Alla fine si deve scegliere: “o Platone o Aristotele”. L’alternativa fra “idealismo platonico” e “realismo aristotelico” è in ultima analisi, un’alternativa esistenziale che oggi si presenta con particolare nitidezza ed urgenza

Alla fine si deve scegliere: o Platone o Aristotele

 

Platone e Aristotele, i due massimi filosofi della Grecia, avevano già detto tutto, beninteso prima della Rivelazione cristiana, e dunque entro i limiti della ragione naturale. Li si può, anzi li si deve ammirare entrambi, per la grandezza smisurata del loro genio, tale che tutto quanto è poi stato detto in ambito filosofico, sempre eccezion fatta per l’apporto – decisivo – del cristianesimo, non è che una variazione sul tema centrale della loro speculazione. I moderni non hanno aggiunto assolutamente nulla, semmai hanno intorbidato le acque e confuso ciò che era chiaro, oppure hanno confuso

Ritratto del cardinale Bonaventura, opera di Claude François, dipinto tra il 1650 e il 1660

ulteriormente ciò che non era chiaro del tutto. Inutile negare che Platone, specie ad un giovane, si presenta molto più affascinante. Il suo pensiero possente, sorretto da una capacità espressiva e poetica altrettanto possente, si libra in alto come l’aquila si libra al di sopra degli altri uccelli. Il suo slancio verso l’Assoluto ha qualcosa di commovente oltre che di grandioso, e la plastica efficacia dei suoi miti fa vibrare una nota che risuona in profondità nella nostra anima, dandoci delle sensazioni esaltanti, al limite del sublime, come l’ascolto di un perfetto concerto di musica sinfonica. Da giovani, anche le nostre simpatie andavano al pensiero platonico, non a quello aristotelico, così aridamente e piattamente razionale, così almeno a noi appariva, pur se dotato – questo era innegabile – di una forza di penetrazione logica superiore a ogni obiezione. E tale simpatia si accende anche nell’animo di molti cristiani, perché il tono generale della speculazione platonica, per non parlare di quella neoplatonica, sembra andare proprio nella stessa direzione di quella cristiana: dal terreno all’ultraterreno, dal sensibile al sovrasensibile, dall’umano al divino. Lo slancio dell’anima verso le regioni rarefatte dell’Idea richiama lo slancio dell’anima cristiana verso il suo Creatore: e infatti c’è tutto un filone della filosofia cristiana medievale, quello che culmina in San Bonaventura(1), che si richiama proprio al precedente platonico e agostiniano, che ha la caratteristica d’un impulso mistico non meno che di un pensiero speculativo razionalmente strutturato. Perciò da giovani anche noi, affascinati dal “misticismo” platonico, ci domandavamo come mai la Chiesa cattolica non avesse adottato, quale base per la propria teologia, il platonismo invece dell’aristotelismo: era una cosa che ci sembrava strana, una sorta d’incidente nella storia del pensiero occidentale. Eppure, avremmo dovuto prestare attenzione a un fatto significativo: gli ultimi filosofi pagani, quasi tutti neoplatonici, erano anche ferocemente anticristiani: loro sì che avevano afferrato la sostanziale, radicale incompatibilità fra le due visioni, quella di Platone, e più ancora di Plotino, e quella del cristianesimo. E tale incompatibilità di fondo non si coglie tanto nell’itinerario dell’anima verso la sfera del divino, quanto nel rapporto fra l’uomo e il mondo. Il mondo, per i platonici, non è che la brutta copia del mondo vero, della realtà vera, che è l’Iperuranio(2), il mondo delle pure Idee. Ogni cosa terrena non è che la copia di una cosa, perfetta ed eterna, che si trova in quel mondo. Fra i due mondi non vi è continuità, non vi è relazione, ma una distanza drammatica: per colmarla, è necessario negare radicalmente valore e dignità al mondo terreno, e calpestare con sdegno tutto ciò che esso ci offre, ivi comprese le relazioni d’affetto, ad esempio l’amore che i genitori ci hanno dato da bambini, e che ci ha permesso di crescere sani ed equilibrati. Per il platonismo, tutto ciò che è terreno è basso, meschino, inferiore e meritevole di essere oltrepassato senza il minimo rimpianto: al massimo, si riconosce un certo valore alla bellezza sensibile, riflesso della bellezza spirituale, quale tappa intermedia dell’itinerario dell’anima verso Dio. Ma l’arte, in quanto copia di una copia, ossia la natura, è a sua volta meritevole di biasimo, spinto fino al disprezzo: a che serve, se non a sedurre i sensi e imprigionare l’anima ancor più crudelmente in quell’oscuro carcere che è la realtà terrena? Ecco perché il platonismo, a uno sguardo superficiale, può sembrare affine alla visione cristiana: perché alimenta un giudizio negativo sul mondo, e giustifica l’ascetismo con la nozione di una realtà terrena deludente e meschina, misera di per se stessa, in quanto copia sbiadita della realtà vera, che è fatta di pure essenze spirituali.

