Oggi è un termine, quasi, spregiativo

PAUPERISMO
Oggi è un termine, quasi, spregiativo. Pauperismo. Sembra riferirsi ad una qualche utopia, anacronistica. O, peggio, ad una sorta di odio, ideologico ed indiscriminato, per chi ha di più… una sorta di negazione del merito. Un egualitarismo stolto ed indiscriminato.
Ma non è sempre stato così. Vi è un abisso fra il “pauperismo” di un tempo – per altro ben antico – e le velleità pseudo-rivoluzionarie degli odierni radical chic. Che sono contro la proprietà privata certo…ma solo quella degli altri. Di quelli che già hanno poco. Mentre la loro, soprattutto i loro privilegi e prebende, guai a chi osi toccarli.
Se vogliamo, possiamo ricondurre il (vero) pauperismo ad una matrice francescana. E, quindi, religiosa… o più esattamente mistica.
Che, però, nei secoli ha conosciuto diverse declinazioni. Anche, anzi soprattutto, “politiche”.
Ora, verrà facilmente in mente il vecchio Proudhon, con quel suo “la proprietà privata è un furto” che, periodicamente si riaffaccia, portando nelle moderne teorie socialiste – più o meno pretestuosamente “scientifiche” – un vento dal profumo… antico.

Ma senza mai incidere davvero nei comportamenti di partiti, e sindacati, che al socialismo (e derivati) in qualche modo si richiamano.
Comunque, ormai roba vecchia e passata nelle discariche della memoria.
Che mi consti, l’ultimo a citare Proudhon (e a dargli ragione) fu Bettino Craxi.
Il fatto è che il pauperismo non può essere, in prima istanza, una teoria politica.
E neppure una qualche dottrina sociale.
Piuttosto afferisce alla sfera morale. È un ethos. Non una ideologia.

E mi viene in mente Marcello Gallian.
Uno degli scrittori più interessanti, e originali, degli anni ’20/’40. Un grande drammaturgo, erede di Pirandello. E un romanziere di rara efficacia. Anche un pittore espressionista, geniaccio di matrice rinascimentale.
Misconosciuto. Dimenticato. Ostracizzato
Perché era fascista. Ma un fascista particolare. Rivoluzionario. Che aveva fatto la Marcia su Roma. Cantandola, poi, nella sua Trilogia della Marcia. E, poi, emarginato durante il Regime. Nessuna prebenda, nessun favore. Neppure mai chiesto.

«Marcello Gallian, romano, legionario fiumano, marcia su Roma, classe 1902, è uno che ti piace subito, appena inizi a leggerlo. Un guascone di cui parli anche quando la sera diventa stanca e ti ricordi che hai lasciato qualcuno a casa ad aspettarti, ma non ti viene voglia di tornare subito per evitare di smettere di parlarne» lo presenta così Massimiliano Soldani, nella sua introduzione a Racconti Fascisti.
Artista molto apprezzato durante il Ventennio, vinse numerosi riconoscimenti per la sua produzione artistica, che comprendeva narrativa, saggistica ma anche pittura e critica d’arte. Nel 1932 si aggiudicò il Premio Mediterraneo con Pugilatore di paese, mentre nel 1934 arrivò secondo al Premio Viareggio con Comando di tappa, una raccolta di racconti..(1)
Poi, caduto Mussolini, mentre tutti gli altri, che lo avevano osannato, facevano a gara a salire sul carro dei vincitori, si rifacevano una verginità antifascista, Gallian… moriva di fame. Letteralmente. Campava la vita frusto a frusto, vendendo sigarette di contrabbando alla Stazione Termini. Solo il direttore del, comunista, Paese Sera, Cohen, gli pubblicava degli articoli. Sotto pseudonimo. Ed era già un atto di coraggio.
Bene, Gallian era e restò sempre un pauperista convinto. Convinto che ogni uomo avesse diritto al necessario per vivere, una casa dove ripararsi, un lavoro consono alle sue capacità. Nulla più. Non vi dovevano essere ricchi e poveri. Il sogno dell’uguaglianza, di matrice anarco-sindacalista, e un’etica da cristianesimo delle origini. Francescana. E il carattere altero del suo amatissimo Dante.
Un sognatore… un utopista. Che pagò care, con una vita difficile, le sue convinzioni. Irriducibile a qualsiasi regime. A qualsiasi compromesso.
E continua a pagarla, per altro, nel vuoto di una memoria culturale che rende omaggio servile al potere. E che, sempre, premia… nani e ballerine.

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