”Di ritorno alla tradizionale visita ai sepolcri del Venerdì Santo…
PENSIERI CORSARI, PENSIERI PASQUALI
Questo articolo nuoce gravemente a coloro che sono convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili e alle anime belle persuase che le cose non vadano così male, nell’Occidente in via di estinzione culturale e biologica. Se pensate che siamo apocalittici, leggete quel che dice Elon Musk – uno dei super padroni – sul funereo destino dell’Italia, dove si muore e non si nasce, tra gli sbadigli di chi resta e l’inazione dei responsabili politici.
Di ritorno alla tradizionale visita ai sepolcri del Venerdì Santo, riflettevamo sulla sciatteria, la povertà di idee e la vera e propria indifferenza per la rappresentazione del momento fondante della fede cristiana. Tra giornali spalancati sui fatti di cronaca, barche cariche di migranti e altre performance situazioniste, neppure i sepolcri parlano più della passione e morte di Gesù. Figuriamoci della resurrezione, avvenuta senza testimoni e in assenza di telecamere.
Non c’è periodo dell’anno più indicativo della crisi – non solo di fede – della nostra società. Eppure, la Pasqua dovrebbe obbligare a pensieri non banali, orientati al senso della vita, a chinarsi sulla condizione umana di creature sospese sul tempo, sgomente dinanzi alla caducità. Strano interludio in attesa del nulla o qualcosa d’altro, simboleggiato dal sepolcro vuoto che ha vinto la morte? Silenzio anche dalla Chiesa, o meglio chiacchiericcio, cronaca, banalità.
La nebbia copriva la terra è l’incipit di Vita e destino dello scrittore russo Vasilij Grossman. Il romanzo avverte che “la verità è una. Una sola, non due. Perché un pezzo di verità non è più verità”. Il bianco resta bianco, qualunque nome gli si voglia attribuire, il male non si trasforma in bene per volontà delle classi dominanti. Grossman pagò cara la sua opposizione al regime sovietico e il manoscritto di Vita e destino fu salvato miracolosamente. Il suo testamento spirituale è riassunto in una frase. “Non c’è niente di peggio dell’essere figliastri del proprio tempo. Non c’è sorte peggiore di chi vive in un tempo non suo”.
La sofferenza del perseguitato, tuttavia, non può far dimenticare il difficile orgoglio della verità. Perseguitata è oggi in Occidente la verità, negato il principio di realtà, irrisa ogni tradizione spirituale. La mente corre agli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini, raccolta di pensieri controcorrente pubblicati su grandi giornali per la fama trasgressiva dell’autore, il più coerente corpus conservatore-reazionario dell’ultimo mezzo secolo, nonostante le professioni di marxismo dell’intellettuale friulano. Citiamo un brano: “la Chiesa dovrebbe essere la guida grandiosa ma non autoritaria di tutti coloro che rifiutano il potere consumistico che è completamente irreligioso, totalmente violento, falsamente tollerante, più oppressivo che mai, corruttore e degradante (mai più di oggi ha senso l’affermazione di Marx per cui il capitalismo trasforma la dignità umana in merce di scambio). È questo rifiuto che potrebbe simboleggiare la Chiesa tornando all’opposizione e alla rivolta. O fare questo o accettare un potere che non la vuole più, cioè suicidarsi.”
Altro silenzio. Le chiese sono vuote perché inutili: non si parla di Dio e neppure delle verità “umane” che, come capì Pasolini, potrebbero animare una rivolta morale. In uno “scritto corsaro” intitolato Genocidio, racconta di aver sognato che tutte le cose (monumenti, chiese, campane, cascine) stavano morendo perché non si sentivano più amate dal popolo. Sono come un bambino che decide di morire in quanto non amato dai genitori. Così capita a tutti i simboli e principi che subiscono il degrado per colpa di popoli che non danno loro più importanza. La società vuole sudditi consumisti. L’edonismo fa sì che attraverso l’influenza della cultura di massa le generazioni si omologhino a modelli che fanno perdere i valori sociali e morali. Una falsa tolleranza fa credere di poter fare ciò che vogliamo; tutto sfocia nell’afasia, ossia la perdita del linguaggio.