Iperuranio platonico

Alla fine si deve scegliere: “o Platone o Aristotele”. L’alternativa fra “idealismo platonico” e “realismo aristotelico” è in ultima analisi, un’alternativa esistenziale che oggi si presenta con particolare nitidezza ed urgenza!

Questa, però, non è la vera e sana prospettiva cristiana: questa è la visione dei cristiani malati di misantropia, pessimismo e nichilismo esistenziale. Pertanto potremmo dire che, a dispetto delle apparenze, è quasi perfetta per i cristiani moderni: intendendo per cristiani moderni quelli che hanno introiettato le categorie essenziali della modernità, e che, insieme ad esse, hanno anche fatto l’esperienza della sazietà e della nausea provocate dal materialismo, dallo scientismo e dal pragmatismo scaturiti dalla cultura moderna. Un cristiano moderno è un cristiano doppiamente frustrato, perché moderno e perché, travasando la modernità nella visione cristiana, è deluso anche di essa, come era perfettamente logico. Il cristianesimo è radicalmente alternativo alla modernità, e se tenta di

San Tommaso d’Aquino sorretto dagli angeli, del Guercino

prolungare la sua presa sulla società sforzandosi di modernizzarsi, non riesce a fare altro che perdere ciò che di profondo e di attrattivo vi è nella sua concezione del mondo. La quale, in poche parole, è ispirata non al disprezzo e al ripudio, ma all’apprezzamento e al godimento di tutto ciò che nel mondo è buono e amabile, naturalmente non nel senso disordinato dell’edonismo ateo ma in quello della gioia cristiana testimoniata da un’opera come il Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi (e prima ancora, prima dello stesso cristianesimo, ma in accordo con la sua visione, dal Cantico dei Cantici). Il platonismo ha questo in comune con la modernità, o meglio con la modernità giunta nella fase senile, che inizia a dubitare di se stessa, come accade nella fase che stiamo vivendo: la nausea e il disgusto verso ciò che aveva sopravvalutato e assolutizzato, ossia la dimensione immanente; e l’esaltazione esagerata, acritica, della dimensione mistica dell’esistenza, che non nasce però da un’equilibrata valutazione degli aspetti buoni e cattivi del mondo di quaggiù, ma da un cieco e generico desiderio di evasione, da un bisogno di andare via da ciò che non piace, che non soddisfa, che ha “tradito”, più che dal preciso obiettivo di andare verso una meta definita. La visione aristotelica è unitaria e compatta, quanto quella platonica è divergente e quasi schizofrenica. Per la prima non c’è un mondo delle Idee dal quale siamo “caduti” per un misterioso capriccio del destino, e al quale aspiriamo a ritornare, negando e cancellando ogni rapporto con il mondo di quaggiù; al contrario: il mondo vero è questo, sulla base di un robusto e intelligente realismo. Ciò non significa che la realtà totale sia tutta qui, in ciò che si tocca, si vede e si può misurare; ma che per giungere alla realtà ultima si deve passare attraverso la realtà transitoria nella quale ci troviamo, senza ignorarla o disprezzarla. E infatti così lo ha visto il più grande filosofo cristiano di tutti i tempi, san Tommaso d’Aquino(3): ha visto che mentre il platonismo presentava analogie superficiali con la visione cristiana, ma una incompatibilità di fondo, l’aristotelismo, invece, col suo schietto e simpatico realismo, per cui una mela è una mela e una casa è una casa, e nulla di diverso da ciò che si mostra ai nostri sensi, può fornire una base filosofica eccellente alle verità superiori mostrate dalla Rivelazione, perché accoglie come cosa buona la Creazione di Dio (e Dio vide che ciò era buono, dice il libro della Genesi), la guarda con stupore ammirato e con riverente partecipazione, e vede in essa il riflesso di quella sapienza e di quell’amore che sono gli attributi di Colui che ha fatto tali cose.

