”FILOSOFI MIEI, CARISSIMI BUGIARDI. Affermare una teoria e vivere il contrario è una contraddizione, una menzogna, una libertà? E se un genio, maligno, animasse la produzione dei grandi pensieri? Anche i grandi pensatori predicano bene e razzolano male. François Noudelmann nel suo libro ne passa in rassegna parecchi: «Ma le idee nascono anche dalle contraddizioni». Chi siamo quando pensiamo? Molteplici, senza dubbio. Invece di denunciare le loro ipocrisie, Francois Noudelmann mostra come i grandi filosofi possano creare le loro personalità multiple grazie alle loro teorie. Analizza la menzogna più complessa, quella che si dice a se stessi, attraverso le angosce, le fughe e le metamorfosi di questi pensatori dal doppio Io.
Quando parla un filosofo non è concepibile che dica menzogne. Va da sé: per statuto, da sempre, la filosofia mira alla verità. Quindi a un pensiero si può perdonare tutto, tranne affermare il falso. Ma come la mettiamo se invece scoprissimo che i filosofi – o meglio, alcuni grandi filosofi – sono stati dei bugiardi?
La questione non è di lana caprina. E François Noudelmann, docente a Parigi e a New York, le dedica un bellissimo libro dal titolo Il genio della menzogna in libreria per Raffaele Cortina. La questione principale che affronta Noudelmann è: cosa succede quando un filosofo afferma una teoria o espone un principio, ma poi nella sua vita conduce un’esistenza che è il contrario di quell’idea Insomma, variazioni filosofiche sul vecchio adagio “predicar bene e razzolare male”. E alla gogna finiscono pensatori di un certo calibro. I quali, premette l’autore, sono fra i suoi preferiti. «In effetti nel libro analizzo soltanto i filosofi che amo molto».
E se non li avesse amati cosa mai avrebbe potuto scrivere.
«Ho scelto autori che ammiro perché non volevo ergermi a giudice. Non mi interessava dare un giudizio morale, puntare il dito affermando: “guarda, sono tremendi, hanno mentito!”».
La prima frase del libro recita: «La condanna morale della menzogna impedisce di apprezzare la complessità».
«Ci sono concetti che rivestono un’importanza capitale per certi filosofi, nozioni che hanno ripetuto e approfondito sino a farne un’immagine di loro stessi: Cartesio e il cogito, Pascal e la scommessa, Kant e la legge morale, Hegel e la dialettica e così via. Mi interessava cogliere le motivazioni e le distorsioni che hanno portato un autore a eleggere un’idea, a sostenerla a volte in contrapposizione con ciò che ha vissuto».
Lei le chiama “torsioni psichiche”, cioè lo scarto fra le idee e la vita di chi le ha espresse, e la tesi del libro è che possono essere all’origine di una produzione intellettuale.
«Naturalmente si può continuare a studiare i testi, che sono quelli che contano, senza considerare l’aspetto biografico dell’autore. Ma se si è interessati alla fabbricazione delle idee, allora è molto interessante comprendere l’io che genera quelle idee».
Del resto in letteratura ammettiamo senza problemi la distinzione tra l’io del personaggio e quello dell’autore.
«Nella finzione letteraria è una questione studiata e analizzata già dai tempi di Proust. In filosofia invece non ci si interroga mai su qual è l’io che pensa, perché si dà per scontata la correlazione fra l’io e il pensiero. Certo, si può dire con Pascal “le moi est haïssable”, l’io è odioso. E questo perché l’io dei filosofi si crede debba essere impersonale».
Però quando quell’io si personalizza ecco venir fuori lo scarto fra pensiero e azione. Come in Rousseau.
«Fra i capolavori che ci ha lasciato c’è l’Emilio, un magnifico trattato sull’educazione. Il fatto è che Rousseau l’ha scritto dopo aver abbandonato i suoi cinque figli. Questo dato biografico non toglie nulla al testo, però a me interessa lo stesso perché credo ne sia l’origine. L’Emilio permette a Rousseau di presentarsi come educatore, ma anche di crearsi una personalità da padre che non ha mai avuto, di costruire un’educazione che non ha mai dato – e nemmeno ricevuto. Insomma, credo che non si debba dire che scrisse un trattato sull’educazione nonostante avesse abbandonato i suoi figli, ma proprio perché li aveva abbandonati».
Un altro autore che compare è Michel Foucault.
«L’ultimo seminario che ha tenuto si intitola Il coraggio della verità. Non tratta della verità metafisica, bensì della parresìa: il dire la verità, il dire sempre tutto».
Era già malato di Aids, sarebbe morto da lì a pochi mesi…
«È proprio questo il punto: mentre fa l’elogio dei pensieri greci che hanno avuto il coraggio della verità, di dire sempre tutto quello che c’è da dire, lui nasconde ossessivamente il fatto di essere malato. E credo che vi sia una connessione fra le due cose, dal punto di vista della creazione del pensiero».
