”C’erano una volta… i piccoli negozi. O meglio le botteghe di quartiere
PICCOLE BOTTEGHE
C’erano una volta… i piccoli negozi. O meglio le botteghe di quartiere. Che equivale a dire che c’era, una volta, la città. Ed ora non è più. Perché sempre più si vive, o meglio si campa alla bell’e meglio in estesi, e squallidi, dormitori suburbani. Totalmente privi di forma. Privi della forma e, quindi, dell’anima che, un tempo, avevano le città. Anche quelle più grandi. Le megalopoli, che tuttavia mantenevano una struttura di quartieri che avevano la funzione di paesi. Facevano sentire l’apparenza ad una comunità.
Ora, nella città formicaio, dove tenere le distanze sembra essere un imperativo categorico e un nuovo dovere morale, i negozietti sono, per lo più, spariti da tempo. O si trovano, con rare eccezioni in stato agonico. Uccisi da supermercati, ipermercati, discount… e con il “delivery” che sta sferrando la mazzata finale. Il colpo di Maramaldo.
Logico, mi ha detto tempo fa un’amica, non abbiamo tempo per fare la spesa. Dobbiamo trovare tutto concentrato in un solo luogo. Meglio ancora se possiamo ordinare online. Con lo smartphone. Tranquillamente seduti, tra una chat e l’altra. Perché per quello (chioso, ricevendo un’occhiata storta) per chattare, il tempo lo si trova sempre. Per andare a fare la spesa no… E così i piccoli negozi spariscono. E con loro svanisce l’anima della città…
Ricordi. Ricordi di anni lontani. Quando, ragazzino, uscivo di casa. E, spesso, mia madre mi mandava a fare la spesa. Senza darmi i soldi, se non per qualche emergenza. Perché, allora, “si segnava”. Si aveva una sorta di conto aperto. E si andava a saldare a fine mese. In contanti. Carte di credito e bancomat o non esistevano, o appartenevano ad un altro universo. E poi ci si conosceva tutti, nel quartiere. E ci si fidava. Certo, qualcuno, in momentanea difficoltà, poteva piantare un chiodo dal panificio o dalla salsamenteria. Ma il bottegaio – si usava dire così, perché botteghe erano, non negozi – portava pazienza. Prima o dopo avrebbe pagato. Una comunità è anche questo.
Comunque, stavo dicendo che, quando da ragazzo uscivo di casa, e giravo l’angolo del mio rione – altra cosa ormai sparita, sostituita da anonimi “comprensori, mentre i rioni avevano una loro identità, la loro squadretta di calcio, il bar, o meglio l’osteria… – e prendevo il lungo Viale contornato da tigli, che andava in direzione della Piazza, passavo in rassegna tutta una, variopinta, teoria di botteghe.
C’era, d’angolo, la salsamenteria, che oggi viene detta minimarket, ma che, allora, vendeva prosciutti, salami e formaggi. E sugli scaffali scatole di fagioli, pasta, tonno e via discorrendo. Ed è stata gestita dalla stessa famiglia per tre generazioni. Su per giù tre quarti di un secolo… E c’era di fronte il fruttivendolo o verduraio. Che solo quello sui banchi esponeva. Frutta e verdura. E rigorosamente di stagione. Altro che l’oggi strombazzato chilometro zero. Allora mica potevi comprare l’uva a febbraio o le fragole a Natale. E i kiwi manco esistevano. Se non in Nuova Zelanda.
A lato c’era la Latteria. Che vendeva latte, latticini, formaggi freschi…
E il panificio. Che vendeva anche pasta. Sfusa, in origine. Conservata dentro grandi anfore di vetro
Poi il fotografo. Dove si portavano a sviluppare i rullini dopo le vacanze. E con dietro la stanza per le foto in posa. Quelle importanti.
E il ferramenta. Viti, chiodi, attrezzi… E il corniciaio. Perché allora foto e stampe, più rari i quadri, si facevano incorniciare. Su misura. E si sceglieva il legno. E l’artigiano poi la lavorava, dorava, bruniva. E c’era anche il calzolaio, detto pure ciabattino, con reminiscenza di Hans Christian Andersen. Poi il tabaccaio. O meglio Sale e Tabacchi. Che meriterebbe un discorso a parte. Perché era un universo proibito per noi ragazzi.
E ancora, la bottega del barbiere per uomo, quello che non faceva l’acconciatore. A quello provvedeva la bottega a lato, la parrucchiera. Luogo esclusiva femminile, dove gli uomini non erano ammessi. Ma il barbiere tagliava i capelli. E radeva, sopratutto. Le barbe. Con i calendarietti profumati di talco e le immagini, conturbanti, di pin up disegnate in abiti succinti…
E, infine, la Merceria. Luogo di meraviglie per le donne. Per noi ragazzi, invece, legata alla proprietaria, che sembrava uscita da un film di Fellini. E che, si mormorava, avesse un passato… turbolento. Ante legge Merlin.
Insomma, una passeggiata per il Viale era anche, anzi sopratutto, la quotidiana scoperta di quelle botteghe. Botteghe usuali, niente di straordinario, e che pure ti trasmettevano una sensazione di sicurezza. Il sentimento che la città era viva. Come ne “La passeggiata” di quel geniaccio di Palazzeschi. Che fa il verso a D’Annunzio, e ti descrive la sua passeggiata, urbana, semplicemente con l’elenco dei numeri civici, dei cartelloni pubblicitari, delle insegne dei negozi… E riesce, comunque, a donarti emozioni.
Fonte: ElectoMagazine del 15 ottobre 2021