Scuola di Atene, affresco di Raffaello Sanzio. (1509-1511)

Platone e Aristotele, i due massimi filosofi della Grecia, avevano già detto tutto, beninteso prima della Rivelazione cristiana, e dunque entro i limiti della ragione naturale!

Ma ci sono altri due aspetti che legano in maniera sostanziale la visione platonica alla filosofia moderna. Il primo è dato dal dualismo ad essa sotteso: se il mondo vero è un altro, mentre quello in cui

viviamo è un mondo basso e imperfetto, allora ha ragione Cartesio(4) di stabilire una rigida distinzione fra res extensa e res cogitans, fra il pensiero e la materia: distinzione che non cessa di produrre conseguenze funeste a tutti i livelli, dalla politica alla medicina, e dal diritto all’etica. La cultura moderna è la cultura dello sdoppiamento e della schizofrenia: non è stata capace nemmeno di giungere a una visione unitaria dell’uomo, della sua mente e della sua salute (o della sua malattia) proprio perché non è stata capace di ricomporre il dualismo cartesiano (e platonico). Ciò ha prodotto una scissione all’interno dell’uomo e, con essa, la sua inevitabile conseguenza, l’adozione di una doppia morale. Incalcolabili sono i danni provocati da tale scissione e dalla doppia morale: impossibile farne l’inventario, tuttavia non è esagerato affermare che la maggior parte dei mali che l’uomo moderno infligge a se stesso e agli altri, sia sul piano della vita individuale che su quello della vita sociale, e quindi della storia, hanno in tale fattore la loro ultima radice. Un dualismo latente è sempre esistito nell’anima umana; l’uomo ha sempre percepito una distanza fra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, fra ciò che egli desidera come buono e ciò che la vita infine gli riserva. Però il realismo aristotelico-tomista ha dato una risposta soddisfacente a tale aporia: il mondo è buono, ma è ferito dal peccato; anche l’anima umana è soggetta a una duplice attrazione, verso il male e verso il bene, senza che ciò faccia dell’uomo uno schizofrenico, perché sia la ragione naturale che la Rivelazione gli hanno fornito gli strumenti per tenere a banda il proprio lato oscuro, i propri istinti più bassi, e per incanalarli e sublimarli in direzioni accettabili e perfino utili; e al tempo stesso per sviluppare e potenziare il suo lato luminoso, che tende alla pace dell’Assoluto, non con la nostalgia rabbiosa del neoplatonismo, che odia il “carcere” terreno, ma con la nostalgia serena e rasserenante di chi sa che deve portare a termine il proprio pellegrinaggio terreno per meritare poi quella pace, come premio ed effetto della vita buona.

Dualismo cartesiano. L’interazione tra mente e corpo in due illustrazioni di Cartesio: nella prima gli stimoli esterni verrebbero trasmessi dagli organi sensoriali alla ghiandola pineale nel cervello, e in tal modo recepiti dallo spirito immateriale; quest’ultimo a sua volta, nel secondo disegno, impartisce un comando veicolato agli arti

La cultura moderna è la cultura dello sdoppiamento e della schizofrenia: non è stata capace nemmeno di giungere a una visione unitaria dell’uomo, della sua mente e della sua salute (o della sua malattia) proprio perché non è stata capace di ricomporre il dualismo cartesiano (e platonico)!

Il secondo aspetto che lega il dualismo platonizzante alla cultura moderna è l’insoddisfazione verso il mondo di quaggiù, visto come una realtà negativa, che attende dall’uomo la propria redenzione; non da Dio, dal momento che Dio ha creato il mondo così, con tutte le sue miserie, e sembra indifferente al male che vi imperversa, o, se non è indifferente, è impotente ad estirparlo. Nasce così l’idea, illuminista e massonica, di un mondo terreno che deve avere nell’uomo il proprio dio, il proprio redentore e salvatore, il proprio architetto e organizzatore, il proprio giudice e il proprio boia. Inutile dire che a fare resistenza contro la bonifica integrale del mondo terreno non sono solo le forze della natura, viste come una realtà da soggiogare e da rendere inoffensiva, ma anche gli uomini stessi, quelli che non capiscono o che si oppongono al processo di auto-redenzione del mondo terreno. Di qui deriva la tolleranza illuminista riservata solo a chi la pensa come i philosophes e negata agli altri, ad esempio, secondo Locke, agli atei e a cattolici, questi ultimi perché considerati sudditi infedeli in quanto seguaci di un re straniero, il papa; e di qui la disinvoltura con cui i rivoluzionari francesi mandavano alla ghigliottina i “nemici del popolo”, pari soltanto a quella che avrebbero mostrato, centotrenta anni dopo, i loro ”colleghi” bolscevichi in Russia. Sii mio fratello o ti ucciderò, diceva un aristocratico francese passato al giacobinismo: e tale idea, di eliminare fisicamente chi si oppone alla redenzione dell’umanità, è un’idea tipicamente massonica. Ecco una buona ragione per vedere nella falsa enciclica “Fratelli tutti(T.P.I.) del falso papa Bergoglio un documento abietto e pericoloso: abietto perché smentisce e dissolve duemila anni di autentico magistero cattolico; pericoloso perché getta le premesse ideologiche per odiare e, in prospettiva, per eliminare chi si oppone al paradiso in terra, ultracomunista e ultramigrazionista, teorizzato e auspicato da Bergoglio e dall’attuale vertice della (falsa) chiesa cattolica. Inutile aggiungere che il comunismo di questi signori è uno specchietto per le allodole e il migrazionismo è il vero obiettivo, visto come il grimaldello con cui far saltare definitivamente le identità (a cominciare da quella cristiana), secondo l’agenda del Nuovo Ordine Mondiale, voluto, pensato, studiato e attuato dall’oligarchia finanziaria internazionale.

Un aspetto che lega il dualismo platonizzante alla cultura moderna è l’insoddisfazione verso il mondo di quaggiù e che sfocia nell’idea, illuminista e massonica, di un mondo terreno che deve avere nell’uomo il proprio dio!

Pertanto, la scelta fra platonismo e aristotelismo non è cosa che si possa confinare all’ambito strettamente filosofico, ma riguarda la vita di tutti, e quindi richiede una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità da parte di ciascuno, anche di chi non ha mai aperto un libro di filosofia in vita sua e non ha alcun interesse, né alcuna predisposizione, per gli studi filosofici. Da una parte ci sono i falsi misticismi, la paccottiglia teosofica e New Age, lo Yoga de noantri e il taoismo a un tanto il chilo, tutti in funzione di una visione dualista, che allarga la spaccatura creatasi nella coscienza dell’uomo moderno, aumenta la sua angoscia esistenziale, esaspera le sue tensioni e le sue contraddizioni e favorisce oggettivamente l’opera di manipolazione e asservimento condotta dalle potentissime forze dell’oligarchia finanziaria, perché un uomo disorientato e senza radici e una società schizofrenica e lacerata in se stessa sono il materiale ideale per chi voglia esercitare su di essi un dominio radicale e spregiudicato, fondato sul condizionamento mentale e sulla paura irrazionale (vedi la falsa pandemia da Covid-19) più ancora che sulla coercizione fisica. Dall’altra parte c’è uno sguardo unitario, benevolo, armonioso sull’esistente, tanto nella sua parte visibile – la natura creata – che in quella invisibile. L’alternativa fra idealismo platonico e realismo aristotelico è perciò, in ultima analisi, un’alternativa esistenziale che oggi si presenta con particolare nitidezza ed urgenza. Si ricordi che le scelte della vita concreta trovano la loro origine nella prospettiva generale da cui si guarda il mondo. È importante, anzi essenziale, che lo sguardo sulle cose sia limpido e veritiero…

 Francesco Lamendola

 

Fonte: Accademia Nuova Italia del 16 Ottobre 2020

 

 

Note:

  • (1) Bonaventura da Bagnoregio (Bagnoregio, 1217/1221 circa – Lione, 15 luglio 1274) è stato un cardinale, filosofo e teologo italiano. Denominato Doctor Seraphicus, insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d’Aquino. Vescovo e cardinale, dopo la morte venne canonizzato da papa Sisto IV nel 1482 e proclamato Dottore della Chiesa da papa Sisto V nel 1588. È onsiderato uno tra i più importanti biografi di san Francesco d’Assisi. Infatti alla sua biografia — la Legenda Maior — si ispirò Giotto per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di Assisi. Per diciassette anni — dal 1257 — fu ministro generale dell’Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le Costituzioni narbonesi, su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell’Ordine. La visione filosofica di Bonaventura partiva dal presupposto che ogni conoscenza derivi dai sensi: l’anima conosce Dio e se stessa senza l’aiuto dei sensi esterni. Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria obbligatoria il 15 luglio o il giorno precedente nella forma straordinaria.
  • (2) L’Iperuranio, o mondo delle idee, è un concetto proprio di Platone espresso nel Fedro. La dottrina delle idee ad esso collegata era già stata illustrata dall’autore nel dialogo Repubblica, considerato dai critici precedente al Fedro. Secondo Platone l’Iperuranio è quella zona al di là del cielo (da cui il nome) dove risiedono le idee. Dunque l’iperuranio è quel mondo oltre la volta celeste che è sempre esistito in cui vi sono le idee immutabili e perfette, raggiungibile solo dall’intelletto, non tangibile dagli enti terreni e corruttibili. È importante notare che nella visione classica la volta celeste rappresentasse il limite estremo del luogo fisico: la definizione di “oltre la volta celeste”, dunque, porta l’iperuranio in una dimensione metafisica, aspaziale ed atemporale e, dunque, puramente spirituale.
  • Le idee stanziate nell’iperuranio sono indispensabili per l’esistenza della realtà mondana e delle sue determinazioni fenomeniche. Secondo la concezione platonica, infatti, il rapporto tra le idee dell’iperuranio e le entità terrene può essere di quattro tipi:
      • Rapporto di mimesi: secondo questa concezione gli oggetti terreni sono semplici copie delle idee perfette ed immutabili;
      • Rapporto di metessi: in questo caso le cose partecipano all’esistenza delle idee;
      • Rapporto di parusia: le idee sono presenti nelle cose e ne rappresentano l’essenza;
      • Rapporto di aitia: le idee sono cause delle cose.
  • (3) Tommaso d’Aquino (Roccasecca, 1225 – Abbazia di Fossanova, 7 marzo 1274) è stato un religioso, teologo, filosofo e accademico italiano. Frate domenicano esponente della Scolastica, era definito Doctor Angelicus dai suoi contemporanei. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica che dal 1567 lo considera anche dottore della Chiesa. Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica: egli è anche il punto di raccordo fra la cristianità e la filosofia classica, che ha i suoi fondamenti e maestri in Socrate, Platone e Aristotele, e poi passati attraverso il periodo ellenistico, specialmente in autori come Plotino. Fu allievo di sant’Alberto Magno, che lo difese quando i compagni lo chiamavano “il bue muto” dicendo: «Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico, quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un’estremità all’altra della terra!».
  • «San Bonaventura, entrato nello studio di Tommaso mentre scriveva, vide la colomba dello Spirito accanto al suo volto. Ultimato il trattato sull’Eucaristia, lo depose sull’altare davanti al crocifisso per ricevere dal Signore un segno. Subito fu sollevato da terra e udì le parole: Bene scripsisti, Thoma, de me quam ergo mercedem accipies? E rispose Non aliam nisi te, Domine. Anche Paolo fu rapito al terzo cielo, e poi Antonio e tutta una serie di santi fino a Caterina; il volo, il levarsi in aria indica la vicinanza con il cielo e con Dio, con archetipo nelle figure di Enoch e Elia.» (Il piccolo Tommaso e l'”appetito” per i libri in L’Osservatore Romano, 28 gennaio 2010)
  • (4) Renato Cartesio (La Haye en Touraine [oggi Descartes], 31 marzo 1596 – Stoccolma, 11 febbraio 1650), è stato un filosofo e matematico francese, ritenuto fondatore della matematica e della filosofia moderna. Cartesio estese la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla precisione e certezza delle scienze matematiche a ogni aspetto del sapere, dando vita a quello che oggi è conosciuto con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica dominante in Europa tra il XVII e il XVIII secolo.
  • Nel 1649 si trasferì a Stoccolma accettando l’invito della regina Cristina di Svezia, sua discepola, desiderosa di approfondire i contenuti della sua filosofia. Quell’anno dedicò alla principessa Elisabetta il trattato Le passioni dell’anima. L’inverno svedese e gli orari ai quali Cristina lo costringeva a uscire di casa per impartirle le lezioni – alle cinque del mattino, quando il freddo era più pungente – ne minarono il fisico. Secondo il racconto tradizionale e l’ipotesi più accreditata, Cartesio morì l’11 febbraio 1650 per una sopraggiunta polmonite.[60] La condanna della Chiesa cattolica nei confronti del pensiero cartesiano non tardò a venire, con la messa all’Indice nel 1663 delle sue opere (poste nell’Index con la clausola attenuante suspendendos esse, donec corrigantur).
  • Fonte

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