascoltate, mon ami; voi state per morire, avete perduto la ragazza che amavate, ma c’è una cosa che non siete assolutamente: un assassino. E adesso ditemi: siete contento o no della mia visita?»

   Ci fu una brevissima pausa e poi Harrison si raddrizzò. Sul suo volto era affiorata una dignità nuova… l’espressione di un uomo che ha sconfitto quanto di più abbietto e vile può esserci in lui. Allungò una mano attraverso il tavolo.

   «Grazie a Dio, siete venuto!» esclamò. «Grazie a Dio, siete venuto!»

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