Il soggiorno italiano avrebbe favorito tanto l’umore che la produzione di intuizioni

Friedrich Nietzsche

NIETZSCHE, L’ITALIANO…


Friedrich Nietzsche aveva trentadue anni quando mise piede in Italia(1)per la prima volta. Prese un treno a Ginevra lasciandosi alle spalle le fiamme che avevano bruciato antiche certezze sulle quali si era formato ed una pallida luce, appena intravista, che fortemente sperava potesse illuminare grandi, seppur sofferenti, conquiste spirituali ed intellettuali. Dietro di sé rimaneva anche un amore intenso quanto impossibile deturpato da un odio che mai aveva immaginato di nutrire: Cosima Liszt ed il suo sposo Richard Wagner che era stato a lungo il suo “mito”, accorgendosi con colpevole ritardo dell’errore che ne squassò l’anima. Entrambi se li portava nel suo bagaglio invisibile: l’una disperatamente desiderata; l’altro ferocemente negato. Il dolore lo accompagnava attraversando le Alpi insieme con il desiderio di immergersi in una vita nuova.Il soggiorno italiano avrebbe favorito tanto l’umore che la produzione di intuizioni, idee, visioni. E perfino l’amore forse si sarebbe riacceso facendogli dimenticare per un qualche tempo Cosima, ma preparandolo ancora una volta ad illusioni non certo benefiche. Arrivando nella Penisola, prima fermandosi a Genova per proseguire poi per Napoli e Sorrento, Nietzsche faceva affidamento sulla concretezza solare della latinità per scacciare gli incubi nordici procuratigli dal funambolo di Bayreuth. I rapporti con Wagner si erano progressivamente guastati. A luglio aveva pubblicato la quarta “Inattuale”, una delle “considerazioni” più significative: Richard Wagner a Bayreuth che Nietzsche stesso sentiva come il congedo dal compositore per diversità di vedute sulle tante cose che pure avevano condiviso in tempi non lontani. Ma l’ombra di Cosima aleggia su questo testo che è il preludio dell’addio definitivo, mai formalizzato se non con il Nietzsche contra Wagner (2)del 1888 che poi rinuncia a pubblicare e vedrà la luce postumo. La “distanza”, comunque, con l’uomo che aveva ispirato buona parte della sua giovinezza, non gli impedì di assistere dal 23 luglio al 27 agosto alla prima rappresentazione a Bayreuth dell’Anello del Nibelungo. Fu l’ultimo “omaggio”, un segno di gentilezza, tratto tipico del suo animo, verso Wagner. Poi la “fuga”.

In Italia, dove tutto immaginava possibile, perfino la risalita dalla malinconia che lo condizionava nonostante l’affermazione ottenuta con la pubblicazione de La nascita della tragedia dallo spirito della musica (3)– un’opera autenticamente ed integralmente mediterranea –, effettivamente ebbe inizio ciò che si augurava al di là di qualsiasi ragionevole speranza: reinventare se stesso. In parte andò così. Ma le ragioni del cuore finirono per offuscare la bellezza sfiorata attraversando l’Italia dove tutto effettivamente ricominciò e tutto finì, come si sa, in quella grigia ed amata e nobilissima Torino non più capitale di un giovane regno, ma capolinea d’una accesa follia, quella che del distruttore della “morale borghese” la cui ultima carezza – umana, troppo umana – fu per un cavallo imbizzarrito a causa delle frustate di un villano cocchiere all’ombra di Palazzo Carignano. La dolcezza pietosa di un mite ed aristocratico filosofo tedesco donata ad un orgoglioso animale incattivito suo malgrado è l’ultimo atto “pubblico” di Nietzsche, il suo addio al mondo esterno prima di rinchiudersi definitivamente nel “suo” mondo interiore, nell’apparente quiete di Jena prima e di Weimar poi, fino al termine dei suoi giorni che arrivò il 25 agosto 1900. La scena torinese, rappresentazione di un dolore che non riusciva più dominare, colpì gli astanti stupefatti. Immaginiamo che sarebbe piaciuta a Zarathustra.

“Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te.” Friedrich Nietzsche

La “scoperta” dell’Italia fu per Nietzsche una sorta di viaggio iniziatico che s’interruppe soltanto dopo molti anni, come ricordato, nel gennaio 1889 a Torino. Ma a più riprese fissò nella Penisola i percorsi della sua anima verso l’acquisizione di quella libertà di spirito che avrebbe espresso compiutamente nello Zarathustra

«Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a coloro i quali vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!»