La “scelta antropologica” impressa alla chiesa dall’ultimo concilio dovrebbe renderla paladina dell’uomo – creatura prediletta di Dio – di fronte agli attacchi sferrati da culture disumane e antiumane. Chi scrive prova invidia per il Piccolo Principe di Saint Exupéry, per il suo stupore di visitatore alieno – proviene da un asteroide lontano – per la sua assenza finale. Probabilmente è tornato al suo minuscolo pianetino: noi non possiamo farlo e siamo sgomenti dinanzi al fatto che pochissimi – neanche la Chiesa, dall’alto di due millenni e della sua pretesa di verità – gridano che il re è nudo.
Nella fiaba di Andersen “I vestiti nuovi dell’imperatore”, a un sovrano vanesio si presentano due furfanti, garantendo di essere in grado di produrre una stoffa preziosissima e meravigliosa, la cui caratteristica è di essere invisibile agli ignoranti. Colpito nella vanità, il re si fa “confezionare” abiti nuovi, e tutti, per paura di essere tacciati di ignoranza poiché a loro la stoffa appare invisibile, si sperticano in lodi dei vestiti inesistenti. L’ imperatore sfila pavoneggiandosi sinché la voce di un bambino grida: il re è nudo! Spogliati di ogni certezza, restiamo nudi anche noi, convinti dalle menzogne. Chi meglio dell’autorità spirituale potrebbe svelare l’inganno, opporsi all’abolizione della realtà e della verità? Un tempo si diceva che l’essere, il vero, il bene e il bello convergono in unità, legati e collegati tra di loro.
Viene schernito il principio di realtà e offesa in ogni modo la natura. L’eroe degli ultimi anni (in realtà è una vittima) è diventato il transessuale. L’America considera la transessualità un valore in sé; in Canada lo stato dell’Ontario promulga una norma a protezione delle persone LGBTQI+ con multe sino a 25 mila dollari per “violazione dei diritti”. Basta l’affermazione che un bimbo deve avere un padre e una madre e che si nasce da una donna. Se qualcuno si sente donna ma io lo considero uomo per il suo aspetto e atteggiamento, vengo punito. La foto di gruppo che immortala la presentazione della legge impressiona: un riassunto di tutte le bizzarrie sessuali diventate potere. Inversione della realtà, rigetto della verità.
È la chiesa ad avere abbandonato il suo popolo, non il contrario. Pasolini chiedeva opposizione, tenuta interiore: impossibile, se non si crede più in ciò che si ripete a voce sommessa. Resta la “persistenza degli aggregati” di Vilfredo Pareto, un residuo, ossia l’istinto di autoconservazione. Pensiero corsaro: vince sempre chi più crede e soprattutto chi sa identificare il nemico, il primo, decisivo passo per vincere una guerra. Tuttavia, la chiesa afferma di non conoscere nemici e di non poter escludere alcuno. Un errore fatale svelato da Carl Schmitt: se qualcuno mi considera nemico, io, volente o nolente, devo comportarmi come tale, per realismo e autodifesa.
Non vi è dubbio che la cultura dominante in Occidente consideri nemiche la verità, la realtà, la natura e chi le proclama. Il suo materialismo è così potente da non tollerare alcun appello alla trascendenza. L’inimicizia nei confronti di ogni movente o sentimento morale e spirituale è tanto grande che è impossibile non vederlo. Perciò il pensiero più corsaro è l’inutilità della chiesa tremebonda nella battaglia contro un male che tracima da ogni parte e capovolge i fondamenti della vita. Nessun particolare stupore, dunque, per la debole reazione ufficiale all’autentica persecuzione subita dalla maestra sarda che ha fatto recitare ai suoi scolari una preghiera. Subirà venti giorni di sospensione dal lavoro e dallo stipendio.
Sin troppo facile pensare che se avesse invitato in classe una drag queen, un militante LGBTQI+ o un attivista ateo avrebbe ricevuto elogi e mantenuto la retribuzione. Ancor meno stupisce la prestazione giornalistica di tale Alex Corlazzoli sul Fatto Quotidiano che, tra spiritosaggini sullo Spirito Santo e la donna che partorisce da vergine, invita addirittura al licenziamento della docente, colpevole, nientemeno di aver “manipolato le menti di innocenti bambini, obbligato a un atto contro la loro volontà, abusato della sua libertà di insegnamento per imporre la propria ideologia cristiana cattolica”.
