”Uno dei più famosi analisti del mercato americano, Victor Lebow, nel 1950 già parlava di obsolescenza programmata
OBSOLESCENZA PROGRAMMATA:
FATTO PER NON DURARE
Uno dei più famosi analisti del mercato americano, Victor Lebow, nel 1950 già parlava di obsolescenza programmata e affermava: “La nostra economia, immensamente produttiva, esige che facciamo del consumo il nostro stile di vita. Abbiamo bisogno che i nostri oggetti si logorino, si brucino, e siano sostituiti e gettati a ritmo sempre più rapido”(1)
In Francia l’obsolescenza programmata è reato: il 22 luglio 2015 il Senato ha adottato in via definitiva la legge sulla transizione energetica che comprende differenti interventi su diversi settori. Programmare la “fine” degli oggetti per alimentare il mercato è diventato quindi punibile con 2 anni di prigione e 300mila euro di multa. Da questo provvedimento legislativo si sviluppa la nostra riflessione riguardo l’eticità che concerne la breve vita di oggetti, specie gioiellini tecnologici, di larga diffusione. Fino a che punto si tratta di una logica di mercato e quando invece diventa un ricatto morale?
Usa e getta, il saggio di Serge Latouche
Negli anni Cinquanta nasce il concetto di obsolescenza programmata, successivamente analizzato da Serge Latouche nel suo saggio “Usa e getta” (Bollati Boringhieri, 2013). L’obsolescenza è uno dei tre cardini su cui è basato il consumismo, insieme alla pubblicità e al credito al consumo. Ma mentre alla pubblicità e al credito si può in qualche modo
sottrarsi, non altrettanto si può fare con la deperibilità voluta delle merci. Il libro del massimo teorico della decrescita illumina questo aspetto meno noto della società dei consumi, benché su questo tema si siano già esercitati stuoli di sociologi ed economisti come Vance Packarde e John Kenneth Galbraith a partire dagli anni Cinquanta. Latuouche così descrive questo fenomeno: “La società industriale una volta saturati i mercati, entrerebbe in crisi se gli oggetti non dovessero essere sostituiti con una certa frequenza. Ecco perché, già dagli albori dell’industrializzazione di massa, teorici e imprenditori si pongono il problema del tasso di sostituzione degli oggetti. Bisogna smettere di produrre merci durevoli, che rasentano l’indistruttibilità come la mitica Ford T o la lampadina a filamento di carbonio di Edison, accorciando in qualche modo la loro durata”.(1)
Le caratteristiche dell’obsolescenza programmata
L’obsolescenza si gioca su tre aspetti essenziali: scarsa qualità dei materiali, avvento di aggiornamenti del sistema ed incidenza della psicologia del marketing. Raggiunto il numero massimo di ore di lavoro stabilite, il prodotto in questione smette di funzionare, in modi differenti ideati da coloro che lo hanno progettato. Esistono però software in grado di resettare tali valori e dare nuova vita al sistema (ma questo nessuno ce lo dirà mai).
Gli attori dell’obsolescenza
Come abbiamo visto, il pubblicitario contribuisce all’oscillazione della domanda: senza la forte spinta degli spot o della comunicazione mass mediale, il fulmineo meccanismo produzione-consumo-produzione subirebbe una notevole battuta d’arresto. Anche i produttori, spinti da interessi economici, dribblano spesso i limiti etici. Così come i pubblicitari, anche le aziende dovrebbero impegnarsi a operare in maniera etica all’interno della propria politica aziendale. La Commissione europea la definisce come “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali”. Attraverso le strategie, spesso messe in atto dai reparti marketing, il consumatore diviene burattino dell’obsolescenza, rendendosi complice di un meccanismo legalizzato ma non del tutto limpido. Attraverso l’auto-educazione possibile grazie all’informazione digitalizzata, il consumatore potrebbe rimparare a discernere la reale utilità dei prodotti, anche in relazione al contesto in cui vengono ideati e al loro impatto ambientale.
Dalla Francia all’UE: i provvedimenti attuati
Se quella della Francia potrebbe apparire una misura estrema, bisogna sapere che anche l’Unione Europea ha preso posizione in merito. I commissari del mercato interno chiedono alla Commissione di considerare una “etichetta europea volontaria” che copra in particolare la durata del prodotto, le caratteristiche ecologiche e di aggiornamento in relazione al progresso tecnologico. L’UE non aveva mai preso una posizione globale sulla durata dei prodotti ma ora afferma che “è nell’interesse dei produttori combattere l’obsolescenza precoce dei prodotti, ma è anche a beneficio dei consumatori e dei lavoratori e risparmia risorse”. Appare chiaro quanto in quest’ambito i confini tra morale, mercato, etica di produzione e di consumo siano veramente labili, perciò in attesa di una linea legislativa più marcata e globale non ci resta che correre ai ripari collegando più spesso la spina del caro vecchio buon senso, che non dovrebbe mai (almeno lui) essere vittima di obsolescenza, tanto meno di quella programmata.
Postilla: i provvedimenti citati si riferiscono alla data di pubblicazione e non sono stati inseriti eventuali aggiornamenti.
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Roberta Cricelli Silenziosa osservatrice dalla penna loquace. Convinta che per raccontare il mondo con spiccata vena poetica occorra conoscerne le dinamiche interne. Ama la sua Calabria, terra di contraddittoria bellezza.
Note:
(1) Vedi anche COS’È L’OBSOLESCENZA PROGRAMMATA? di Rino Canfora