”Basta una madeleine inzuppata nel tè per risvegliare nello spirito immagini e sensazioni sepolte dal tempo
OCCHI SENZA VOLTO
Basta una madeleine inzuppata nel tè per risvegliare nello spirito immagini e sensazioni sepolte dal tempo. Nel mio caso, lo stimolo non è venuto da un biscotto ma da una sorta di provocazione morale. Allora «trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me…» E anch’io mi son volto allo spirito, seguendone le spontanee associazioni, per trovare l’origine di questa strana sensazione che «m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…».
Ho cominciato così col notare uno strano inciampo che turba la regolarità cronologica delle religioni. Se infatti collochiamo – con beneficio d’inventario – la nascita dello zoroastrismo nel diciottesimo secolo a. C., quella della religione mosaica nel dodicesimo, del buddhismo nel sesto, del cristianesimo e dell’islamismo nel primo e settimo secolo della nostra era, pare che ogni circa seicento anni nasca una nuova grande religione (tralascio religioni più antiche, come induismo, taoismo o la religione dravidica, le cui origini si perdono nella notte dei tempi). Questa ciclicità è una mera coincidenza? Ne dubito e faccio una diversa ipotesi.
Nel 1938 Orson Welles lesse alla radio “La guerra dei mondi”(L.C.) di Herbert George Wells, descrivendo con realismo l’attacco dei marziani alla Terra. Se la CBS a intervalli regolari avesse rassicurato gli ascoltatori sul fatto che si trattava di una finzione letteraria, avrebbe evitato il panico e l’isteria di molti. Così, io credo, lo Spirito ci ricorda a cadenze regolari che questa esistenza mortale è come un sogno, un effimero romanzo.
Ogni religione appare dunque un necessario e ritmico richiamo alla Realtà, affinché l’uomo non resti avvolto nei veli dell’illusione. Tuttavia, dopo Maometto, passano nove secoli perché arrivi Lutero (il protestantesimo non è una nuova religione, ma ha prodotto conseguenze storiche di tale portata che possiamo considerarlo tale). Perché questo ritardo? Forse l’orologio dello Spirito si è inceppato?
Se le cose avessero seguito il loro corso naturale, una nuova religione sarebbe nata nel tredicesimo secolo e un’altra nel diciannovesimo. Di fatto, se considerassimo l’illuminismo, lo scientismo, il positivismo di stampo ottocentesco, il culto della Dea Ragione, i miti del progresso, dell’evoluzione o della democrazia per quel che realmente sono, cioè una religione, capiremmo che il meccanismo ha ripreso il suo giusto ritmo.
Ma l’effetto è paradossale. Sembra contraddire quanto lo Spirito ha sempre affermato. Non indica alcuna trascendenza, solo l’immanenza della storia e delle realtà empiriche. Sta chiusa in un al di qua, come in un perimetro insuperabile. È una visione senile e decadente, di chi ha perso tanto l’innocenza infantile quanto le nobili passioni dell’età matura.***
La fede viene surrogata da superstizioni scientifiche, le tradizionali virtù si mutano in fiacca licenziosità. La coscienza eroica e romantica, mistica e poetica della vita, sembra essersi rapidamente dissolta nel nulla. L’antica virilità dello spirito ha ceduto il posto a una mentalità da vecchia suocera, ansiosa, ficcanaso e petulante. È la religione di un’umanità decrepita, che crede solo nei giornali, nei numeri e nei medicinali. Religione degli ultimi tempi. Per vedere qualcosa di meno deprimente temo dovremo aspettare il venticinquesimo secolo.
Può darsi che lo Spirito abbia disertato questo periodo, cascame di civiltà, lasciandone il controllo ad altre forze. Secondo alcuni, è Satana stesso ad aver figliato la nuova religione. Si spiegherebbe così il fatto che non le abbia dato un nome preciso. Il diavolo, difatti, non mette la firma, non ama il satanismo ufficiale. In ogni caso, gli elementi essenziali della nuova fede confluiscono oggi in una religione covidica dai tratti chiaramente diabolici. Probabilmente verrà presto convocato un Concilio in cui virologi, banchieri, mondo della politica e dell’informazione, ne fisseranno le linee dogmatiche e liturgiche.