A proposito di creazione: come è nata quella di Sartre come filosofo engagé?
«Dalla fine del 1944 Sartre diventa l’immagine stessa dell’intellettuale impegnato. Però durante la guerra continuava a pubblicare, a scrivere pièce teatrali, a condurre una vita non dico bella, ma di certo tranquilla. Sedeva bellamente al Café de Flore nella città occupata dai nazisti; chiedeva alla compagna Simone de Beauvoir come andavano le vacanze in montagna e, quando lei veniva allontanata dall’insegnamento (per ragioni di “buon costume”, non per altro), Sartre si adoperava per trovarle un lavoro alla radio. Quale? Radio Vichy, ovvero radio del governo collaborazionista. Anche qui non mi interessa il giudizio morale, ma comprendere questa “conversione” filosofica, divenuta poi un mito».
Anche Simone de Beauvoir trova posto nel suo libro.
«Negli anni dopo la guerra ha scritto Il secondo sesso, un libro importante dal punto di vista filosofico. Che costruisce un pensiero di genere e che viene considerato come la bibbia dell’emancipazione femminile e del femminismo. Ma recentemente sono venute alla luce le lettere con lo scrittore americano Nelson Algren, suo amante in quegli anni. E viene fuori un’immagine contraria a ciò che aveva teorizzato: nel libro denunciava la sottomissione delle donne, condannate all’attesa dell’uomo che doveva riempire le loro vite, e inventava di lottare ed emanciparsi. Poi dalle lettere viene fuori che è lei stessa a vivere nell’attesa di Algren: gli scrive di sentirsi donna solo quando è con lui – ma lui è in America, quindi lei lo attende. Arriva persino a scrivergli: “Voglio essere la tua piccola schiava araba”, che cucinerà e farà le pulizie di casa. Molte femministe si sono sentite tradite; certo, si può pensare che proprio perché aveva scritto Il secondo sessopotesse permettersi di giocare alla “donna docile”. La mia impressione è esattamente il contrario: che proprio perché era in quel modo, aveva potuto esprimere quella torsione che le ha permesso di scrivere Il secondo sesso».
Si può pensare qualcosa ma non è necessario vivere il concetto che si esprime.
«Prendiamo Kierkegaard: lui stesso afferma che quando vive una vita asettica e monacale scrive i suoi testi più libertini; inversamente quando trascorre un’esistenza sregolata è proprio allora che scrive testi teologici e religiosi. A differenza di altri segue la pluralità delle sue varie personalità – non a caso usa pseudonimi e solo alla fine della sua vita ritornerà a firmarsi col suo vero nome».
Insomma, anche la verità può esser pensata come una finzione?
«Possiamo concedere ai filosofi l’uso di quell’espressione coniata da Louis Aragon per i poeti, il “mentire-vero”? È una bellissima formulazione: mette in gioco l’opposizione fra vero e falso. E credo sia interessante porre la questione, anche perché molti testi filosofici sono finzione».
Intervista di Marco Filoni. Il venerdì di Repubblica.
L’autore
François Noudelmann è un filosofo francese contemporaneo, professore universitario e produttore radiofonico. Professore all’Università di Parigi VIII (Université de Vincennes à Saint-Denis), e regolarmente alla European Graduate School di Saas-Fee (Svizzera), alla Johns Hopkins University di Baltimora e alla New York University. Tra il 2001 e il 2004 è stato direttore del Collège International de Philosophie (Ciph) a Parigi.
Tra il 2002 e il 2009, Noudelmann ha ospitato un programma radiofonico settimanale chiamato Les Vendredis de la philosophie e Macadam philo. Dal 2008 al 2009 Noudelmann ha coordinato e partecipato al progetto del blog 24 heures philo (24 ore di Filosofia) per il quotidiano francese Libération, unendo notizie, teoria critica e filosofia.
Nel 2009 e nel 2010 Noudelmann ha ospitato Je l’entends comme je l’aime , un programma radiofonico della domenica sera su France Culture che si basa sui molti rapporti tra musica e arte, filosofia, letteratura, poesia, scienza e altro ancora. Gli ospiti precedenti hanno incluso Hélène Cixous, Avital Ronell, Clément Rosset, Jean-Luc Nancy, Alain Badiou, Slavoj Zizek e molti altri. Ha ospitato un programma giornaliero chiamato Le Journal de la philosophie tra il 2010 e il 2013.
Fonte Wikipedia.
François Noudelmann, Il genio della menzogna. I filosofi sono dei gran bugiardi?
(Cortina Raffaello). Pagine 243. Traduttore A. Venditti. (2018)