E sia, prendiamo in parola il gazzettiere. Che dice, in base al suo stesso ragionamento, dell’indottrinamento “gender” che ha raggiunto i bambini? Non è un atto di imposizione di un’ideologia, un abuso a carico di menti in formazione? Seguendo Corlazzoli, dovremmo opporci anche all’educazione civica e alla lettura di brani della costituzione “più bella del mondo”. Chissà che ne pensa il garrulo cardinale Zuppi, un autentico Zelig ecclesiastico, conservatore e progressista, clericale e anticlericale a seconda del pubblico cui si rivolge.
Il suo diretto superiore Bergoglio, cui potrebbe succedere secondo rumors vaticani, ha affermato, a proposito del giudizio morale, una mezza verità, ovvero una quasi buglia. Non si sente di giudicare, dunque di cacciare dal tempio alcuno, e va bene. Ma per duemila anni la chiesa ha promosso certi principi e condotte e ne ha contrastato altre in base alla parola di Dio e alla legge naturale. Ha cioè giudicato il bene e il male e lo ha chiamato discernimento.
Chi scrive – un altro pensiero corsaro – non ha mai apprezzato del tutto la parabola del figliol prodigo nel Vangelo di Luca. Dei due figli di un uomo, uno gli è devoto e fedele, l’altro pretende in anticipo l’eredità e la sperpera. Pentito, torna a casa e il padre gli fa festa, tra le lamentele dell’altro. È la sorprendente scommessa cristiana: si può sbagliare, seguire il male, ma si è riaccolti, se si è pentiti. Umanamente, stiamo dalla parte del fratello buono, ma riconosciamo la grandezza del ritorno. Il figlio dissoluto cambia vita e chiede in umiltà. Il mondo che abbiamo dinanzi è indifferente al male quando non ne è protagonista e complice attivo. Il pensiero dominante dell’occidente è radicalmente materialista, edonista, anticristiano in quanto antiumano. Duole ripeterlo con la voce di chi non sente accanto a sé la chiesa di cui è figlio.
Forse dobbiamo imparare da Faust, l’uomo che vuole superare ogni limite, possibilità e conoscenza. Nel poema di Goethe, Faust si salva per l’intervento di Margherita, la cura e l’amore umano, e della Grazia, che proviene da quell’Altrove che rifiutiamo con tanto accanimento. Quando Faust incontra Mefistofele, il demone che gli offre tutto in cambio dell’anima, non può fare a meno di chiedergli: chi sei? Dopo varie risposte evasive, Mefistofele si manifesta. “Io sono lo Spirito che sempre nega. E a ragione; perché tutto ciò che ha un’origine merita d’aver fine. Il meglio, quindi sarebbe che nulla avesse origine. Così, tutto ciò che voi chiamate peccato, distruzione, a farla corta il male, è l’elemento mio proprio.”
Soprattutto a Pasqua, la scelta è netta: o Faust ardente di conoscenza e di infinito che sa redimersi, o Mefistofele, lo spirito che sempre nega, agente del Male e del Nulla. Lo sapeva perfino Pasolini dalla biografia tanto discutibile, la cui ultima poesia – in lingua friulana, un ritorno all’origine – esorta così: difendi, conserva, prega.
