”“Procurate moderare, barones, sa tirannia!” Fu l’inno maestoso della rivoluzione antifeudale e antisabauda della Sardegna di fine Settecento, una sorta di “Marsigliese isolana” scritta dal patriota sardo Francesco Ignazio Mannu
È di tutta evidenza che l’emergenza del Coronavirus (accidente della storia o astuzia criminale del potere?) sta facilitando l’estensione di quello che Michel Foucault(1) chiamò
biopotere, ovvero il dominio attraverso il controllo dei corpi – diventati docili per la paura – e della vita, una forma di tirannia non imposta con la violenza diretta, ma con
strumenti “tecnici” sofisticati che permettono di conseguire il controllo su milioni di esistenze, sugli spazi che abitano, le relazioni personali, i comportamenti e gli affetti, sui pensieri e desideri più segreti. Foucault lo chiamò dispositivo e, sulle piste dell’utilitarismo inglese del secolo XIX, intuì la natura “panottica”(2), poliziesca, tirannica e concentrazionaria assunta dal potere. L’errore fu attribuirla esclusivamente al capitalismo. Erano gli anni Settanta del XX secolo e l’ubriacatura marxista non risparmiò quasi nessuno.
Resta il valore delle sue scoperte, la cui importanza è amplificata, nel tratto di secolo XXI che stiamo attraversando, dall’enorme accelerazione impressa da scoperte scientifiche – privatizzate come il resto del mondo – poste al servizio di tecnologie di sorveglianza massiccia che tracciano i nostri movimenti, manipolano, precedono e addirittura determinano le nostre decisioni.
Sono tecnologie a cui ci sottomettiamo di buon grado mentre armeggiamo con i nostri apparati informatici e con il telefono mobile, convinti che il potere le utilizzi a nostro favore, per garantire la nostra sicurezza e proteggere la nostra salute. La tirannia per via tecnologica succede alla dittatura finanziaria e lavora in sinergia con la dittatura sanitaria e tecnocratica di oligarchie che stanno utilizzando la lunga emergenza da Coronavirus per formattare l’uomo di ieri e creare il nuovo umanoide asservito, un uomo senza qualità deprivato del pensiero, derubato delle libertà, un pezzo di carne potenzialmente infetta a cui è stata amputata la dimensione spirituale. Nuda vita con l’unica preoccupazione di durare per l’attimo seguente, macchina desiderante con istinto di conservazione biologica.
Nel passato, carestie, guerre ed epidemie rendevano più acute le inquietudini spirituali; l’onnipresenza della morte faceva affiorare le domande di senso che la prosperità, il godimento di beni materiali e la quotidianità tendono a nascondere. L’emergenza presente è caratterizzata drammaticamente da un’assenza di preoccupazioni spirituali, neppure scalfita da situazioni estreme, come l’abbandono degli anziani nelle strutture sanitarie, morti in solitudine senza la presenza dei loro cari e in mancanza di quelli che una volta si chiamavano conforti religiosi. Nessun accenno al senso della vita nelle discussioni intellettuali, negli interminabili, inconcludenti dibattiti che punteggiano questi mesi, in cui il biopotere si intreccia come non mai con la società dello spettacolo (Guy Debord).
Tirannide e declino della spiritualità sono fenomeni collegati. Lo capì già nell’Ottocento Juan Donoso Cortés(3), aspro critico della modernità nascente, che mise in relazione nel Discorso sulla dittatura il declino della religiosità con l’aumento della tirannide. La religione fornisce agli uomini una direzione interiore, un autocontrollo che guida la vita morale; via via che il senso morale discende – potremmo definirlo il Super Io della psicanalisi – aumenta inevitabilmente la repressione esterna, politica, che la post modernità nasconde nel velo animale dello scatenamento degli istinti (l’Es). Donoso, atterrito da una società in cui il termometro religioso continuava a scendere, previde la nascita di un tiranno universale, immenso ed ubiquo nei confronti del quale non vi è più possibilità di resistenza fisica o morale, perché lo spirito è disperso.
