In un’epoca tutta risolta nella fretta, nel presente, nel cortotermine senti che sta nascendo una corrente filosofica…
PENSIAMO AL FUTURO, MA SENZA ESAGERARE
di Marcello Veneziani
Lungotermismo. La parola è brutta ma il significato è promettente, forse esaltante, comunque liberatorio. Finalmente in un’epoca tutta risolta nella fretta, nel presente, nel cortotermine senti che sta nascendo una corrente filosofica, addirittura, che ci riporta al pensare in grande e in lungo, visionaria e lungimirante. Il fatto che il pensare a lungo termine abbia attecchito in particolare a Silicon Valley e che abbia conquistato i miliardari della valle tecnologica, lo rende forse più promettente, ma già sorgono i primi sospetti.
Capisci subito che non di visione del mondo e concezione della vita si tratta, non di filosofia, ma del tema solito della sopravvivenza del pianeta e quindi delle generazioni che verranno. Senti odor di Greta Thunberg, di green, di chi vuol salvare il pianeta mentre va in rovina l’uomo; anzi chi vuol salvare il pianeta dall’uomo. Aria pura senza gli umani.
Ho letto la circostanziata inchiesta di Milena Gabanelli sul Corriere.it e non ripeterò i nomi, sconosciuti a voi quanto a me, di questi veri o presunti filosofi, ricercatori e impresari. Ma sono già impressionato dai numeri: si dice che l’Homo sapiens abbia solo 300 mila anni (conosco una girandola di dati assai divergenti in merito) mentre i suddetti lungotermisti si occupano dei prossimi 700mila anni che sarebbe la prospettiva normale o naturale di sopravvivenza di una specie di mammiferi. Trovo lungimirante chi si occupa dei nostri figli e dei nostri nipoti, o della nostra civiltà misurata a millenni; ma tutto ciò che si prospetta oltre i duemila anni, che sono un po’ l’unità di misura indotta dall’avvento del cristianesimo, mi sembra perdersi nell’indeterminato. Anzi, a dirla tutta, chi pretende di occuparsi dei prossimi settecentomila anni non è previdente e premuroso ma velleitario e presuntuoso. Ma davvero noi viventi in transito siamo in grado di tutelare migliaia di generazioni che verranno dopo di noi e che secondo gli schemi tecno-progressisti saranno molto più evoluti e tecnologicamente più potenti di noi? Giù la testa, limitatevi a fare la vostra parte, accontentatevi di parlare di tempo futuro o di scommettere sull’eternità; ma non pensate di programmare l’avvenire per una milionata d’anni o poco meno. Non è cosa nostra.
Il discorso si fa più ragionevole quando viene indicato un periodo di riferimento più circoscritto: quando si dice, per esempio, che corriamo il serio rischio nei prossimi cinquant’anni di un’espansione incontrollata dell’intelligenza artificiale col rischio di espugnare, esautorare l’umano. A cui viene aggiunto il rischio di nuove pandemie e guerre nucleari. Sono pericoli reali perché non riguardano tempi per noi impensabili ma li stiamo già vivendo, si sono già manifestati. Dunque, ce ne possiamo occupare.(1)

La fine della vita intelligente sulla terra è un pericolo tutt’altro che remoto o indefinito: se deleghiamo tutto agli algoritmi, e a quella che chiamiamo erroneamente Intelligenza Artificiale mentre è un Cervello Elettronico (l’Intelligenza non è un fatto solo fisico, neurocerebrale, come invece è il cervello), rischiamo davvero di trovarci un giorno, senza rendercene conto, con la mente atrofizzata e il cervello infilato dentro una selva oscura di procedure, stimoli esterni, controlli e indirizzi venuti dalla Macchina.
Torna la vena megalomane, anzi la pazzia, quando il discorso riprende la Via Lattea, ovvero quando i lungotermisti progettano di colonizzare altri pianeti perché qui c’è sovraffollamento: l’idea non è del tutto folle e utopistica, qualcosa si sta già muovendo, ma è così complesso programmare migrazioni planetarie di massa, traslochi popolari interstellari, che un po’ di sano e ironico realismo ci vuole per stabilire la differenza tra ciò che si può fare e ciò che si può solo immaginare. Sfamate chi oggi ha fame piuttosto che puntare tutto sulle tecnologie innovative, dice uno scienziato che tocca le corde della Gabanelli; e anche questo è bello a dirsi, più difficile a farsi ma qualcosa di concreto si può fare.

Resta inquietante la prospettiva che il destino dell’umanità sia affidato ai giganti della Big Tech, che non so fino a che punto si faranno guidare da sapienti e benefattori dell’umanità e non da aspiranti padroni del mondo. Musk è già tra i migliori, ma resta inquietante la sua pretesa di guidarci nel futuro, fin dentro il cervello; mi accontenterei che desse un supporto costruttivo a Trump per andare alla Casa Bianca e fare qualcosa di buono.
Alcuni leader politici, intanto, si lasciano tentare dal lungotermismo; non vorrei malignare, ma sono tutti ex premier che una volta fuori gioco, se non diventano consulenti e conferenzieri come Billy Clinton, Tony Blair e Matteo Renzi, si mettono a giocare al Futuro e al Globale interplanetario.
Alla fine, mi pare che sia più saggio lo scienziato Federico Faggin, citato nell’inchiesta del Corriere, scettico sul lungotermismo, che considera “materialista” e impegnato ad accrescere il potere e il profitto dei Signori del Big Tech; e frena sull’intelligenza artificiale, di cui riconosce i grandi vantaggi ma li circoscrive in un ambito che non potrà mai sostituire l’autocoscienza, il libero arbitrio e il progetto umano. La macchina non ha etica, non ha cuore, non ha sensibilità, non ha anima e non può amare né suscitare amore né generare amando. Alla fine, il pallino torna al punto di partenza, all’uomo, con la sua ricerca, la sua grandezza e i suoi limiti. E torna al nostro tempo, al nostro mondo, a noi viventi.
State contenti umana gente al quia(2), dice Dante, non pretendiamo di sostituirci al divino o al mistero e alle migliaia di generazioni che verranno; limitiamoci a provare la difficile impresa di salvare la nostra civiltà, l’umanità presente, con la sua cultura e la sua natura, l’intelligenza e il pensiero dai pericoli di oggi e di domani, e non tra cinquecentomila anni. Consegniamo degnamente il mondo ai nostri successori secondo tradizione; tra diecimila generazioni non è compito nostro, eccede dalle nostre competenze e facoltà. Pensare lungo, vedere ampio, ma senza pretese milionaristiche, esagerazione iperbolica del millenarismo. Quando vedo la terra nello spazio come una briciola dispersa nel cosmo, mi casca il mondo; e a nostra volta siamo briciole disperse dentro quella briciola di pianeta, non possiamo pretendere di guidare l’universo e fare programmi per il prossimo milione d’anni. Facciamo la nostra parte, fino in fondo, lasciamo le nostre tracce, preoccupiamoci del mondo che lasceremo ai nostri figli e nipoti. Al resto, se ci credi, ci pensa Dio. Il destino è più grande della nostra volontà.

Approfondimenti del Blog

(1)
(2)
State contenti, umana gente, al ‘quia’ è un celebre passo della Divina Commedia, al verso 37 del III canto del Purgatorio di Dante: è l’invito a gioire di quel che è dato, della semplice constatazione dei fatti, anziché andare alla ricerca della loro essenza e di presunte cause servendosi soltanto delle forze di per sé insufficienti della ragione umana.