Un corpo è bello quando ogni sua parte ha una dimensione proporzionata all’intera figura. (Fidia)

Boucher toilette 1742 W/C

QUALE BELLEZZA SALVERÀ IL MONDO?


Il mantra di una delle frasi più rappresentative, contenuta ne L’idiota di Dostoevskij «la bellezza salverà il mondo», riecheggia in gran parte dei salotti intellettuali o pseudo tali all’interno dei quali si discute sul tema della deriva dei valori morali e sociali dei nostri tempi, ma, ascoltando gran parte delle riflessioni che ci vengono proposte e toccando con mano le feroci banalizzazioni di uno dei concetti più affascinanti e complessi del nostro patrimonio culturale, viene spontaneo chiedersi: siamo ancora in grado di cogliere l’intima essenza e la potenza della bellezza e di utilizzarla, proprio come diceva Dostoevskij, per salvare il mondo?

Nascita di Venere, Sandro Botticelli, 1482-1485. Galleria degli Uffizi di Firenze

La frase centrale di uno dei romanzi più ambigui e misteriosi dello scrittore russo Dostoevskij torna ciclicamente in gran parte dei dibattiti che hanno come oggetto di discussione le crisi del contemporaneo e gli eccessi nocivi ai quali i nostri tempi ci hanno irrimediabilmente abituato: «la bellezza salverà il mondo». queste sono le parole di grande impatto pronunciate dal principe Miškin(1)ne L’idiota, alle quali si affida un compito importante, difficile e forse decisamente fuori dalla nostra portata, soprattutto se si continua a concepire la bellezza come un puro dato dei sensi.

Sicuramente la frase di Dostoevskij, in realtà da sempre giudicata poco chiara e di difficile interpretazione da gran parte dei suoi critici, apre le porte alla riflessione su un tema di grande spessore, troppe volte sminuito, banalizzato e semplificato all’eccesso. Supponiamo sia vero che «la bellezza salverà il mondo» e che, alla luce di ciò, noi tutti dovremo essere in grado di riconoscerla e sfruttarla a vantaggio di una causa tanto nobile; in relazione a questo proposito ci chiediamo: sappiamo veramente cosa sia la bellezza? Siamo ancora in grado di coglierla nella sua complessità oppure riteniamo che il bello si fermi ad una semplice dimensione estetico-sensoriale?

La discussione sulla bellezza costituisce uno degli elementi centrali attorno al quale la storia del pensiero occidentale ha tentato di articolare ragionamenti di natura filosofica che spesso, proprio a causa della fluidità dell’argomento, hanno creato confusione e difficoltà nel riconoscere e identificare cosa sia il bello.

Da Platone a Hegel, fino ad arrivare a Nietzsche, molti sono gli autori che hanno tentato di far luce sull’oscurità della riflessione su un tema ricco di ambiguità e insidie, nei confronti del quale il vizio della semplificazione, tipico della frenesia odierna, ha contribuito a produrre il totale annullamento della validità universale dell’affermazione di Dostoevskij: quando parliamo di bellezza, la nostra attenzione si sofferma troppo spesso sulle manifestazioni del bello, facendoci perdere di vista la totalità, chiaramente difficile da raggiungere e da identificare, del concetto di bellezza, l’unico in grado di offrire una possibilità di redenzione alla realtà incerta e frammentata che ci circonda.

Nell’Ippia maggiore, dialogo meno conosciuto, ma ricco di spunti di riflessione interessanti inseriti in un impianto letterario di grande gusto e finezza linguistica, Platone affida allo scambio tra Socrate e il suo interlocutore Ippia, uomo saccente e pieno di sé che si finge all’altezza del confronto con il saggio protagonista del dialogo, l’approfondimento della questione sul bello che traspare, sotto una patina di irresistibile ironia, dalle parole di Socrate.

