La bellezza non è universale: ciò che ci piace riflette chi siamo e il nostro rapporto con il mondo

 

NON È BELLO CIÒ CHE È BELLO, È BELLO CIÒ CHE PIACE

di Riccardo Alberto Quattrini

“Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace” non è solo un proverbio, ma una riflessione profonda sulla soggettività del gusto e sull’evoluzione culturale del concetto di bellezza. Da sempre, l’estetica oscilla tra emozione personale e significati universali, sfidando ogni tentativo di definizione assoluta


Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace: la banalità di un luogo comune

Quante volte ci siamo imbattuti in questa frase? Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace.” Un’affermazione semplice, quasi una scusa, utilizzata spesso come rifugio davanti a opere d’arte o manifestazioni estetiche che non comprendiamo. Con questa frase, si preferisce rinunciare alla riflessione critica, evitando di approfondire cosa sia davvero la bellezza.

Ma la bellezza non è solo questione di gusti personali. Come scriveva il filosofo e critico d’arte Stefano Zecchi:

“La bellezza è cultura, intesa come la capacità non solo di possedere la bellezza, ma anche di riconoscerla.”

C’è, dunque, un’importanza culturale ed educativa nella bellezza, che va riconosciuta, compresa e studiata.

La bellezza: una questione di cultura e discernimento

A differenza della matematica, dove ogni equazione ha un’unica soluzione corretta, la bellezza è sfuggente e indefinibile. Chi può stabilire se un quadro di Picasso sia bello o brutto? Oppure se la scrittura di un autore come Thomas Mann sia esteticamente piacevole? La risposta, come sottolinea ancora Zecchi, non è mai immediata né univoca. La bellezza richiede uno sforzo culturale, la capacità di discernere, di andare oltre il “mi piace” e riconoscere il valore intrinseco di un’opera.

Questa “educazione estetica” non si raggiunge spontaneamente, ma attraverso l’esposizione costante all’arte, al dialogo critico e alla riflessione. È solo attraverso la cultura che si riesce ad andare oltre il semplice “mi piace” per arrivare al discernimento: un processo che apre la strada al riconoscimento di valori che trascendono il gusto personale.

“Se non possiamo definirla oggettiva, questa bellezza va riconosciuta, studiata, compresa.”

Bellezza soggettiva e oggettiva: un equilibrio possibile?

Pollock, Kandinsky, Picasso e l’estetica del caos e dell’ordine
Pollock rappresenta il caos dinamico, un’esplosione di energia creativa che si manifesta attraverso gesti istintivi e apparentemente incontrollati. Kandinsky, invece, esplora un linguaggio più astratto e spirituale, dove forme e colori si organizzano in una sintesi armonica che tocca le profondità dell’anima. Picasso, con il suo approccio rivoluzionario al cubismo, frammenta la realtà e la ricostruisce secondo una logica interna che sfida i canoni tradizionali dell’arte e della bellezza.

Piccione, infine, distrugge deliberatamente le convenzioni estetiche, spingendo verso un’arte concettuale che rifiuta i limiti imposti dalla tradizione. In questo contesto, ogni artista diventa un pioniere di un’estetica personale e in continua evoluzione.

Definire un’opera come “bella” o “brutta” in questo scenario diventa impossibile senza considerare il gusto individuale e il contesto culturale. L’estetica si rivela così relativa, mutevole e soggettiva: ciò che per alcuni può sembrare caos, per altri rappresenta innovazione; ciò che appare come distruzione per alcuni, può essere letto come un atto di liberazione creativa. La bellezza, quindi, non è un valore assoluto, ma un linguaggio che cambia con l’osservatore e il tempo.

Di fronte a opere come quelle di Pollock, Kandinsky o Picasso, esposte in una galleria d’arte moderna, il primo impulso non è quasi mai quello di definirle “belle” nel senso tradizionale del termine. La bellezza, intesa come armonia classica o piacere immediato, viene sostituita da una reazione più complessa e spesso intellettuale.