È certo che il carattere maligno di questa chimera – in cui mostruosamente si fondono la disumanità della scienza e i vizi dell’umanità- si palesa con coerenza implacabile ogni giorno di più. La paternità satanica sembra rivelarsi nella sua radicale pseudologia, questa morbosa tendenza a mentire e a illudersi. Il rispetto degli altri e quella entità fittizia detta salute pubblica diventano pretesti per trasformare l’uomo in un utile automa, bloccato in un mondo senza verità e bellezza.
Ma al di là di queste facili critiche bisogna cogliere il senso profondo del fenomeno, ovvero il bisogno dell’uomo di credere in qualcosa di superiore, non importa se terribile o meraviglioso. La guerra contro l’influenza o la polmonite riscrive con nuove forme il canovaccio dell’eterna lotta tra il bene e il male, tra il virus Angra Mainyu e il vaccino Ahura Mazdā ovvero, come nella Guerra dei mondi, tra umani e creature aliene.
L’intuizione fondamentale di questa Setta è stata di donare allo scientismo ciò che gli difettava, ossia il calore di un sentimento morale. Ha creato un linguaggio universale della paura, un esperanto dell’ipocondria valido in tutto il mondo. I covidici si sentono uniti da una medesima forza di intenti, di timori e di speranze. Basta mettersi una cintura di castità sulla faccia e farsi battezzare con l’aspersione di un misterioso farmaco per sentirsi parte di un’immensa e solidale famiglia. Gli scettici dovrebbero capire che opporre la logica al senso di grandezza, alla maestosa condivisione emotiva che accomuna il popolo covidico, è come tirar sassolini contro un carro armato.
La dottrina covidica ha affratellato l’umanità nell’angoscia e nell’attesa di una salvezza, per quanto limitata e relativa. Questo, se vogliamo, è il suo limite: è una religione che non promette paradisi. Ti lascia scegliere tra un inferno o un purgatorio temporanei, poi il nulla. Per chi non è redento dal vaccino è prevista la dannazione. Agli altri si offre un purgatorio di pene e di lavoro cui accedere superando un fatidico esame, detto tampone, simile alla pesatura dell’anima, quella psicostasia con cui si decideva se ammettere un defunto nell’aldilà o darlo in pasto al nulla. Della religione covidica si potrebbe perciò pensare quello che il Buddha diceva della dottrina tenebrosa di Goshala Maskariputra: che è la peggiore di tutte, simile a una veste di crine, che tiene freddo d’inverno e caldo d’estate, ruvida, brutta e maleodorante.
In effetti, questi chierici che dal pulpito terrorizzano i fedeli evocando i demoni del contagio, o che spingono la gente verso il sacramento del vaccino – “ad nos, ad salutarem undam” – han qualcosa di sudicio e sadico. Sembrano godere dell’infelicità altrui con quella crudeltà mista a senso del dovere tipica dei moralisti. Costringono la gente al rispetto di comportamenti ossessivi, innaturali e ridicoli, mentre vietano le più naturali libertà. Ricordano certi pastori protestanti di Dreyer o Bergman, in preda a cupi turbamenti cui oppongono un mortificante rigore.
Bisogna però riconoscere a questa Setta il merito d’aver semplificato la confessione dei peccati. Non servono più tortuosi esami di coscienza, basta verificare il rispetto di alcune banali direttive sanitarie. E forse, in una fase successiva, la nuova Chiesa concederà indulgenze a chi si vaccinerà il primo venerdì d’ogni mese.
