Se vogliamo ricomporre la dinamica del caos in cui oggi siamo immersi dobbiamo affidarci al principio di causalità

Arnold Bocklin, The Isle of the Dead, 1886 (oil on panel)

OCCIDENTE, ISOLA DEI MORTI CHE DIVORA SÉ STESSA (PRIMA PARTE)


Se vogliamo ricomporre la dinamica del caos in cui oggi siamo immersi, mettendo da parte il destino e la necessità, dobbiamo affidarci al principio di causalità, che è il cardine di ogni riflessione. E poiché si tratta appunto di un caos tutto umano, non possiamo non risalire alle possibili degenerazioni di quella ragione, distintiva degli umani, che del vivere comune dovrebbe essere il principio ordinatore e di cui l’occidente in particolare si è preteso l’elaboratore privilegiato.

Del resto, che il dono del pensiero nascondesse anche il veleno della sua pericolosità, se malamente impiegato, era stato ben compreso dagli antichi. Essi avevano già presagito il rischio contenuto anche nel vantaggio del progresso tecnico in cui la razionalità si è manifestata, nonché le implicazioni morali e spirituali per le quali i vantaggi oggettivi possono rovesciarsi nel loro contrario e determinare il deterioramento delle coscienze e dell’autocoscienza, con il superamento di quel limite, e di quella misura, che per i Greci devono governare tutta l’esistenza umana.

Prometeo e l’aquila che gli divora il fegato – Olio su tela di Jacob Jordaens (circa 1640), Walleaf-Richartz Museum di Colonia (Germania).

Il Prometeo eschileo ammette con lungimirante consapevolezza: «ho impedito agli uomini di rendersi conto della propria condizione mortale. Ho dato a loro le cieche speranze». Dunque, egli vede già le conseguenze di ogni miserabile illusione di onnipotenza, mentre il Coro impietosamente aggiunge: «adesso gli uomini possiedono il fuoco fiammeggiante. Ma la tecnica è molto più debole della necessità»Il progresso della tecnica va di pari passo, inoltre, con la evoluzione in senso scientista del pensiero filosofico. Non per nulla è proprio nella modernità che comincia a riaffiorare la coscienza che la degenerazione del pensiero occidentale avrebbe potuto condurre a conseguenze catastrofiche. Non occorre arrivare alla critica nicciana portata alla filosofia socratica, nella Nascita della tragedia, o a quella della ragione filosofica di Voltaire.

Già potentissima era stata la critica di Gianbattista Vico al razionalismo cartesiano e alla estenuazione della metafisica. Nella Scienza Nuova, nell’Italia tra sei e settecento, e in particolare in una Napoli conquistata appunto dal pensiero cartesiano, egli preconizzava una “seconda barbarie” prossima ventura, quale esito della degenerazione del pensiero filosofico e della falsa civiltà che su di esso si intendeva costruire. Al centro della sua critica sta la considerazione che il metodo matematico non è applicabile all’uomo. Infatti «i popoli maturi distruggono con la ragione tutti i valori e tendono a disgregare la società, e si preparano la barbarie della riflessione», una barbarie che deriva dal distacco del verum dal factum, i quali invece si «convertono vicendevolmente». Insomma, quella aedequatio rei et intellectus di Tommaso d’Aquino.

Del resto, da una distorta percezione dei fatti e della loro intrinseca verità deriva una distorta formazione del giudizio, una distorta concezione dell’etica, della politica, della cultura e, alla fine, una diversa antropologia. Fenomeni che ora tocchiamo con mano.

La critica di Vico sarà ripresa dopo di lui anche in una prospettiva teologica. E tornerà con insistenza nell’insegnamento di Benedetto XVI, mai abbastanza studiato e compreso dai benpensanti cattolici. Ma era tornata con prepotenza nella analisi sociologica e anche filosofica dei pensatori della cosiddetta Scuola di Francoforte, a cavallo tra le due guerre mondiali, e poi ripresa nel dopoguerra con la pubblicazione della Dialettica dell’Illuminismo, in cui si analizza appunto come la supposta forza liberatrice dei “lumi” portati dalla ragione si sia rovesciata in una forma totalitaria di dominio.

Tanto che il suo incipit folgorante continua a rappresentare l’immagine che meglio di ogni altra rispecchia la realtà del nostro tempo. «L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura».

La profezia eschilea vi figura totalmente realizzata. Eppure, il mondo contemporaneo continua a rimanere abbarbicato alla sempre rinnovata e pervasiva visione scientista, e ad ignorare la ricerca di un bene superiore comune quale valore assoluto e imprescindibile. Continua a inverare il motto di Bacone “scientia propter potentia”.