Contro questa nuova forma di tirannide, non riteneva vi fosse altro antidoto che una “reazione religiosa”. Il pensiero inquietante che ci affida è il seguente: “È possibile questa reazione? Possibile, lo è; ma è probabile? Signori, parlo con la più profonda tristezza: non lo credo probabile. Ho visto e conosciuto molti individui che hanno lasciato la fede e vi si sono tornati. Purtroppo, non ho mai visto tornare alla fede i popoli che l’hanno perduta.” Ciò che accade sotto i nostri occhi, sullo sfondo del contagio, non fa che confermare le previsioni funeste del pensatore spagnolo. I nuovi tiranni hanno fatto strame delle nostre vite.
Questa riflessione è propedeutica al titolo del presente intervento: procurate moderare, barones, sa tirannia. Fu l’inno maestoso della rivoluzione antifeudale e antisabauda della Sardegna di fine Settecento, una sorta di Marsigliese isolana, scritta dal patriota sardo Francesco Ignazio Mannu. La prima strofa esprime tutta la forza della rabbia popolare contro la mancanza di libertà, soffocata dai feudatari. “Cercate di frenare, baroni, la tirannia, Se no, per la vita mia, rovinerete a terra! Dichiarata è la guerra contro la prepotenza, e comincia la pazienza nel popolo a mancare!” Tempi bui, rischiarati dall’esistenza di un popolo reattivo, in grado di individuare e mettere nel mirino i suoi nemici. Che bello sarebbe che l’accelerazione tirannica del maledetto 2020 producesse almeno una presa di coscienza comunitaria, un sussulto spirituale, un’ansia di riscatto morale e un desiderio di libertà diverso dai finti “diritti” della finta “società aperta”. Che successo se davvero la pazienza cominciasse nel popolo a mancare!
Non è così; la stretta dei sovrani, dei feudatari e dei baroni è sempre più forte e nessuno intima di moderare la tirannia. La pazienza – diventata esaustione, svuotamento di massa – sembra infinita e c’è da dubitare anche dell’esistenza di un popolo, ridotto a gregge disciplinato dal terrore. Il dispositivo del potere, fattosi biopotere, regna indiscusso. Il fuoco forse cova sotto la cenere, ma il rapporto tra masse e potere è più sbilanciato che mai, anche per la mancanza di coraggio, morale e anche fisico, lo svalutato ardimento. Scrisse Georges Bernanos(4) che chi ha perduto l’anima, pensa solo alla pelle. Quella pelle su cui scrisse pagine memorabili Malaparte e che uno dei cattivi maestri della contemporaneità, Sigmund Freud, comprese essere l’unico obiettivo dell’uomo moderno, il quale, “in cambio di un po’ di sicurezza, ha rinunciato alla possibilità di essere felice”. Felice perché libero, aggiungiamo.
Una giovane studiosa di bioetica, Giulia Bovassi(L.C.), definiva la nostra come l’era degli “assopiti dinamici”. Il sopore si è rovesciato in narcosi e il dinamismo moderno è sconfitto dal distanziamento “sociale”, dalla deriva anaffettiva ed egoista di una plebe informe di atomi agitati esclusivamente in difesa di un surplus di sopravvivenza, i tempi supplementari di chi non osa vivere per non morire.
È in corso una partita esistenziale, un esperimento antropologico la cui posta in gioco siamo noi, il dominio sull’esistenza morale, spirituale e biologica di ciascuno di noi: io, tu, tutti gli altri. Sorprende la vittoria postuma delle proibizioni, dopo mezzo secolo di “vietato vietare” e di odio sparso a piene mani contro l’autorità: il Sessantotto, rivoluzione contro i padri, non contro i padroni. Non solo si estendono i divieti che speriamo contingenti, legati all’improvvida (o forse callida, astutissima) gestione del virus da parte del potere, ma tutti quelli di un nuovo diritto penale repressivo che colpisce le idee e persino i sentimenti, inibisce i giudizi di valore e impone un’uguaglianza per equivalenza che ci rende simili ai granelli di sabbia nel deserto.