 

 

 

 

 

Il viaggio compiuto dall’aprile 1881 al maggio 1882 resta indubbiamente il più denso di eventi e di significati per la vita stessa di Nietzsche. Fu a Genova, a Venezia, a Messina, a Roma, a Orta… Nella capitale italiana incontrò in casa di Malwida von Meysenbug, la giovane affascinante ed intellettualmente temeraria Lou Salomé: un incontro che diventò amore e molto di più. Con lei e con Paul Rée avrebbero costituito un’eccentrica “trinità” della quale molto si sarebbe parlato negli anni a venire ed ancora oggi, dopo quasi un secolo e mezzo, il teorema del singolare triangolo amoroso ed intellettuale non è ancora stato del tutto risolto. A Venezia, città musicale per eccellenza secondo Nietzsche, dove si annullò nella bellezza stordente che quasi lo annichiliva, egli maturò, stupendosi della capacità di immedesimarsi con i luoghi dai quali si faceva avvolgere, la coscienza di una filosofia vittoriosa che avrebbe avuto il culmine lontano dalle “distrazioni” di una terra ricca di suggestioni: a Sils-Maria, in Alta Engadina, un piccolo villaggio di pastori ai margini del dolce lago di Silvaplana. Ma lassù, tra quei monti silenziosi, si portò tutto quanto aveva raccolto in Italia.

Lou Salomè, Paul Rée e Nietzsche

 

Non era poco, come avrebbe capito Guy de Pourtalès, lo scrittore cosmopolita, infaticabile biografo di compositori e pensatori, nel suo Nietzsche in Italia del 1929, pubblicato nella nostra lingua per la prima volta nel 1945 che le edizioni Historica riproposero nel 2016 e da qualche mese le edizioni L’unica hanno rimandato in libreria. Esso costituisce il contributo migliore alla comprensione del rapporto davvero “amoroso” del filosofo tedesco con l’Italia e non soltanto per gli intrecci umani e sentimentali che ebbero tante città come sfondo, ma proprio per l’influenza che l’Italia esercitò sull’anima di un uomo le cui tempeste spirituali si sono per buona parte trascinate nella Penisola che egli considerò una sorta di rifugio nei momenti più drammatici della sua esistenza.

Guy de Pourtalès in questo suo libro, lirico ed appassionato, ma al tempo stesso rigoroso nella ricostruzione degli itinerari del filosofo, offre anche un’interpretazione per niente scontata di alcune delle tesi più incandescenti del pensiero nietzschiano. A cominciare dalla problematica visione del cristianesimo: non è un mistero che l’autore del fin troppo esplicito Anticristo(4), definiva Gesù “la più alta delle anime umane”. E allora? Spiega de Pourtalès: “Se respinge la sua dottrina e diffida di una morale in cui la debolezza è esaltata, si sente invece invincibilmente attratto dall’uomo”. De Pourtalès propone molto altro naturalmente in questo piccolo libro. Ma l’elemento più notevole è la discesa dell’autore nell’universo spirituale nietzschiano. E lo fa con gli strumenti della musica e della poesia, a lui congeniali, piuttosto che utilizzare quelli della logica, dell’estetica, della filologia.

Adele Piazza
Gennaro Malgieri

 

 

 Approfondimenti del Blog

(1)

 

 

 

Descrizione

Quello che scorre lungo le pagine di questo intenso racconto dedicato da Guy de Pourtalès a Nietzsche che visita, vive, ama, soffre e per non perdersi ritorna in Italia, è un vero e proprio gesto d’amore letterario: l’autore ci presenta gli incontri, i luoghi, i sogni e le frustrazioni del genio della filosofia moderna attraverso gli incontri, le vie e i palazzi delle città italiane da lui amate, Genova, Roma, Venezia, Torino, ultima tappa e definitivo barlume di coscienza prima del buio. In questi luoghi Nietzsche cercò di trovare un po’ di pace dai tormenti della sua mente, dal dolore della quotidianità, dall’incapacità di vivere il presente perché proiettato in quella dimensione per noi quasi sconosciuta che è la definizione del pensiero assoluto. Leggiamo uno stralcio tratto dal testo qui presentato e dedicato al soggiorno veneziano del filosofo, che ci illumina su come de Pourtalès ha inteso scrivere delle peregrinazioni del filosofo in Italia: «Questa fu la Venezia senza mandolini di Nietzsche. Certo non ebbe una giovinezza molto brillante, questo filosofo votato a diventare un Cristo laico, allorché se ne andava verso il suo calvario spirituale. Come unico amore, l’umanità futura. Come solo discepolo, un musicista indigente. Siamo lontani da quegli antichi veneziani di rango: il Byron gaudente e veramente troppo fortunato, lo snob Chateaubriand, il patetico Mickiewicz, il simpatico Musset con la sua barba da parrucchiere. Tutto questo pittoresco letterario si è stinto mentre diventavamo adulti. Oggi, queste ombre così grandiloquenti sono impallidite; queste ambizioni forsennate ci fanno un poco sorridere, e il modesto Nietzsche, così riservato, ci commuove di più nella sua discrezione, nella sua chiaroveggenza ironica. La sua Venezia personale non ha per niente l’aspetto di un piedistallo dove ci si arrampica per posare. Non ha l’aspetto di un albergo dove si gode qualche giorno di piacere. Per lui non fu che una melodia dell’anima, il preludio alle sue opere più autentiche. Più tardi scrisse in Ecce Homo: “Quando cerco una parola per sostituire quella di musica, non trovo altro che la parola Venezia”».
(2)

