Pulcinella è una maschera che viene dall’altro mondo. Infero, demoniaco

PULCINELLA

A portarlo per primo sulla scena sembra sia stato Silvio Fiorillo. Uno dei grandi capo comici del ‘600, famoso già per la maschera di Capitan Matamòros, una delle versioni barocche del Miles Gloriosus.

A definire il personaggio nel suo abito ormai tradizionale, a cristallizzarne l’immagine, ad esempio con il cappello a pan di zucchero, fu solo Antonio Petito, che dominava, nel secolo XIX, il palco del popolare San Carlino. Il tempio della commedia napoletana, voluto, e amato, dai Re Borbone.

Tuttavia, Pulcinella è molto più antico. Le sue origini teatrali si rifanno, con ogni probabilità al Maccus, il servo sciocco della Fabula Atellana. Dal quale ha ereditato il ventre prominente, il lungo naso adunco e bitorzoluto, la casacca bianca. E l’insaziabile fame… ma questa è, solo, una sommaria storia del personaggio teatrale. Perché la maschera di Pulcinella è molto più antica. E Arcana. Legata ai riti agresti, nei quali il sacrificio di “pulcini” alle divinità Demoniche degli inferi, era uso comune.

Pulcinella è una maschera che viene dall’altro mondo. Infero, demoniaco. Se guardi il suo volto ti accorgi che l’allegria buffonesca è solo apparenza. Dovuta alla gestualità caricata all’estremo. Ai lazzi. Alla voce chioccia, che lo rende in qualche modo un personaggio asessuato… Ma la maschera è triste. Incute paura. È un volto dolente e disperato.

Pulcinella è maschera dolente. Viene dal regno dei morti. E la sua fame, proverbiale, inestinguibile, ne è un segno. È fame di vita. Di sangue e carne. Che gli viene sempre negata. Il suo enorme ventre non può mai essere sazio.

Nel tempo, le declinazioni del personaggio sono state innumerevoli. Nella grande Commedia dell’arte, emigrando a nord, soprattutto a Venezia, il napoletano Pulcinella divenne una sorta di rivale di Arlecchino. Ma un rivale meno frizzante. Più malinconico. Chiaroscurale. Come interpretato nei quadri di Giandomenico Tiepolo.

Tiepolo Giovanni Domenico (1727-1804). Vita di Pulcinella. Pulcinella innamorato. 1797. Tela basata su un affresco, conservata a Villa Tiepolo a Zianigo. Rococò. W/p.d.

Pulcinella è anche l’eroe del teatro dei burattini. Dove diventa paladino della giustizia, ribelle contro i soprusi del potere. Sempre rappresentato dall’orrido Mangiafuoco. Il Burattinaio, ripreso, e riveduto, dalla storia di Pinocchio.
E comunque i grandi Pulcinella del Sei /Settecento spesso hanno dato voce al mal di pancia del popolo nei confronti dei despoti e dei prepotenti.
Non per nulla Luigi Compagnone ne ha fatto il protagonista del suo “Ballata e morte di un Capitano del popolo”. Romanzo sospeso fra la fiaba e la realtà politica, nel solco del capolavoro barocco del Basile.

In fondo è un giullare. Un pazzo col berretto a sonagli che i potenti tollerano solo perché non sembra una cosa seria. E le sue armi sono, infatti, la battuta stralunata, lo sberleffo. Il famoso, temibile, “pernacchio”. Come viene spiegato in una scena memorabile da Eduardo.

E Eduardo de Filippo amava Pulcinella. Era perfettamente consonante con la sua arte umbratile. Fondamentalmente melanconica. Opposta alla rutilante vis comica di suo fratello. L’altrettanto grande Peppino.
E di Pulcinella Eduardo diede una memorabile interpretazione nel film” Ferdinando I re di Napoli”. Un pezzo da cineteca. Con tutti e tre i de Filippo ancora insieme.

Peppino faceva la parte di Ferdinando, o re Nasone. Titina di sua moglie, Maria Carolina. E vi era una squadra di caratteristi straordinaria. Nino Taranto nella parte del Ministro di polizia Tarantella; Renato Rascel; i fratelli Maggio, altri grandi del teatro napoletano. E poi Aldo Fabrizi, il grande Vittorio De Sica nella parte di monsignor Caputo. Un giovane Marcello Mastroianni. Una Rosanna Schiaffino che faceva sognare.

E Eduardo era Pulcinella. Un Pulcinella che sfotteva il potere. E che quando viene scoperto dice al re: voi potete tagliare la testa a me. Non a Pulcinella. Perché lui è lo spirito del popolo. Lo spirito della libertà.
Intanto la taglio a te, rispondeva Peppino, nei panni di Ferdinando.

Nel finale, Pulcinella Edoardo si salva in extremis. Arrivano i francesi. Ferdinando fugge. Per le strade si canta e si balla. Felici.

Una Napoli alquanto stereotipata, certo. Luoghi comuni e scarso rispetto della storia. Ma la narrazione fila che è un piacere, soprattutto per merito di Pasquale Festa Campanile, che mise mano al copione.
E poi questa immagine di libertà. Questo finale in cui Pulcinella trionfa, ed esplode il carnevale, mentre il tiranno e i suoi tirapiedi sono in fuga… beh, mi piace. E mi infonde un po’ di buon umore. E un pizzico di ottimismo
Siamo a Carnevale, in fondo…

Andrea Marcigliano

 

 

 

 

Fonte: ElectoMagazine

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