La tirannia agisce nella neolingua e nella correttezza politica che impone di non chiamare le cose con il loro nome e di non credere ai propri occhi, nell’odio feroce contro la natura dell’Homo deus, aspirante creatore di se stesso. Brucia sulla pelle di popoli la cui sapienza e cultura è negata, derisa in nome della dittatura degli esperti, i sapienti, i detentori della “scienza”, una superstizione o un totem intangibile più che una fiammeggiante religione materiale. Nel paesaggio cosparso di ceneri, la decadenza del linguaggio non è una malattia quanto un sintomo, come intuì Ernest Juenger(5). Fa ristagnare l’acqua della vita. La parola ha ancora significato, ma non senso, sempre più sostituita da cifre. Corpi e anime restano docili, domati. Il biopotere è un grande, perseverante domatore.
Siamo domati perché abbiamo offerto corpo e anima a Mefistofele in cambio di nulla. Corpi docili in quanto sono docili le anime e perché infecondi, vecchi, avvizziti. Il biopotere ha estenuato tre generazioni educate allo sballo, avviate a molteplici dipendenze, alla discussione interminabile, alla mediazione, alla debolezza, soprattutto all’irresponsabilità. Ha diffuso l’idea della vita come fuga, sequenza di attimi punteggiati da emozioni, piaceri volgari, vacanze. Vacanza significa assenza, mancanza. Davvero, tutto manca, specie la spina dorsale. Non abbiamo dubbi che la reazione, la “resilienza” davanti all’epidemia sarebbe stata ben più forte, nell’Italia non ancora disossata di trenta-quarant’anni fa.
Il Leviatano di Thomas Hobbes(6) – a suo modo biopotere – si presentava come protettore della vita e garante della libertà dinanzi alla violenza bruta. La definizione hobbesiana della libertà, per quanto grezza e materialista, dovrebbe far sussultare le anime belle degli uomini domati: assenza di ostacoli al movimento. Del resto, auctoritas, non veritas facit legem (“L’autorità, non la verità fa la legge”). In un libello polemico della seconda metà del secolo XIX, Maurice Joly, avvocato francese acerrimo nemico di Napoleone III e del suo impero, frutto di quello che oggi chiameremmo “golpe bianco”, immagina un dialogo all’inferno tra Machiavelli e Montesquieu sui diritti e la libertà. La conclusione messa in bocca al segretario fiorentino è che i popoli tornano alla barbarie per la via della civilizzazione.
Il biopotere fabbrica un universo concentrazionario in cui esso è l’unico detentore del diritto di vita e di morte. Lo verifichiamo nella gelida dittatura sanitaria in cui sono gli “esperti” a scegliere chi curare e chi abbandonare al suo destino. Altri periti, magliari della psicologia di massa, nel frattempo convincono ad abbandonare non solo il possesso del corpo, ma addirittura a rinunciare alla vita. L’argomento forte della propaganda mortuaria – questo è l’eutanasia, branca di un’eugenetica spaventosa anche perché non dichiarata – è che morire sarebbe “nel nostro interesse “, la migliore decisione di fronte a una scarsa “qualità della vita”, i cui parametri sono decisi dal biopotere. Non servo più, divento un peso per lorsignori, non sono più “necessario allo sforzo produttivo”, come ha scritto pochi giorni fa il governatore ligure Giovanni Toti. Crepa, corpo senza qualità.
Governo dei corpi, dunque, decisione sul loro spostamento. Non è forse il biopotere, ad imporre, da un momento all’altro il telelavoro e la didattica a distanza? Non abbiamo più il diritto – virus a parte – di interagire con altri esseri umani, collaborare, litigare, scambiare idee. Il mediatore, anzi l’interlocutore, sarà sempre più uno schermo governato da remoto; la relazione con la realtà diventa la lontananza. È l’ossimoro del distanziamento “sociale”, giacché ogni distanziamento è per natura asociale. Biopotere, intrusione nella vita fisica e morale è la chiusura individualistica, solipsista imposta a generazioni “agite”, comandate a distanza da un pulsante on/off, private della cultura, che è libertà di sapere, conoscere, giudicare, pensare liberamente, cioè diversamente.