Roberto PECCHIOLI
Approfondimenti del Blog
«In quest’epoca tremenda, un’epoca di follie commesse nel nome della gloria di Stati e nazioni o del bene universale, e in cui gli uomini non sembrano più uomini ma fremono come rami d’albero e sono come la pietra che frana e trascina con sé le altre pietre riempiendo fosse e burroni, in quest’epoca di terrore e di follia insensata, la bontà spicciola, granello radioattivo sbriciolato nella vita, non è scomparsa» – Vasilij Grossman
«Ho appena terminato un grande romanzo a cui ho lavorato per quasi dieci anni…» scriveva nel 1960 Vasilij Grossman, scrittore noto in patria sin dagli anni Trenta (e fra i primi corrispondenti di guerra a entrare, al seguito dell’Armata Rossa, nell’inferno di Treblinka). Non sapeva, Grossman, che in quel momento il manoscritto della sua immensa epopea (che aveva la dichiarata ambizione di essere il Guerra e pace del Novecento) era già all’esame del Comitato centrale. Tant’è che nel febbraio del 1961 due agenti del KGB confischeranno non solo il manoscritto, ma anche le carte carbone e le minute, e perfino i nastri della macchina per scrivere: del «grande romanzo» non deve rimanere traccia. Gli occhiuti burocrati sovietici hanno intuito subito quanto fosse temibile per il regime un libro come Vita e destino: forse più ancora del Dottor Živago. Quello che può sembrare solo un vasto, appassionante affresco storico si rivela infatti, ben presto, per ciò che è: una bruciante riflessione sul male. Del male (attraverso le vicende di un gran numero di personaggi in un modo o nell’altro collegati fra loro, e in mezzo ai quali incontriamo vittime e carnefici, eroi e traditori, idealisti e leccapiedi – fino ai due massimi protagonisti storici, Hitler e Stalin) Vasilij Grossman svela con implacabile acutezza la natura, che è menzogna e cancellazione della verità mediante la mistificazione più abietta: quella di ammantarsi di bene, un bene astratto e universale nel cui nome si compie ogni atrocità e ogni bassezza, e che induce a piegare il capo davanti alle sue sublimi esigenze. «Libri come Vita e destino» ha scritto George Steiner «eclissano quasi tutti i romanzi che oggi, in Occidente, vengono presi sul serio».
«Il libro segue con ottocentesca, tolstojana generosità molteplici destini individuali spostandosi da Stalingrado (città doppia: simbolo di difesa e libertà contro la violenza nazista e insieme luogo-emblema dell’Urss staliniana; solo nella “casa di Grekov” si vive secondo onore e senza gerarchie) ai lager sovietici e ai mattatoi nazisti, da Mosca (le stanze del potere, le celle della Lubjanka) alla provincia russa. E raccontando la “crudele verità” della guerra, le storie intrecciate di eroi e traditori, automi di partito ed esseri pensanti, delatori, burocrati, intriganti, carnefici, martiri, personaggi fittizi e reali, inframmezzando la narrazione con numerosi dialoghi (di ascendenza, questi, dostoevskiana), Grossman continua a interrogarsi sull’essenza di sistemi che uccidono la realtà – di conseguenza anche gli uomini – falsificandola, sostituendola con l’Idea. Al posticcio e menzognero “bene” di Stato lo scrittore può opporre soltanto, per quanto ardua e apparentemente impossibile in tempi disumani, la bontà individuale, rivendicando – sommessamente, ma con tenacia – l’irripetibilità del singolo destino umano. Giacché “Ciò che è vivo non ha copie … E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne”». (Serena Vitale)
COME COMINCIA
La nebbia copriva la terra. Il bagliore dei fanali delle automobili rimbalzava sui fili dell’alta tensione che correvano lungo la strada.
Non aveva piovuto, ma all’alba il terreno era umido e, quando si accendeva il semaforo, sull’asfalto bagnato si spandeva un alone rossastro. Il respiro del lager si percepiva a chilometri di distanza – lì convergevano i fili della luce, sempre più fitti, la strada e la ferrovia. Era uno spazio riempito di linee rette, uno spazio di rettangoli e parallelogrammi che fendevano la terra, il cielo d’autunno, la nebbia.
Sirene lontane – un ululato lungo e sommesso.
La strada si strinse alla ferrovia e la colonna di camion carichi di sacchi di cemento proseguì per qualche tempo alla stessa velocità di un convoglio merci che sembrava non avere fine. Nei loro pastrani militari, gli autisti guardavano avanti senza girarsi né verso i vagoni che passavano, né verso le chiazze pallide dei volti.
Poi dalla nebbia emerse la recinzione del lager: più giri di filo spinato tesi tra piloni di cemento. Una dietro l’altra, le baracche formavano strade ampie e diritte. La ferocia disumana dell’enorme lager si esprimeva in quella regolarità perfetta.