 

Descrizione

L’incontro, l’amicizia e il dissidio fra Nietzsche e Wagner formano una vicenda inesauribile, che si pone sulla soglia di tutto il moderno. E non solo per l’enormità dei due amici-avversari. Ma per la natura ingannevole, enigmatica, perennemente teatrale del loro rapporto: per cui vediamo Nietzsche che, nella fase della massima venerazione per Wagner, insinua i dubbi più feroci e taglienti, mentre nella vertiginosa, beffarda prosa del Caso Wagner lascia intendere che il suo avversario è pur sempre il suo unico interlocutore. Così, passando dal Wagner a Bayreuth, che è del primo, entusiastico Nietzsche, al Caso Wagner e al Nietzsche contra Wagner, testi scritti o approntati negli ultimi mesi di Torino, si percorrerà una traiettoria davvero fatale. Per ricostruirla, mostrandone tutte le ambiguità, le prospettive, i rimandi cifrati, infine il carattere profetico rispetto a tutta la storia successiva della musica (e non solo di essa), sarà prezioso il lungo saggio di Mario Bortolotto, che per la prima volta ci offre una ricostruzione critica di quel rapporto adeguata alla multiforme grandezza dei suoi due poli.

(3)

 

 

 

Descrizione

La Nascita della Tragedia rappresenta forse la prima opera matura di Friedrich Nietzsche e potrebbe essere definita come una ricerca genealogica entro i confini della quale il filosofo tenta di risalire al colpevole dell’inarrestabile decadenza che affligge il mondo. Nietzsche riesce nel suo obiettivo. Socrate prima e Platone poi sono i fautori dell’intellettualismo occidentale, di una corrente di pensiero, cioè, che plaude alla superiorità della ragione sulla passione e sugli istinti, con una conseguente svalutazione della vita e dei suoi valori.

Considerato uno dei filosofi tedeschi più profondi, Friedrich Nietzsche (1844-1900) è popolarmente considerato un critico culturale e filologo il cui lavoro ha esercitato un’influenza accademica sulla storia intellettuale moderna. Le sue opere intellettuali si concentrano su temi diffusi come la religione, la morale, la filosofia e la scienza. Elementi di spicco della sua filosofia includono la sua critica radicale della verità, una critica genealogica della religione e della morale cristiana. Il suo corpo di lavoro ha toccato una vasta gamma di argomenti, tra cui arte, filologia, storia, musica, tragedia e cultura, la maggior parte dei quali ha tratto ispirazione dalla tragedia greca.

(4)

Descrizione

Fu ancora una volta per scardinare le false certezze della morale borghese e del senso comune che nel 1888 Nietzsche concepì quest’opera, pubblicata nel 1895: all’interno della sua riflessione filosofica manifestamente «d’opposizione», essa intende sostenere che il cosiddetto «dover essere», inteso come valore ideale, svincolato dalla realtà effettuale e dalla storia, è essenzialmente impostura, menzogna. La distanza, infatti, dalla vita quotidiana sperimentata e trascorsa, annienta i concetti etici, li priva di ogni pretesa di validità, situandoli nel luogo di un’assurda e inaccettabile «super-realtà». In quest’opera il nichilismo nietzscheano si scaglia contro una morale che si ostina a conservare in vita ciò che la storia ha già condannato: è il caso, questo, del cristianesimo, che attribuisce moralità e purezza a Dio come reazione al fatto che non è più reale e fonda sulla sua morte la sua esistenza. Pertanto la morale e il cristianesimo sono connessi per Nietzsche con la malattia e la decadenza: non tollerando il naturale declino delle esperienze, manifestano la loro evidente incapacità di creare nuove età.

 

Approfondimenti su Nietzsche al seguente link: https://www.inchiostronero.it/?s=nietzsche

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