Il biopotere ama lo stato d’eccezione, aspira a renderlo permanente, e taglia il nodo gordiano(7) dell’etica e della bioetica affermando che conta esclusivamente la sopravvivenza biologica individuale, almeno fintantoché ha “qualità”, ovvero serve al consumo. In caso contrario, pollice verso, come nel circo romano, tanto meglio se la disperazione di vivere ci indurrà a recidere volontariamente il filo della vita. Si tratta di un biopotere che porta al massimo grado l’antico “divide et impera”, riuscendo a penetrare non solo nelle relazioni, ma in interiore homine. Sono riusciti a scindere l’individuo da se stesso: un “dividuo” schizofrenico, sospettoso, egoista, nemico del suo simile e insieme macchina desiderante, un inseguitore di piaceri ed emozioni in mancanza delle quali crolla la “qualità della vita” e appare più accettabile, desiderabile l’annullamento di sé, il nichilismo gaio di massa che non si pone più domande perché qualcuno ha cancellato le parole e i significati, non solo i principi.
Per vivere meglio e di più, per non essere esclusi dal circo del consumo, ci stanno persuadendo a farci marchiare, come le mandrie. Questo è il senso dei chip sottocutanei e dei vaccini che apriranno le porte della felicità e della vita. In quanto alla morte, non esiste più come tale: ci sono solo “cause di morte”, che la scienza scopre, comprende e sconfigge, conducendoci verso la “trans-umanità”, il regno apparente dell’uomo che trascende se stesso e si ibrida con la macchina. In realtà, è la schiavitù perfetta, poiché la Macchina, l’Apparato, non è più un dispositivo, per quanto gigantesco, come per Foucault, ma la proprietà privata di chi la controlla e attraverso di essa esercita una tirannia il cui potere di vita di morte sgomenta per impersonalità. Viene in mente il concetto di banalità del male introdotto da Hannah Arendt(8)(L:C.). La Megamacchina, una volta attivata, agisce da sé, diventa procedura, amministrazione. Io, Tu, Noi, sono solo pronomi privi di riferimento alle persone vive, reali, alle anime.
In questa dimensione scabra, meccanica, trionfa il biopotere, il Leviatano nel cui tempo può sopravvivere solo il più forte. Oltre le oligarchie padrone del potere e perfino del mio e del tuo corpo, là fuori è una giungla popolata di lupi, squali e sciacalli. Ed è biopotere anche il Ministero della Verità, non più invenzione letteraria di George Orwell, ma dispositivo di censura preventiva, di nascondimento, controllo sociale, lavaggio del cervello. Che cosa significa quest’espressione diventata proverbiale, se non che qualcuno, dall’esterno, “lava”, cancella ciò che io sono e ridisegna la mia vita, i miei principi, gesti, parole, secondo la sua volontà, sostituendosi a me?
Si sono impadroniti del “disco rigido” interiore di ciascuno, lo hanno resettato e sostituito con software decisi da loro, innestati nel corpo e nell’anima. Se questa non è tirannia, non sapremmo descriverla diversamente. Confinati nella caverna di Platone (il primo lockdown…), dimentichiamo la dimensione dell’autonomia e la categoria della libertà, tanto in senso alto, metafisico, quanto nella concretezza quotidiana (mi sposto, vivo, agisco, faccio scelte). Domato e rinchiuso il corpo docile, siamo schiavi di chi ci ha estirpato il pensiero critico, sottratto la cultura, derubato del libero arbitrio. Sono una rete, ma hanno anche sigle, nomi e cognomi. Chiamiamoli convenzionalmente i baroni. Non chiediamo molto, come non pretendevano granché i rivoltosi dell’inno sardo: solo di moderare la tirannia. Se davvero cominciasse la pazienza nei popoli a mancare, soffierà il vento.
Il canto dei patrioti sardi si conclude con un vigoroso grido d’incitamento alla rivolta, suggellato da un detto popolare di lapidaria efficacia: “Cando si tenet su bentu, est prezisu bentulare ”, quando si leva il vento, è il momento di trebbiare.
