Le guerre di oggi non si combattono più con legioni e spade
PARA BELLUM? GIÀ, MA LE GUERRE SON CAMBIATE DAI
TEMPI DEI ROMANI
Ala.de.granha
Nel mondo di oggi, dove l’inglese domina il linguaggio del potere e della politica, riscoprire un antico motto latino sembra quasi un paradosso. Si vis pacem, para bellum – “Se vuoi la pace, prepara la guerra” – torna improvvisamente di moda tra coloro che fino a ieri parlavano solo in slang angloamericano, tra un meeting, un business e un politically correct. Ma questa massima ha ancora senso nel XXI secolo? Le guerre di oggi non si combattono più con legioni e spade, eppure il principio resta valido o è solo una giustificazione moderna per la corsa agli armamenti? Attraverso un’analisi critica e pungente, il testo esplora come i conflitti siano cambiati dai tempi dei Romani e cosa significhi davvero “preparare la guerra” nell’era della geopolitica, della tecnologia e della disinformazione. (f.d.b.)
Si vis pacem para bellum. Chi siamo noi per poter contestare una massima latina improvvisamente riscoperta dai fighetti che parlavano solo con slang angloamericano tra un ok, un meeting, un business, un asap e un politically correct? Valditara reintroduce persino lo studio del latino alle medie, dunque facciamo finta che i romani avessero sempre avuto ragione. E non abbiano perso un impero. Prepariamoci alla guerra. Già, ma come? Per quale guerra?
Contro i russi, ovviamente. Che hanno 145 milioni di abitanti, un terzo di quelli dell’Europa che dovrebbero occupare secondo gli eurofolli. E con un’economia che non arriva a fine mese, sempre secondo gli eurofolli. Senza più armi né automezzi, nei racconti dei quotidiani italiani e non solo italiani.
Però, per difenderci da un nemico senza risorse e senza futuro, dovremmo spendere 800 miliardi di euro. 30 in più all’anno solo per la parte italiana. Geniale, i mercanti di morte ringraziano.
Nel frattempo il resto del mondo, che le massime latine le aveva non solo imparate ma anche comprese, si prepara alla guerra, ma nella consapevolezza che lo scontro si è spostato dai campi di battaglia e che richiede armi ben diverse. È facile massacrare palestinesi e Houthi privi di armi ma Donald Trump, per minacciare Canada e Usa, Brasile e Cina, ha usato i dazi, non i missili. E la Cina ha risposto in questi giorni non solo con i dazi, ma illustrando un massiccio piano di investimenti per rilanciare l’economia. Partendo, proprio come gli Usa, dal mercato interno.

Perché con la garanzia di una produzione industriale e agricola assorbita in buona parte dai propri cittadini, si possono affrontare con maggior possibilità di successo le sfide del commercio internazionale. Mentre la disinformazione italiana raccontava del crollo della produzione di grano russo, la Russia stabiliva nuovi record produttivi proprio del grano e, di conseguenza, abbassava i prezzi sul mercato interno.
Mentre l’Italia acquista grano canadese al glifosato e i prezzi aumentano.
Ma la sfida è sulle tecnologie, sulla competitività dei prodotti industriali, sulla ricerca, sull’innovazione. Tenendo conto che l’Europa è carente di materie prime e che ha necessità di relazioni internazionali per ottenerle. Non proprio quelle che ha creato Macron con l’Africa, insomma. Anche la rinuncia al gas e petrolio russo per puntare sull’energia nucleare richiede importazioni di uranio, al di là dei tempi per realizzare le centrali.

Tutti aspetti che gli eurofolli ignorano. A loro basta far arricchire gli amichetti che vendono armi e morte. Quos vult Iupiter perdere, dementat prius. Ma questa non l’hanno studiata.