Horkheimer e Adorno hanno analizzato quale sia stata la applicazione del pensiero calcolante ai processi economici moderni a partire dalla rivoluzione industriale e come essa abbia prodotto la reificazione dell’uomo, con un conseguente vero e proprio mutamento antropologico. Un mutamento che oggi ha assunto aspetti grotteschi.

Di qui la Dialettica dell’illuminismo è incentrata sulla torsione della ragione occidentale che, dopo avere preteso in via filosofica di liberare l’uomo da ogni forma di superstizione, in primis da quella individuata nella dottrina e nella fede cattolica, di cui si doveva fare tabula rasa, ha creato nuove forme di assoggettamento e nuove superstizioni. «La liberazione andò ben oltre le intenzioni e la economia mercantile scatenata era insieme la figura attuale della ragione e la forza dava scacco alla ragione». Infatti, essa, intesa come pensiero calcolante fondato sulla quantità misurabile matematicamente, nella nuova civiltà mercantile nata dalla rivoluzione industriale si è trasformata in uno strumento di dominio. Un rovesciamento paradossale, dunque, foriero di catastrofi morali e materiali.

Infatti «la ragione è affine alla violenza o alla mediazione, a seconda di chi l’adopera. La pace e la guerra, la tolleranza e la repressione viene fatta apparire come un “dato” a seconda delle situazioni dell’individuo e dei gruppi. Il pensiero diventa completamente un organo e retrocede a “natura”».

Quegli studiosi avevano avuto modo di osservare in profondità i fenomeni da esuli nel pianeta americano, dove quell’assetto socioeconomico che si andava formando anche in Europa era già radicato. Si fermarono ad analizzare le ricadute del pensiero calcolante sulla società di massa e gli effetti già evidenti della industria culturale destinata a diventare progressivamente una delle manifestazioni più appariscenti del potere e una delle armi più potenti per la sua conservazione. Se «l’illuminismo si era impegnato in senso liberatorio e aveva dato corso alla libera economia, alla luce della ragione illuminata si è dissolta come mitologica ogni devozione che si ritenesse oggettiva e fondata sulla realtà, e tutti i vincoli tradizionali sono incorsi nell’interdetto, compresi quelli che erano necessari all’esistenza dello stesso ordine borghese e a quel minimo di fede senza il quale il mondo borghese non può esistere».

Non solo, come abbiamo ora sotto gli occhi più che mai, «il principio antiautoritario doveva rovesciarsi nel proprio opposto: la liquidazione di ogni norma direttamente vincolante permette al dominio di decretare sovranamente gli obblighi che via via gli convengono e di manipolarlo a suo piacimento». Una profezia che non potrebbe essere più puntuale di fronte alla messa al bando in via governativa di ogni principio costituzionale e al sovvertimento dei poteri istituzionali.

Tuttavia, quegli autori non avevano ancora potuto osservare in profondità come quella degenerazione si fosse estesa dalla teoria e alla prassi con riguardo ad altri fenomeni catastrofici che hanno preso forma compiuta nei decenni successivi.

Basti prendere in considerazione due campi in cui quel pensiero calcolante libero da orpelli di ordine morale si è manifestato in modo stupefacente: quello della guerra e dei cosiddetti rapporti internazionali, e quello della morale individuale e dell’etica comunitaria.

Come è noto, negli anni della pubblicazione di Dialettica dell’Illuminismo, l’equilibrio dei rapporti tra le potenze dotate di armi atomiche teneva ancora congelata la volontà di espansione indiscriminata statunitense, che esploderà trionfalmente con la prima guerra del Golfo, imponendo ufficialmente allo stesso concetto di guerra un contenuto e un significato che doveva cambiarne anche la percezione comune.

Di certo l’imposizione di questo cambiamento era già stata tentata alla fine della Prima guerra mondiale con la criminalizzazione del nemico, non più hostis ma criminale, appunto, cosa che Schmitt aveva già colto ante litteram. Una criminalizzazione ad uso dei vincitori prima dei bombardamenti a tappeto sulle popolazioni civili e prima delle bombe atomiche impiegate a scopo sperimentale e correttivo insieme e che godranno paradossalmente della più completa impunità.

Il pensiero calcolante si contrappone a un pensiero guidato da una logica benevola, cioè teleologicamente al servizio dell’uomo e non ad un utile parziale, all’interesse “di parte” di una oligarchia di potere spinta ossessivamente dallo spirito di conquista mascherato con ideali fasulli.

Un orizzonte in cui anche il significato della guerra viene reimpostato, con il ripudio implicito dello jus ad bellum e dello jus in bello faticosamente elaborati da un pensiero filosofico che aveva sperato di correggere le tentazioni distruttive sempre fatalmente riaffioranti nel tempo.

