”Quel moto continuo, a destra e a sinistra, della testa nei fenicotteri rosa che popolano gli stagni di Santa Gilla…
NON NECESSARIAMENTE
Quel moto continuo, a destra e a sinistra, della testa nei fenicotteri rosa che popolano gli stagni di Santa Gilla: così negli uomini della scorta che contornano anche la più scialba delle figure istituzionali, anche il più cretino dei segretari di partito. Nel migliore dei casi, lo chiamano bagno di folla, ma è come immergersi nella tinozza con tutta la muta da palombaro. Poi si meravigliano che si allarghi la voragine dell’astensionismo, un fenomeno che si accentua ogni qualvolta risuonano le squilla del raduno elettorale, in media un dieci per cento in più di gente che ha qualcosa di meglio da fare da un’altra parte. Il distacco dei partiti dalla comunità dei cittadini (che prima era attenuato dalla presenza delle sezioni territoriali) oggi si manifesta attraverso la compilazione delle liste che avviene sulle lenzuola scompigliate di un grande albergo o dopo l’ammazzacaffè in un ristorante
appartato. I criteri prevalenti con cui si formano tali liste variano da quello nepotistico, in virtù del quale la nuova moglie dell’immarcescibile Berlusconi, tale Fascina, viene eletta in Sicilia, a quello relativamente nuovo che consiste nell’assicurare una poltrona in Parlamento ai parenti stretti di una persona morta che ha illustrato il Paese, come nella fattispecie della signora Dalla Chiesa (tutto ciò a discapito di una vecchia massima popolare secondo cui ‘le colpe – e i meriti – dei padri non possono ricadere sui figli) o che è stata per tanto tempo al centro dell’attenzione mediatica, come la signora Cucchi, a conferma della legge – più volte richiamata su queste pagine – secondo cui il piccolo schermo segna il confine tra chi, standoci dietro, contrae il diritto ad esprimersi, quindi ad ‘essere’, e chi, invece, standoci davanti, non conta un cazzo.
L’idea che l’uomo comune si è fatto della politica è, pertanto, quella di un gioco truccato al quale non si può più partecipare facendo finta che non lo sia. Resto, tuttavia, basito nel constatare come i partitini anti-sistema abbiano potuto, pagando pegno, sedersi intorno al tavolo sapendo dell’inaffidabilità del croupier, per altro senza essersi mai sporcati le mani e i piedi nella vischiosa minutaglia dei problemi che assillano il Paese, ma volando troppo alto, laddove il prammatismo politico, nel rarefarsi come l’ossigeno, diventa un monologo imbottito di virtuosismi lessicali – il famigerato ‘qualsivoglia’ – o una proposta per il di là da venire, come il ripudio dell’Alleanza Atlantica e la fuoriuscita dall’UE, e tutto questo mentre bisogna farsi prestare i soldi dagli amici per saldare la bolletta del gas.
In questo iato – enorme – tra il territorio delle soluzioni possibili entro un margine di tempo ragionevolmente breve – più o meno quello di una legislatura – e il territorio delle soluzioni collocate al di là della curva dell’orizzonte, oltre al massacro annunciato di Italexit e di quell’altra formazione nata da due suonatori di ciuffolo, si sono consumate la sconfitta ‘apparente’ del PD e la vittoria, altrettanto ‘apparente’ della coalizione di centro destra capeggiata dalla Meloni. Parlo di apparenze a beneficio di quanti ignorano che il PD è solo la punta emergente di un gigantesco sistema di potere all’interno del quale confluiscono, attratti dal magnetismo massonico, ampi settori della magistratura, della finanza, dell’editoria, dei media, e che tale mondo, ove non potesse essere soppiantato o indebolito da quello ‘altro’, sinora confinato nei sottoscala, renderebbe in ogni caso difficile l’azione di governo ai vincitori delle elezioni, non già ‘apparenti’ solo perché sono funzionali al mantenimento della democrazia liberale che impone la dialettica – fittizia – tra due polarità contrapposte, ma perché per gestire il successo elettorale e mantenere il primato avrebbero bisogno di una classe dirigente, che loro non hanno, avendo sacrificato negli anni questo obiettivo all’irriducibile vizio, tutto italiano e italiota, di declassare la politica ad un affare di famiglia, con tanto di concubine e cognati.
Il fatto che la Meloni ricorrerà ai consigli di Draghi per la stesura della legge di bilancio che batte imperiosamente alla porta, non è un buon inizio. Sarebbe stato migliore se, sintonizzandosi sulle frequenze di una parte cospicua dell’opinione pubblica – quella che molto presumibilmente ha disertato i seggi – la Destra griffata Meloni si fosse annunciata dicendo che non sarebbe uscita dalla NATO, non necessariamente , ma che vi avrebbe recuperato, sulla falsariga della Turchia e di Erdogan, la propria discrezionalità, come conviene ad una nazione sovrana; se avesse puntualizzato che non necessariamente avrebbe lavorato per il divorzio dall’Europa, ma si sarebbe battuta strenuamente contro ‘questa’ Europa, dominata dai cravattari, che antepone l’asse franco-tedesco agli interessi di tutti gli altri Paesi associati, soprattutto del nostro; se – questa è un mio tenace convincimento – avesse resistito alla facile tentazione di fare aritmetica elettorale coi numeri della Lega, di un partito che rotola giù insieme al suo leader, privo di autorità e di carisma, e con quelli di ‘Forza Italia’, una piccola banda di liberali comandata da un bucaniere avvizzito.
‘Non necessariamente’ è la formula che ricorre anche in relazione alla scelta di FdI di formare un convoglio o, per meglio dire, un caravanserraglio con Berlusconi e Salvini, e questo nonostante l’obiezione, largamente scontata, che senza i voti di F.I. e della Lega non si riuscirebbe mai a sfrattare il PD e i suoi cespugli da Palazzo Chigi.
La verità è che in politica bisogna saper fare i calcoli, ma avere anche coraggio: quello malsano che mostreranno tra qualche mese, il Cavaliere di plastica, perché si è stancato di raccontare barzellette lontano dai riflettori, e Salvini , che, incalzato dalla dissidenza interna che gli rimprovera un eccesso di sudditanza verso la signora Giorgia, fingerà di tirare fuori le palle, e lo farà, come suo solito, nel modo sbagliato e nel momento sbagliato, l’ultimo ‘coup de theatre’ prima di un altro giro di giostra. Ma il giostraio è sempre lo stesso.