Roberto Pecchioli
Note:
- (1) Paul-Michel Foucault (Poitiers, 15 ottobre 1926 – Parigi, 25 giugno 1984) è stato un filosofo, sociologo, storico della filosofia, storico della scienza, accademico e saggista francese. Filosofo, “archeologo dei saperi”, saggista letterario e docente presso il Collège de France, fu una delle personalità di spicco della corrente filosofico-antropologica strutturalista e post-strutturalista tra gli anni sessanta ed i primissimi anni ottanta, assieme a pensatori del calibro di Claude Lévi-Strauss, Jacques Lacan, Louis Althusser, Roland Barthes, Pierre Klossowski e Gilles Deleuze. Tra i grandi pensatori del XX secolo, Foucault fu l’unico che realizzò il progetto storico-genealogico propugnato da Friedrich Nietzsche, allorché segnalava che, nonostante ogni storicismo, continuasse a mancare una storia della follia, del crimine e della sessualità. I lavori di Foucault si concentrano su un argomento simile a quello della burocrazia e della connessa razionalizzazione trattato da Max Weber. Egli studiò lo sviluppo delle prigioni, degli ospedali, delle scuole e di altre grandi organizzazioni sociali. Sua è la teorizzazione che vide nell’archetipo del Panopticon, modello di carcere ideale teorizzato dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, il paradigma della moderna società capitalistica. Importanti sono anche gli studi di Foucault sulla sessualità, che egli crede non sia sempre esistita così come la conosciamo oggi e così come soprattutto ne discutiamo. In particolare negli ultimi due secoli la sfera del sesso è stata oggetto di una volontà di sapere, di una pratica confessionale che prosegue in maniera blanda ma comunque diffusa la volontà di potere e di sapere istituita con la modernità dalle istituzioni prima religiose e poi secolari. Altro tema ampiamente trattato dal filosofo francese è quello della cura di sé, un principio filosofico rintracciabile nel periodo ellenistico greco e nell’età tardo imperiale romana.
- (2) Panopticon o panottico è un carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham. Il concetto della progettazione è di permettere a un unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti di una istituzione carceraria senza permettere a questi di capire se siano in quel momento controllati o no. Il nome si riferisce anche a Argo Panoptes della mitologia Greca: un gigante con un centinaio di occhi considerato perciò un ottimo guardiano. L’idea del panopticon, come metafora di un potere invisibile, ha ispirato pensatori e filosofi come Michel Foucault, Noam Chomsky, Zygmunt Bauman e lo scrittore britannico George Orwell nel romanzo 1984.
- (3) Juan Francesco Maria de la Salud Donoso Cortés, primo marchese di Valdegamas (Don Benito, 6 maggio 1809 – Parigi, 3 maggio 1853), è stato uno scrittore e politico spagnolo.
- (4) Georges Bernanos (Parigi, 20 febbraio 1888 – Neuilly-sur-Seine, 5 luglio 1948) è stato uno scrittore francese. Fervente cattolico e nazionalista convinto, militò sin da giovanissimo nell’Action française e durante gli anni dei suoi studi in lettere partecipò alle attività dei “Camelots du roi”, movimento di giovani monarchici; negli anni precedenti l’inizio della Grande Guerra fu direttore del settimanale L’Avant-Garde de Normandie. Allo scoppio della guerra, nonostante fosse già stato riformato per varie ragioni di salute, si arruolò volontario nel 6º Reggimento Dragoni (cavalleria). Nel 1917 sposò Jehanne Talbert d’Arc, lontana discendente di un fratello di Giovanna d’Arco, con cui ebbe sei figli. Sfibrata dai parti, la moglie ebbe una fragile salute, cosa che unita alla numerosa prole rese la situazione economica difficile e precaria. Alla fine della guerra si allontanò dall’attività militante nell’Action française.
- (5) Ernst Jünger (Heidelberg, 29 marzo 1895 – Riedlingen, 17 febbraio 1998) è stato uno scrittore e filosofo tedesco del XX secolo. Nel 1980 Jünger ottenne il prestigioso Premio Goethe (conferito, tra i pochi, a Bertolt Brecht e Thomas Mann) che lo consacrò tra i massimi scrittori e pensatori tedeschi del Novecento; il merito stava soprattutto nell’analisi (e nella critica) della modernità; questo è il campo in cui le sue potenti intuizioni ne fanno, fra l’altro, uno degli intellettuali più discussi del XX secolo. Fu aspramente criticato per le più varie ragioni: «dandismo», «aridità», «etica della guerra», «estetica brutale sottesa alla perfezione stilistica». Tuttavia ebbe attestazioni di stima numerose e decisamente bipartisan; era in contatto con non poche personalità della sinistra, come il romanziere italiano Alberto Moravia e il Presidente della Repubblica francese François Mitterrand.
