La realtà che fermiamo ha natura quantistica

Tiziano Vecellio, Sisifo, 1548 circa, Madrid, Museo del Prado

PULVISCOLO E MACIGNI

di Lorenzo Merlo

Ogni affermazione, dunque ogni cosiddetta verità, per essere pronunciata nei pensieri, nelle parole e nelle azioni richiede un requisito esclusivo: fermare la realtà


Con la realtà autoreferenzialmente fermata quell’affermazione ha ragione d’essere. Nel tempo, sappiamo di cambiare idea, di meravigliarci di quanto abbiamo fatto, di non volerlo ripetere, eppure contraddirci. Come frammenti di un nugolo di polvere vortichiamo tornando ad occupare posizioni che non avremmo più voluto assumere o che non avremmo sperato di occupare. Come fili di parole e di note che possono raccontare tutto e il suo contrario, provocare emozioni e giudizi opposti. Come Foucault, con il suo la verità è nel discorso (di chi lo afferma), aveva visto.

Un uomo d’affari che tiene la maschera

«La parresia (il diritto dovere di dire la verità) è un’attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o sé stesso) a vivere meglio.» Michel Foucault

La realtà che fermiamo ha natura quantistica, in quanto ciò che ci pare osservare richiede la nostra presenza, la nostra osservazione. Così, il mondo si catalizza o decanta in funzione di come stiamo, di cosa abbisogniamo, dei valori che abbiamo, eccetera. In ogni istante realizziamo una certa relazione con il vorticoso divenire della polvere del mondo che, inconsapevolmente, fermiamo appena abbiamo selezionato il necessario tra gli infiniti elementi, scegliendo quelli utili al nostro discorso, quelli teoricamente disponibili e funzionali alla nostra biografia, così da permetterci di sostenere e identificarci con l’affermazione che stiamo esprimendo.

Scegliendo il nostro necessario riduciamo l’infinito volume multidimensionale, in quanto contiene già tutto, a una prospettiva bidimensionale, secolare, come una fotografia o un disegno, in cui gli elementi selezionati sono immobili e noi possiamo così darne ragione e sfruttarli per il nostro discorso.

Così fanno tutti. Nel nugolo, ognuno vortica legittimando se stesso con continui allineamenti dei pulviscoli che crediamo confermino il nostro dire. Per questo l’esperienza non è trasmissibile. Per questo nessun discorso razional-logicamente professato non è in grado di sottrarci dall’emozione da cui siamo avviluppati. Se qualcuno contesta la nostra selezione/affermazione/verità la reazione di difesa di essa è garantita. Non siamo tendenzialmente educati alla scuola implicitamente presente in ogni critica e contestazione. Tale reazione alla realtà imposta dall’altro scaturisce dall’emozione che essa ci provoca e domina. Tuttavia, ogni emozione – come da etimologia – ci muove in una certa direzione. Siamo costantemente l’espressione di un’emozione. Ed è lei il deus ex machina che estrae dall’infinito il necessario per imporci cosa dire e cosa fare.

È per l’inconsapevolezza dell’identificazione con qualcuna delle prospettive prescelte che possiamo sopraffare l’altro, praticare l’arroganza, ma anche, contemporaneamente, dichiarare la nostra distanza dal vero e dal profondo. Gli scientisti, quella masnada genuflessa ai dogmi della scienza quale sola via alla verità, ne sono un campione cristallino. Ma gli ideologicizzati e i moralisti non ne sono da meno, così come tutti gli identificati con il proprio io, i razionalisti, i materialisti, i positivisti.

Come detto, le cose si muovono, dunque contraddirsi è una sconvenienza moralistica, ma anche una dimostrazione della presenza dei campi quantistici-emozionali che salgono all’essere, cangiano secondo esigenza, reificando la realtà che crediamo di avere al cospetto.

Ogni eureka che nel corso del tempo esprime il momento della soddisfazione, della comprensione illuminante, ci impone di affermare la verità che abbiamo finalmente scoperto. La storia della filosofia e pure dell’ortolano ne sono campioni scelti all’uopo. Credere che la logica aristotelica abbia più ragione d’essere condivisa rispetto all’alogica di Korzybski è soltanto essere dentro la corrispondente capsula emozionale.

Spesso ci adoperiamo per comunicare ciò che abbiamo visto. Intento destinato al fallimento: l’altro, non necessariamente è in quel momento si trova entro un ovulo emozione come il nostro, e se lo è stato in passato, quello in cui si trovano può non bastare per impedire la solidarietà, l’empatia, la comunione e la complicità. Salvo che non si tratti di argomenti tecnici, di campi chiusi, di giochi regolamentati, di momenti amministrativi della vita, e tra interlocutori di pari competenza, la comunicazione passa su ponti emozionali, non razionali. La fallacia della comunicazione tende a rinforzarsi in modo direttamente proporzionale alla nostra razionalistica e dogmatica fiducia nell’idea che la comunicazione sia una questione logico-razionale.

Roteando nel pulviscolo del mondo senza averne consapevolezza, seguitiamo ad attenerci al sistema tridimensionale-materialistico. Crediamo cioè di avere a che fare con una realtà esterna a noi e oggettiva. La magica dimensione emozionale-quantica ci sfugge e così il mondo che via via creiamo. Eccellenti premesse per impedire la sottile evoluzione degli uomini, per restare pesanti macigni.

Lorenzo MERLO

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