In queste situazioni, il termine “interessante” appare molto più adatto, perché queste opere suscitano interrogativi, riflessioni e emozioni non convenzionali. Il loro valore non risiede nell’aderenza a un canone estetico classico, ma nella loro capacità di sfidare le nostre percezioni, di sovvertire le aspettative e di farci esplorare nuovi significati.

In sostanza, di fronte a tali opere, il giudizio estetico si sposta dal piano del “bello” a quello della “significatività”. Esse non mirano a piacere, ma a provocare, a stimolare un dialogo con lo spettatore. E questo rende l’aggettivo “interessante” forse il più appropriato per descrivere l’esperienza che esse offrono.

Già Platone vedeva la bellezza come un ideale oggettivo, perfetto e immutabile, ma oggi, tendiamo ad abbracciare la soggettività come scusa per evitare la difficoltà di confrontarci con opere complesse. Ma ridurre la bellezza al solo “piacere personale” significa privarla del suo valore più profondo, del suo ruolo di stimolo culturale e guida spirituale.

La bellezza nella storia e nell’arte

La bellezza è sempre stata al centro della produzione artistica e culturale dell’umanità. Ogni epoca ha cercato di definirla e rappresentarla in modo diverso, riflettendo le sue idee, i suoi valori e i suoi limiti.
“L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”, scriveva Paul Klee, sottolineando come la bellezza non sia solo ciò che vediamo, ma ciò che riusciamo a percepire oltre l’apparenza.

L’Arte Rinascimentale e il Mecenatismo

Durante il Rinascimento, l’arte era strettamente legata a:

La bellezza estetica: Canoni classici come armonia, proporzione, equilibrio e idealizzazione della figura umana erano centrali. L’arte doveva essere bella, nel senso più oggettivo e universale del termine.

La spiritualità e il significato: Le opere avevano spesso una funzione religiosa, celebrativa o culturale, come testimoniano gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina o le pale d’altare di Raffaello. L’arte mirava a elevare l’anima e celebrare l’intelletto umano.

Il mecenatismo: Grandi famiglie come i Medici o i Gonzaga finanziavano gli artisti per creare opere che glorificassero Dio, la famiglia o la comunità. Il denaro, seppur centrale per sostenere l’arte, non era l’obiettivo finale; era uno strumento per produrre capolavori duraturi.

Evoluzione della bellezza: dai canoni classici alla modernità

“Fidia che scolpisce la statua di Minerva per il Partenone”,

Dai canoni di perfezione del mondo classico greco-romano, incarnati nelle statue di Fidia e nei templi di marmo bianco, alla rivoluzione dell’Impressionismo, il concetto di bellezza ha subito profonde trasformazioni. Se nell’antichità la bellezza era associata all’armonia, alla proporzione e alla simmetria, simboli di un ordine universale, l’arte moderna ha spostato l’attenzione sull’esperienza soggettiva e sull’emozione.

L’Impressionismo, per esempio, ha rotto con le regole accademiche della rappresentazione, introducendo una nuova visione della bellezza basata sulla luce, sul colore e sulla percezione fugace. Questo movimento ha segnato una svolta fondamentale: la bellezza non era più confinata a un ideale statico, ma diventava dinamica, personale e legata al momento.

Nel corso dei secoli, ogni epoca ha reinterpretato il concetto di bellezza, adattandolo ai propri valori e alla propria visione del mondo. Dall’austerità del Medioevo all’esuberanza del Barocco, fino all’astrazione dell’arte contemporanea, la bellezza si è rivelata un terreno di esplorazione infinita, capace di riflettere la complessità della natura umana e della società.

In definitiva, la bellezza non è mai stata un concetto fisso, ma un linguaggio in continua evoluzione, che testimonia la capacità dell’essere umano di reinventare se stesso e il proprio rapporto con il mondo.

Il Medioevo esaltava il divino attraverso la bellezza simbolica delle cattedrali gotiche.

Il Rinascimento riportò al centro l’uomo, con artisti come Leonardo e Michelangelo che esploravano il corpo umano come espressione di armonia e perfezione.

Nel Novecento, movimenti come il Cubismo di Picasso o l’Astrattismo hanno liberato l’arte da ogni pretesa di rappresentazione realistica, lasciando spazio all’interpretazione individuale.

Questi esempi ci mostrano come la bellezza non sia mai stata statica, ma dinamica e in continua evoluzione. Tuttavia, in ogni forma, essa ha richiesto sempre una riflessione profonda per essere compresa.

La bellezza come pilastro dell’umanità

Immaginiamo un mondo senza bellezza: un “deserto”. Sarebbe un luogo privo di ispirazione, dove la dimensione estetica, che da sempre distingue l’essere umano, risulterebbe cancellata. La bellezza è ciò che permette all’uomo di aspirare a qualcosa di più grande, di elevare il proprio spirito e dare significato alla propria esistenza.

La bellezza non è solo un ornamento della vita, ma una necessità intrinseca che guida l’umanità verso la trascendenza e il progresso. Come sosteneva Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”, perché è tramite essa che l’uomo riconosce la possibilità di armonia, pace e perfezione. Senza bellezza, l’umanità rischierebbe di smarrire la propria anima, cadendo in una sterile funzionalità priva di valori più alti.

Un mondo senza bellezza sarebbe non solo esteticamente vuoto, ma anche emotivamente e spiritualmente impoverito. È attraverso il riconoscimento e la creazione della bellezza che l’uomo stabilisce il contatto con ciò che è eterno, con il sublime, trovando un senso profondo anche nella quotidianità. La bellezza, quindi, non è superflua, ma è un pilastro fondamentale per l’essere umano, capace di risvegliare in lui l’aspirazione al bene, al vero e al giusto.

Stendhal durante il suo viaggio a Firenze nel 1817, entrò nella basilica di Santa Croce, quando ne uscì scrisse poi nei suoi diari di viaggi: «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.» La bellezza può dunque suscitare una tale emozione dove l’arte e l’emozione si fondono, superando il livello razionale e diventando quasi insostenibili per l’individuo.

La bellezza salverà il mondo: un dialogo eterno

Quando Fëdor Dostoevskij scrisse nel 1869 L’idiota, non immaginava che una frase, pur breve e contenuta in un dialogo quasi marginale, avrebbe avuto un destino così straordinario. “La bellezza salverà il mondo non è solo una sentenza estetica, ma un’affermazione profonda, carica di significato spirituale e filosofico, che si presta a molteplici interpretazioni.

Il personaggio che pronuncia questa frase è il principe Myškin, protagonista del romanzo, figura idealizzata di purezza e innocenza, spesso paragonata a un Cristo moderno . Myškin incetico e spirituale, possa redimere l’uomo dal degrado morale e sociale. Tuttavia, questa bellezza non è superficiale o decorativa; è una bellezza salvifica, capace di parlare all’anima.

La frase “La bellezza salverà il mondo” rappresenta una delle massime più evocative e controverse della letteratura mondiale. Pronunciata dal principe Myškin ne L’idiota di Fëdor Dostoevskij, è densa di significati che spaziano dall’estetica alla spiritualità, dalla filosofia alla redenzione morale. Per approfondire questo concetto, è importante considerare i diversi livelli di lettura che questa frase implica e come si interseca con il contesto storico e culturale in cui fu concepita.

La bellezza come principio spirituale
Il principe Myškin incarna un’idea di purezza che trascende la semplice estetica. La bellezza di cui parla Dostoevskij non è quella superficiale, legata a canoni fisici o materiali. È una bellezza interiore, universale, che eleva l’anima umana. È la bellezza che si trova nell’arte, nella natura e, soprattutto, negli atti di bontà e compassione. Questa visione richiama un’estetica etica, in cui il bello e il bene sono inseparabili.

Bellezza e redenzione
L’idea che la bellezza possa “salvare il mondo” implica che essa possieda un potere trasformativo. La bellezza è vista come un antidoto al nichilismo, una forza che contrasta il caos e la disumanizzazione. Nel contesto storico del XIX secolo, segnato dalla crisi della fede e dall’avvento di ideologie materialiste, la bellezza diventa per Dostoevskij un simbolo di speranza. È una forza in grado di riconciliare l’umanità con i suoi valori più alti.
Tuttavia, questa visione della bellezza non è priva di ambiguità. Come osservano molti critici, Dostoevskij non idealizza la bellezza come soluzione semplice o immediata. È un concetto complesso, che può portare sia redenzione che sofferenza, poiché espone l’uomo alle sue fragilità e contraddizioni.

Il dialogo con la modernità
La frase di Dostoevskij continua a risuonare nella modernità, proprio perché invita a un dialogo eterno su cosa significhi bellezza. In un mondo sempre più dominato dal pragmatismo e dal consumismo, la bellezza salvifica appare quasi come una provocazione. La società contemporanea tende a privilegiare ciò che è utile, veloce e redditizio, relegando la bellezza a un ruolo secondario. Tuttavia, la sua capacità di ispirare, emozionare e trasformare rimane intatta.
Artisti, dentro

Un invito alla riflessione
“La bellezza salverà il mondo” non è solo una frase da contemplare, ma un invito ad agire. Riconoscere e coltivare la bellezza, nelle sue molteplici forme, diventa un atto rivoluzionario. In un’epoca in cui la disuguaglianza, l’odio e la distruzione sembrano prevalere, tornare alla bellezza come valore universale può offrire una via di speranza e riconciliazione.
Questa bellezza, però, richiede impegno. Non si limita a ciò che è gradevole o piacevole, ma implica una ricerca costante della verità, dell’armonia e della giustizia. È una bellezza che ci interroga, che ci chiede di essere migliori.

In conclusione, il messaggio di Dostoevskij è quanto mai attuale: la bellezza, autentica e profonda, è ciò che può ridare senso all’esistenza umana. Come un dialogo eterno, continua a sfidarci e a ispirarci, ricordandoci che, anche nelle tenebre, esiste una luce capace di salvare il mondo.

Analisi Finale

Il luogo comune “Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace” invita a riflettere oltre la mera soggettività del gusto. La bellezza, pur essendo interpretabile e legata al contesto culturale e personale, possiede un valore intrinseco che può essere compreso attraverso studio e consapevolezza.

La bellezza non è solo un’esperienza soggettiva, ma anche un linguaggio universale che connette gli esseri umani, attraversando epoche e culture. Sebbene ciascuno di noi sia libero di apprezzare ciò che ritiene esteticamente gradevole, è necessario riconoscere che l’estetica va oltre il semplice “mi piace”. Essa richiede uno sforzo critico, un’educazione del gusto e un’apertura mentale per riconoscere il significato profondo di opere che, a prima vista, possono sembrare incomprensibili o distanti.

La bellezza è un pilastro fondamentale della cultura umana, un mezzo attraverso il quale possiamo esplorare le complessità del nostro mondo interiore ed esteriore. È il filo che intreccia emozione, intelletto e spirito, permettendoci di raggiungere una comprensione più profonda della realtà. In sua assenza, l’umanità rischierebbe di scivolare in una condizione sterile, priva di senso, profondità e trascendenza.
Riconoscere e apprezzare la bellezza significa quindi celebrare ciò che ci rende umani: la capacità di aspirare, di creare e di cercare un significato più alto.

Riccardo Alberto Quattrini

 

 

 

 

Bibliografia

  1. Stefano Zecchi, La bellezza
  2. Fëdor Dostoevskij , Fëdor Dostoevskij
  3. Paolo Klee, *Diari e scritti sull’arte
  4. Emmanuel Kant ,Critica del giudizio
  5. Platone, Simposio

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Controllate anche

«CHI È IL PIÙ BUGIARDO?»

Questo articolo svela i meccanismi della disinformazione e i suoi protagonisti. …