La forza di questa religione è proprio la rozza banalità con cui semplifica l’esistenza umana. Le bastano due dogmi chiari ed elementari: la virofobia e la vaccinofilia. Sa limitarsi ai valori di un sistema binario, basato su antitesi secche: realisti-negazionisti, vaccinisti-terrapiattisti, senza sottilizzare tanto. La stessa dialettica si potrà applicare se necessario a una religione Green o Hi-tech e ai loro detrattori, semplicemente trasferendo i concetti di summum bonum e summum malum in ambiti diversi. I principi covidici, diventati senso comune, potranno piegarsi a qualsiasi disegno di mercato e di potere.
Qualche dubbioso chiederà: ma se il summum bonum è la salute pubblica, perché non condurre campagne sinistre, intimidatorie e repressive anche contro l’inquinamento, il cibo malsano, il fumare, lo stress, e altre cause di morte prematura per un tal numero di persone che al confronto un virus influenzale fa sorridere? Caro scettico, questo è un mistero della fede, accessibile ai soli iniziati, custodi e garanti della verità.
In sintesi, questa nuova religione non è una didattica del risveglio, come il buddhismo, semmai una forma di ipnosi. Non è un invito ad amare il prossimo, come il cristianesimo, perché vieta ogni prossimità. Non predica il coraggio e il sacrificio, sprezzo della vita, come più antiche e virili religioni. Al contrario, pone come massima virtù un’ossessione salutista e una paranoica prudenza. Visto che richiede una sottomissione assoluta, potrebbe sembrare una versione sanitaria dell’Islam. O ricordare un opprimente rigore calvinista, dal vago retrogusto apocalittico. Queste persone col viso coperto, che infliggono ai loro polmoni una continua penitenza, sembrano flagellanti che annunciano la fine del mondo.
A me ricordano un bel film di Franju, “Occhi senza volto”, dove una donna sfigurata indossa una maschera, che ne mostra solo gli occhi. Penso che in fondo è giusto nascondere quelle facce, forse sfigurate anch’esse, incapaci di esprimere rincuoranti sentimenti umani. Ne vedo gli occhi che lanciano lampi di deprecazione, muti anatemi verso il mio viso scandalosamente nudo. E a volte sprezzo, a volte compiango quei volti senza naso e bocca, che mi fissano dal fondo delle loro illusioni.
“Ma non sa che così mette a repentaglio la vita di tante persone? Non le importa?”. Queste parole, come una madeleine, fanno riaffiorare in me il ricordo di uomini che per millenni han tratto forza dallo Spirito, pur tra guerre, pestilenze e carestie, e han creato una civiltà. Uomini liberi, non schiavi con le mutande in faccia. Potrei rispondere con argomenti razionali a quella domanda idiota. Ma perché sfiancarsi in vane discussioni? Così, rispondo dannunzianamente. “Me ne frego”. Gli occhi senza volto mi guardano confusi e indignati, come fossi io il mostro. Mi dico che basterà pazientare quattro secoli, e tutto questo sarà solo un brutto ricordo.
Fonte: Ereticamente del 30 Maggio 2021
Libri Citati
- La guerra dei mondi
- Herbert George Wells
- Traduttore: Adriana Motti
- Editore: Ugo Mursia Editore
- Collana: Grande Universale Mursia
- Anno edizione: 2009
- In commercio dal: 11 aprile 2011
- Pagine: 192 p., Brossura
- EAN: 9788842544050. Acquista € 13,30
Descrizione
La guerra dei mondi, pubblicato a Londra nel 1897, è considerato uno dei primi romanzi di fantascienza scritto da uno dei pionieri del genere. L’avvio è lento, con una riflessione sulle false certezze umane, a metà tra il filosofico e l’umoristico, nell’epoca dell’illusione positivista. Subito, però, la storia si anima e, in un crescendo di suspense, viene descritto l’arrivo sulla Terra di terrificanti marziani che seminano distruzione e minacciano di cancellare ogni traccia di vita sul pianeta. Un gioco della fantasia e una lente di ingrandimento sulle paure della società post industriale inglese, ancora oggi attuale, grazie a uno stile che coniuga con intelligenza gli ingredienti del racconto fantastico e del romanzo dell’orrore.