- (6) Thomas Hobbes (Westport, 5 aprile 1588 – Hardwick Hall, 4 dicembre 1679) è stato un filosofo e matematico britannico, sostenitore del giusnaturalismo e autore nel 1651 dell’opera di filosofia politica Leviatano. Oltre che di teoria politica si interessò e scrisse anche di storia, geometria, etica ed economia. La descrizione di Hobbes della natura umana come sostanzialmente competitiva ed egoista, esemplificata dalle frasi Bellum omnium contra omnes (“la guerra di tutti contro tutti” nello stato di natura) e Homo homini lupus (“ogni uomo è lupo per l’altro uomo”), ha trovato riscontro nel campo dell’antropologia politica. «Sto per intraprendere il mio ultimo viaggio, un grande salto nel buio.» (Thomas Hobbes, 1679)
- (7) Nodo gordiano trae origine da una tradizione letteraria e leggendaria a cui è legato anche un aneddoto sulla vita di Alessandro Magno. Con il tempo, l’espressione ha assunto, in varie lingue, una valenza metaforica, andando a indicare un problema di intricatissima soluzione, che si presta a essere risolto, alla maniera di Alessandro, con un brutale taglio. Da questo aneddoto derivano espressioni come «recidere, o tagliare, il nodo gordiano…»: “Portategli il discorso su argomenti/che richiedano acume e sottigliezza/vi saprà sciogliere il nodo gordiano/di tutto, come la sua giarrettiera” (William Shakespeare, Enrico V, Atto primo, scena prima. 45-47)
- (8) Hannah Arendt (Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975) è stata una politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense in seguito al ritiro della cittadinanza tedesca nel 1937. Dopo aver lasciato la Germania nazista nel 1933, a causa delle persecuzioni dovute alle sue origini ebraiche, rimase apolide dal 1937 al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense. Lavorò come giornalista e docente universitaria e pubblicò opere importanti di filosofia politica. Rifiutò sempre di essere categorizzata come filosofa, preferendo che la sua opera fosse descritta come teoria politica invece che come filosofia politica. I lavori di Hannah Arendt riguardarono la natura del potere, la politica, l’autorità e il totalitarismo.
Libri Citati
- Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso
- Giulia Bovassi
- Editore: Berica Editrice
- Collana: Uomovivo
- Anno edizione: 2020
- In commercio dal: 19 marzo 2020
- Pagine: 216 p., Brossura
- EAN: 9788885539297. [btn btnlink=” https://www.ibs.it/guida-bioetica-per-terrestri-da-libro-giulia-bovassi/e/9788885539297″ btnsize=”small” bgcolor=”#59d600″ txtcolor=”#000000″ btnnewt=”1″ nofollow=”1″]Acquista. € 12,75[/btn]
- La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme
- Hannah Arendt
- Traduttore: Piero Bernardini
- Editore: Feltrinelli
- Collana: Universale economica. Saggi
- Edizione: 30
- Anno edizione: 2019
- Formato: Tascabile
- In commercio dal: 3 ottobre 2019
- Pagine: 348 p., Brossura
- EAN: 9788807892974. [btn btnlink=”https://www.ibs.it/banalita-del-male-eichmann-a-libro-hannah-arendt/e/9788807892974″ btnsize=”small” bgcolor=”#59d600″ txtcolor=”#000000″ btnnewt=”1″ nofollow=”1″]Acquista € 10,20[/btn]
Descrizione
«Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso.» Otto Adolf Eichmann, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell’11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo in aereo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l’11 aprile 1961, doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, “in concorso con altri”, crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista, in particolare durante la Seconda guerra mondiale. Hannah Arendt va a Gerusalemme come inviata del “New Yorker”. Assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il giornale sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro al caso Eichmann. Ne nasce un libro scomodo: pone le domande che non avremmo mai voluto porci, dà risposte che non hanno la rassicurante certezza di un facile manicheismo. Il Male che Eichmann incarna appare alla Arendt “banale”, e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la “grandezza” dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano.