”Politica estera… questa sconosciuta

POLITICA ESTERA: VECCHI FUSTI E TURISTI PER CASO
Politica estera… questa sconosciuta. In Italia, almeno. È dalla caduta dell’ultimo governo Berlusconi che non se ne parla più. Che è completamente uscita dai radar del giornalismo allineato. Estranea, culturalmente, ai politici di professione. Totalmente ignorata dal grande pubblico.
Ma come? dirà qualcuno. Il nostro presidente del consiglio non fa che viaggiare, incontrare questo o quel premier straniero… a Palazzo Chigi non è, ormai, che una presenza occasionale. Ed episodica…
Vero. Ma la politica estera, quella vera, non si fa prendendo due, tre aerei al giorno. Baciando affettuosamente discutibili “signori” provenienti dall’Ucraina. Sorridendo felice perché nonno Biden ti prende per manina, come per accompagnarti all’asilo…
E neppure facendo il turista sulle orme di Marco Polo. Prendendo per buoni i sorrisi (di circostanza) di funzionari cinesi – non di primo rango, per altro – ai quali stai dicendo che rompi gli accordi sulla Via della Seta 2.0. Perché… hanno deciso così altrove. Oltre Atlantico.
Quei sorrisi fanno parte dello stile della diplomazia. E sono molto più minacciosi, e pericolosi, di un mitra puntato.
I diplomatici veri, e ministri come Andreotti e De Michelis, lo avrebbero capito subito. I turisti fai da te, no. E tornano a casa festanti, con le foto della vacanza.
La politica estera è importante. Anzi, fondamentale, per gli interessi di un paese. Per la sua stessa sopravvivenza. E indipendenza.
È vero che siamo inseriti in un sistema di alleanze bloccato sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma è altresì vero che, in passato, Roma si era saputa ritagliare degli spazi di autonomia notevoli. Cosa che ha contribuito non poco allo sviluppo del nostro paese.
Altri uomini, però. Altri “fusti” di vecchio stampo. Lo spettacolo, oggi, è desolante. I rappresentanti del governo e quelli dell’opposizione danno vita, nei dibattiti televisivi, ad una sceneggiata monotona. Talvolta, tristemente, esilarante. Recitano un copione sempre uguale. Che altri hanno scritto.
Per sentire un ragionamento sulla crisi di Gaza che avesse un senso, un capo e una coda, ho dovuto ascoltare una intervista a Marco Minniti.
Impossibile essere d ‘accordo su tutto. Ma lui, però, sapeva di cosa stava parlando. E aveva in testa almeno una traccia di strategia. E un ricordo del nostro interesse nazionale.
Ma Minniti ha fatto le scuole quando ancora si studiava la geografia. E sa che l’Italia si affaccia sul Mediterraneo, non sul Golfo del Messico. I nostri “vicini di casa” – per usare una espressione di Andreotti – sono il mondo arabo mediorientale e i Balcani. Gaza è molto più vicina di Washington. E Belgrado è appena al di là dell’Adriatico. Non nell’Ontario…
Craxi, Andreotti, De Michelis facevano politica estera. Che è diplomazia. E diplomazia difficile. Lo slalom fra cavalli di frisia e filo spinato. Ma sapevano che era necessario, perché l’Italia potesse rimanere uno Stato. E non trasformarsi in colonia, scivolando inesorabilmente verso una condizione da Terzo Mondo. Anche a livello economico e sociale. Come sta, oggi, avvenendo, con i grandi gruppi finanziari esteri che ci depredano dei gioielli di famiglia. E gli italiani sempre più ridotti al Bangladesh d’Europa. Mentre la nostra classe politica si esibisce in una, pessima, riproduzione del “Arlecchino servo di due padroni” (Washington e UE) o, meglio ancora de “La cameriera galante”.

Certo, quei “vecchi fusti” – che, all’epoca non amavo e che ora mi trovo a rimpiangere – l’hanno pagata cara.
Meglio, molto meglio sorridere e distribuire bacetti. Si rischia di meno e ci si illude di essere entrati nei “salotti buoni”.
Che il paese vada allo sfascio è solo un… danno collaterale.