L’utilitarismo angloamericano traccia tutto un nuovo nefasto orizzonte “ideologico” sulla guerra, che impone la distruzione mirata e pedagogica della popolazione civile attraverso il bombardamento a tappeto e, secondo la dottrina di Churchill già applicata in Europa, la distruzione delle città d’arte allo scopo di fiaccare gli animi cancellando la storia. E questa è forse la forma fra le più barbariche in cui si è espresso il pensiero calcolante.

Nel dopoguerra, il Vietnam, con i suoi esiti tragici, contiene già il paradigma micidiale della guerra statunitense, del resto risalente al tempo della prima conquista, dove la sproporzione dei mezzi cambia la guerra in massacro. Mentre anche la logica diabolica della produzione bellica si sposa felicemente con l’ossessione della conquista e del dominio.

LA PRIMA GUERRA DEL GOLFO, 30 ANNI FA L’OCCIDENTE BOMBARDAVA L’IRAQ

Ma è stata la prima Guerra del Golfo ad arricchirsi di un nuovo elemento: la spettacolarizzazione che, almeno nelle battute iniziali, doveva fornire una nuova percezione della guerra, del tutto lontana dalla realtà oggettiva, e a produrre, smaterializzando gli eventi, la sublimazione di ogni disvalore etico, neutralizzato insieme al possibile giudizio morale.

Molti di noi possono ricordare di avere assistito a quel film surreale trasmesso in via televisiva, in cui comparivano soltanto tante luci intermittenti nella notte e senza ombra di morte. Non vi sarebbero comparsi i centocinquantamila morti a fronte dei centoventiquattro americani caduti anche per fuoco amico. Tuttavia, l’illusione filmica durò poco e presto si ebbero anche le immagini della distruzione dall’alto dell’esercito iracheno in fuga.

Intanto è stata creata un’etica truffaldina di supporto. È nata con stupefacente insolenza la guerra umanitaria e in seguito, con grande sprezzo del ridicolo, anche la generosa esportazione della democrazia che, tra l’altro, manca del tutto nei magazzini degli esportatori, insieme ai limitrofi e altrettanto equivoci diritti umani, recipiente linguistico a contenuto variabile ma fornito di una studiata capacità suggestiva.

Sul tema, prima del Bombardamento etico (1)di Costanzo Preve, venne pubblicato in quegli anni un libro doppiamente profetico: Fuori dall’ Occidente di Alberto Asor Rosa, dove il tema della guerra, che si riproporrà con tutte le altre guerre puntualmente inscenate dall’impero statunitense, viene messo in relazione con l’Apocalisse di San Giovanni.

Roberto Ferri I cavalieri dell’Apocalisse

Doppiamente profetico, perché da un lato vediamo previsti in controluce più o meno tutti fenomeni di cui siamo oggi impotenti spettatori. Dall’altro, perché associa lo svolgimento mostruoso degli avvenimenti presenti e presentiti, che di fatto si sono succeduti dalla prima guerra del Golfo ai giorni nostri, al quadro apocalittico giovanneo, cioè alla visione profetica della lotta estrema tra Bene e Male. In questo spazio temporale, la degenerazione del pensiero “occidentale” si è dispiegata in pieno come volontà di potenza di quel nuovo Occidente politicamente definito che ha risucchiato in sé l’antico Occidente europeo ormai reso impotente sia materialmente sia intellettualmente in quanto sottomesso del tutto al primo. Altre micidiali “guerre” programmate a tavolino, hanno inscenato gratuitamente e in forma delittuosa immani catastrofi di morte e distruzione, e proprio quando, con il nuovo 89, era sembrato nella euforia di un momento che dovesse ormai instaurarsi la pace universale nel superamento del dissidio ideologico.

 

 

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Approfondimenti del Blog

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Descrizione

Il saggio – storico, politico e filosofico – contiene quattro ossimori, concepiti per provocare nel lettore lo “spaesamento” per un autonomo processo di riflessione critica, per affrontare con animo libero gli enigmi dell’ideologia di legittimazione di questa inedita società capitalistica. Sono richiamati i casi delle due guerre contro l’Irak nel 1991 e contro la Jugoslavia nel 1999, condotte con pretesti addotti dalle potenze imperiali, e amplificati dal sistema giornalistico e culturale dominante. Si ricerca poi il fondamento metafisico segreto del trattamento differenziato di Auschwitz e di Hiroshima ed il conseguente pentimento diseguale e manipolato che ne è seguito. La metafisica laica del Giudeocentrismo è servita per imporre una nuova lettura storico-religiosa del Novecento, ma non per contribuire ad una corretta comprensione delle cause che hanno portato al genocidio ebraico, una comprensione che dovrebbe impedire nel futuro il ripetersi di simili catastrofici eventi. Si individua infine in una cultura di resistenza il presupposto necessario per una futura costituzione di forze politiche e sociali in grado di sostenere il confronto che certamente verrà.

 

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