Platone fa condurre al suo maestro, che anche qui ricopre il ruolo centrale affidatogli in ogni dialogo, un ragionamento che porta ad una conclusione importante: Socrate si chiede se ciò che viene identificato come bello possieda una caratteristica propria e intrinseca che lo rende tale, oppure possa essere giudicato bello, poiché partecipa dell’idea del bello, racchiudendo in sé la sua sostanza.

Egli stesso afferma:

«(…) Io dicevo che i piaceri che scaturiscono dalla vista e dall’udito sono belli non per questo motivo, in quanto cioè ciascuno di essi ha questa caratteristica, ma non entrambi insieme, oppure entrambi ma non ciascuno singolarmente, bensì per la caratteristica che posseggono entrambi insieme e ciascuno singolarmente, poiché hai ammesso che sono belli entrambi e ciascuno singolarmente. Per questo motivo pensavo che, se entrambi sono belli, devono essere belli per la sostanza che si accompagna a entrambi, non per quella che non è presente in uno dei due, e lo credo ancora (…)» (Platone, Ippia Maggiore)

Il problema posto da Platone si pone, attraversando i secoli, come fulcro della meditazione sulla bellezza: concepire il bello come manifestazione esteticamente gradevole legata all’aspetto esteriore di un oggetto, di una persona, di un’opera d’arte ci porta ad escludere la possibilità secondo la quale possiamo affidarci alla bellezza per salvare il mondo.

Antonio Canova Maddalena giacente(2)

Il bello, come affermava Hegel, è un concetto e, in quanto tale, ha bisogno dello sforzo necessario per afferrarlo: questo sforzo presuppone un contatto con la dimensione sensibile, estetica, ma ha bisogno di un successivo distacco proprio dalla stessa sensibilità, necessario alla sua comprensione profonda e, solo in questo caso, utile nella costruzione di una prospettiva di salvezza per la nostra difficile realtà contemporanea.

Annalisa Boccucci

 

 

 

Note:

(1) Myškin è il figlio di una nobile famiglia decaduta, appartenente all’aristocrazia russa, che però a causa della sua ingenuità cade vittima di un giovane spavaldo e con carattere deciso, figlio di un mercante, che incastra il povero Myškin in affari a dir poco torbidi. Il nobil uomo a causa della sua ingenuità non riesce a difendersi e pertanto è definito nel titolo stesso “L’idiota”, che ne descrive appieno le caratteristiche senza troppi giri di parole, ma allo stesso modo è singolare che l’idiota pronunci una frase di tale spessore e profondità. “La bellezza salverà il mondo” è una delle affermazioni che meglio descrivono ciò che si dovrebbe preservare e difendere, poiché solo difendendo il nostro patrimonio potremo continuare a dirla e a sostenerla, ma nel momento in cui accetteremo passivamente compromessi e deturpamenti della nostra cultura, non potremo fare altro che assistere al nostro declino. Nell’epoca nella quale ci troviamo a vivere, epoca nella quale alla cultura prevale il disinteresse, al valore della conservazione prevalgono abbandono e decadenza, frasi come quella dell’autore russo Dostoevskij dovrebbero essere affisse per le strade, pubblicate su giornali e poste in apertura dei tg, al fine di diffondere una maggiore consapevolezza di ciò che davvero è l’unica arma contro il progressivo declino della nostra società: la cultura. Il concetto di cultura in se presuppone qualcosa di Bello, quella bellezza che secondo il nobile principe russo sarà l’unico fattore che lo porterà in un certo senso ad un riscatto rispetto la condizione nella quale si è trovato a causa di qualche malfattore. (f.d.b.)

(2) Era stata comprata vent’anni fa da una coppia di inglesi, appassionati di arte, a un’asta di statue da giardino per 5.179 sterline, più o meno seimila euro. E tale doveva essere la sua destinazione: abbellire con le sue gentili forme e la delicatezza del marmo un angolo del loro giardino. Solo che quell’opera è un autentico capolavoro: si tratta infatti della Maddalena giacente realizzata da Antonio Canova, che il maestro del neoclassicismo realizzò negli anni Venti dell’Ottocento e di cui si erano perse le tracce da tempo.

26 febbraio 2020

 

 

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