No, non chiamatela guerra

NON È GUERRA MA STERMINIO


No, non chiamatela guerra. Non è una guerra quella che è in corso in Israele. Guerre ne abbiamo viste tante, una è in corso in Ucraina. Ma questa non è una guerra. Questo è uno sterminio. Iniziato o esploso una settimana fa, covava da decenni e affiorava periodicamente ma episodicamente. Poi qualche giorno fa, è diventato uno sterminio, esteso alle popolazioni civili.

Non mi infilo nella spirale astiosa delle accuse su chi ha cominciato, nella matrioska delle persecuzioni, un popolo assediato e circondato da paesi ostili che ne assedia e ne circonda un altro. Anzi, uso il meno possibile il riferimento ai due popoli, israeliani o palestinesi. Chi uccide un bambino uccide un bambino; non un israeliano, non un palestinese, un ebreo. Un bambino, solo un bambino.

Se per punire uno Stato tu colpisci un popolo e sgozzi innocenti, tu non fai la guerra, ma compi uno sterminio. Se per punire un terrorista tu uccidi la sua famiglia, tu non fai la guerra né fai giustizia, compi uno sterminio. Se uccidi gente nelle case, mentre dorme, mangia, inerme e spaventata, tu non fai la guerra, fai uno sterminio. Se li fai morire come topi in gabbia, per asfissia o togliendo loro tutto ciò di cui vivono, costringendoli ad uscire per poi massacrarli, tu non stai combattendo una guerra, tu li stai sterminando. Lo sterminio è il grado peggiore dell’odio e della violenza, più della guerra, perché non combatte contro un nemico ma elimina tutta l’umanità che si muove all’interno dell’obbiettivo. Non vuole batterlo, ma cancellarlo. Col sottinteso che il nemico faccia altrettanto. E se elimina pure i bambini vuol dire che vuole sradicarlo, ne vuole impedire la ripopolazione futura. La guerra ha le sue regole, qui l’unica regola è portare al massimo livello di estensione e crudeltà il male che si vuol fare.

L’idea stessa che spinge gli sterminatori non è vincere la guerra, ma espiantare ed eliminare un popolo. Nello sterminio o nella fuga, disperdendolo altrove.

Il peggio, si sa, è il terrorismo, che è guerra ad personam senza confini né regole, col paradosso che le persone non contano, solo bersagli, simboli, categorie; ma non lo chiamerei male assoluto, come fanno in tanti, perché neanche nel male l’uomo può farsi assoluto. Il terrorismo è male radicale, forse il male peggiore che ci possa essere. Anche se la guerra, muovendo stati e armamenti poderosi può fare assai più devastazioni di un atto terroristico pur cruento. Poi resta da stabilire fin dove e a chi si possa estendere la definizione di terrorista, e se possa riguardare anche stati ed eserciti, come si sostiene da qualche tempo. Sul piano umano e personale anche il peggior male ha magari alle sue origini una giustificazione umana, il dolore e la disperazione per i tuoi cari sterminati davanti ai tuoi occhi. Nell’inferno dello sterminio, la vendetta è l’ultima traccia di umanità che resta, perché muove da una motivazione in origine comprensibile; la vendetta segna il passaggio dall’umanità alla ferocia, è il sentimento che precede e motiva quel diventare disumani.

Quanto al pericolo che si scateni una nuova guerra mondiale, e al fatto che ci stiamo andando assai vicini, la penso diversamente.

Ci siamo andati vicini nei primi anni novanta, ai tempi della Guerra del Golfo e poi dell’attacco all’Iraq. Ci arrivammo ancora più vicini al tempo delle due torri e di quel che ne seguì tra guerre e terrore. Abbiamo sfiorato il conflitto mondiale pochi mesi fa, tra la Russia e l’Occidente. Anche in questo caso, ci stiamo avvicinando a una guerra mondiale per quel che succede in Medio Oriente, che resta comunque la prima polveriera del mondo da più di mezzo secolo.

Ma la guerra sarà guerra mondiale, catastrofe globale, quando coinvolgerà direttamente i giganti della terra. È una minaccia che serpeggia; la vera sorpresa non è che ora siamo alle porte di una guerra, ma che lo siamo periodicamente da svariati decenni e non varchiamo mai quella soglia terribile; grazie a Dio, alla fortuna, agli uomini o agli eventi.

Ma lasciamo sullo sfondo il pericolo della guerra e vediamo quel che c’è davanti a noi, lo sterminio. A volte ti capita per un momento di sentirti lì dentro l’incubo, per le strade d’Israele o di Gaza, senza avere alcuna colpa se non quella di appartenere a quel popolo, di essere nato là e di abitarvi. Appena ti cali in quel luogo ti manca il respiro, ti senti soffocare, vorresti scappare e non si sa da dove verso dove.

Poi ti sorge quel filo di umanissima viltà, e ti senti graziato o fortunato perché abiti in un’altra parte della terra, piena di problemi, ma un paradiso rispetto a quell’inferno. Ma non ti basta scamparla, ti insorge comunque il dubbio che possa capitare anche a te e ai tuoi cari, e comunque c’è qualcosa che è dentro di te che ti fa sentire partecipe, consorte, solidale a quel destino, da cui non puoi chiamarti del tutto fuori. E sorge un sentimento doloroso d’impotenza, in cui l’unico alibi per uscirne è che siamo troppo piccoli, fragili e passeggeri per caricarci di tutte le tragedie del mondo. Non servirebbe a nulla, sprofonderebbe solo noi stessi.

Ma l’orrore c’è, resta negli occhi e pure dentro, basta affacciarsi alla finestra, in forma di video, per rendercene conto. Poi pensi ad altro, capisci che nel mondo ci sono mille altre cose e noi abitiamo tanti mondi, con la memoria, con la fantasia, con la natura, con la speranza, con l’amore per la vita e per l’eterno. C’è vita oltre lo sterminio ed è più grande del male.

 

 

La Verità – 13 ottobre 2023

 

 

 

 

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