Non avevo scelta
O NUMERO O DESTINO
Non avevo scelta: la giustificazione non richiesta di chi ha la coda di paglia, di chi pretende di accodarsi alle decisioni altrui senza pagare il dazio della servitù. È piuttosto vero che molti non vogliono scegliere, perché ogni decisione prevede un’assunzione di responsabilità. Allora abbracciano la resilienza, una modalità tanto elegante quanto infame per decretare l’accettazione dell’esistente, l’accondiscendenza al cambiamento subìto, il beneficio della rassegnazione.
Ognuno può – dovrebbe – fare un elenco delle cose importanti della sua vita e stabilire per quali merita combattere e quali, invece, valgono poco o niente, quindi zavorra da abbandonare. Un atteggiamento, questo, che sembra caratteristica di pochi, ma che comunque non nega l’esistenza di una possibilità di scelta per tutti.
Non c’è retorica in Jünger quando parla dell’immortalità di ogni uomo e della fede in questa caratteristica del singolo; la sua è una constatazione derivante dall’esperienza concreta, quindi non negoziabile con nessuna dialettica.
In una recente commemorazione di Giulietto Chiesa, e concomitante festeggiamento per Julian Assange, in un video si accenna alla necessità di un “trauma” per attivare le coscienze, per riaccendere il pensiero critico. In tutte le manifestazioni la presenza giovanile – entro i 24 anni – era calcolabile nei minimi termini: 10 su circa 400 persone; 1 su circa 45. Quale trauma per far comprendere che sono stati fregati del futuro, che sono stati amputati delle radici storiche e culturali, che sono stati ipnotizzati e inchiodati in un presente irreale? Quale attivatore psichico per spezzare la suggestione collettiva degli influencer, la trance giovanile delle fluidità indifferenziate, l’incantesimo dell’ottimismo spensierato.
Le ultime (de)generazioni si spalmano tra le convulsioni attivistiche aprogettuali, il rintanamento nel privato simil-autistico, la vendita spettacolarizzata di consigli, corpi e prestazioni.
Una percentuale ridotta di pensanti, giovani individualizzati e differenziati, ha compreso la necessità della scelta irrevocabile: o la comodità fintamente sicura e accudente degli addomesticati, o il rischio di perseguire un proprio destino e formare il proprio carattere.
L’indifferenza, la neutralità e la resa non sono contemplate di fronte ad uno Stato che assomiglia di più alla gestione di un ovile che ad un dispositivo di formazione dei cittadini.
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