Siamo talmente circondati dalla bellezza che neanche ce ne accorgiamo

QUANDO L’ARTE DISEGNÒ IL VOLTO DI DIO (E QUELLO DELL’UOMO)

Redazione Inchiostronero

La fame di bello è qualcosa di fisiologico, la carenza del senso estetico della quotidianità crea nelle nostre vite un disordine simile, estremizzando, a quello della mancanza di cibo o di acqua. Non potremmo vivere serenamente senza la bellezza


L’arte è il riflesso della nostra esistenza, un linguaggio senza parole che attraversa il tempo e lo spazio, parlando a chiunque voglia ascoltare. È un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra il concreto e l’immateriale. Fin dagli albori dell’umanità, l’arte è stata il mezzo attraverso il quale l’uomo ha cercato di comprendere e rappresentare la realtà che lo circonda: il sacro e il profano, il divino e l’umano, l’eterno e il quotidiano.

L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni.”Pablo Picasso

Dalle pitture rupestri delle grotte di Lascaux agli algoritmi dell’arte digitale contemporanea, ogni epoca ha avuto i suoi narratori visivi. Alcuni hanno tentato di dare un volto a Dio, altri hanno cercato di immortalare l’uomo. Ma esiste davvero una linea di confine tra arte sacra e arte tradizionale? Oppure, come le due facce di una moneta, si influenzano e si sovrappongono, raccontando in modi diversi la stessa ricerca di senso?

Se l’arte è nata per raccontare la vita, allora il sacro e il profano non sono mai stati del tutto separati.

Per capire come l’arte sia diventata il linguaggio del sacro e del profano, dobbiamo tornare indietro nel tempo, fino a quando le prime immagini vennero tracciate sulle pareti delle caverne e le divinità iniziarono a prendere forma nella pietra.

Le prime immagini: tra rito e rappresentazione

Copia del soffitto della grotta di Altamira, in Spagna. Crediti: Museo de Altamira y D. Rodríguez.

L’uomo ha sempre avuto il bisogno di imprimere tracce della propria esistenza, di dare forma ai pensieri e alle paure, ai desideri e alle divinità. Ma i primi segni della creatività umana non erano semplici decorazioni: erano codici visivi, strumenti per interagire con il mondo e con ciò che sfuggiva alla comprensione.

Le pitture rupestri di Altamira e Lascaux, risalenti a circa 15.000 a.C., testimoniano un’epoca in cui il confine tra arte, spiritualità e magia era ancora indistinto. Gli animali raffigurati nelle profondità delle caverne non rappresentavano soltanto la fauna circostante, ma assumevano un significato più profondo. Secondo alcune ipotesi, tali raffigurazioni erano legate a riti propiziatori per la caccia, alla venerazione di spiriti animali o alla trasmissione di conoscenze tra generazioni. L’atto di dipingere non era quindi un semplice esercizio estetico, ma un gesto rituale e simbolico.

Fin da queste prime manifestazioni artistiche si osserva una distinzione tra il sacro, inteso come legame con il mondo spirituale e il mistero della vita e della morte, e il profano, ovvero la rappresentazione della quotidianità. Con l’evoluzione delle società umane, l’arte iniziò a strutturarsi in forme sempre più definite, assumendo un ruolo fondamentale sia nella religione sia nella politica.

Dai templi alle statue: l’arte come strumento del sacro e del potere

Con l’avvento delle grandi civiltà, il linguaggio artistico si trasformò per servire due ambiti distinti ma complementari: il sacro e il potere terreno.

In Egitto, l’arte divenne un ponte tra gli uomini e gli dèi. Le statue colossali dei faraoni, le pitture tombali e le monumentali piramidi non erano semplici espressioni artistiche, ma strumenti per garantire l’immortalità del sovrano e consolidare il suo status divino. La rappresentazione dei faraoni seguiva canoni rigidi e idealizzati, poiché la loro immagine doveva riflettere un’autorità trascendente, immune dal tempo e dalla corruzione terrena.

La ziqqurat di Ur, una delle meglio conservate. Eretta, orientandola secondo i punti cardinali, da Ur-Nammu, fu dedicata a Nanna, dio della Luna. L’accesso ai piani superiori era garantito da tre rampe di scale, si sono conservati solo i primi due livelli.

In Mesopotamia, l’arte ebbe una funzione sia religiosa sia amministrativa. Le ziqqurat, torri templari a gradoni, dominavano le città-stato e fungevano da centri di culto, mentre i bassorilievi narravano le gesta dei sovrani e i loro rapporti con le divinità. L’arte assira e babilonese non si limitava alla celebrazione del sacro, ma aveva anche uno scopo propagandistico, esaltando la forza e il prestigio dei governanti.

La kalokagathia è un concetto tipico della società greca arcaica che affonda radici antichissime.

Nel mondo greco, la rappresentazione degli dèi assunse caratteristiche umane. Le divinità venivano raffigurate con corpi perfetti e armoniosi, secondo i canoni della kalokagathia, il concetto di bellezza e virtù. Le sculture di Zeus, Atena o Afrodite non si distinguevano nella forma dai ritratti di atleti e filosofi, poiché la perfezione fisica era considerata espressione della vicinanza al divino. L’arte greca non si limitò alla celebrazione del sacro, ma indagò anche l’uomo, i suoi ideali e le sue emozioni.

I Romani, eredi della cultura ellenistica, svilupparono un’arte in cui il realismo e il simbolismo religioso si fusero in modo peculiare. Le sculture e i busti marmorei degli imperatori si distinguevano per un realismo accentuato, che ne esaltava la personalità e il carisma politico. Al tempo stesso, i templi, gli altari e le decorazioni urbane rafforzavano il legame tra la figura del sovrano e la sfera divina. Il Pantheon di Roma, con la sua cupola aperta verso il cielo, rappresenta un esempio significativo della sintesi tra ingegneria, spiritualità e potere.

Il Pantheon di Roma, 27 a.C. Marco Vipsanio Agrippa

L’arte come linguaggio universale tra sacro e profano

Dall’Egitto alla Grecia, da Roma alla Mesopotamia, l’arte non ha mai appartenuto esclusivamente al dominio del sacro o del profano. Era un linguaggio universale, un codice che serviva tanto la fede quanto la politica, tanto la contemplazione quanto la propaganda.

Ogni epoca ha lasciato il proprio segno su questo dialogo tra il mondo spirituale e quello terreno. L’arte, nelle sue molteplici espressioni, è sempre stata più di una semplice immagine: ha rappresentato un messaggio, un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra l’uomo e il divino, tra la realtà e l’ideale.

Il Medioevo: l’arte come finestra sul divino

Con l’affermazione del Cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero Romano nel IV secolo, l’arte assume una funzione prevalentemente didattica e devozionale. L’iconografia cristiana si sviluppa per trasmettere concetti teologici e raccontare episodi biblici a una popolazione in gran parte analfabeta. L’arte diventa strumento di fede, veicolo di messaggi religiosi e mezzo per avvicinare i fedeli al divino.

Simbolo del pesce cristiano nel Cristianesimo

Nei primi secoli cristiani, la rappresentazione di Dio e di Cristo segue schemi simbolici piuttosto che figurativi. Nei mosaici delle catacombe romane appaiono immagini allegoriche come il pesce (Ichthys), la colomba, l’ancora e il pastore con la pecora, tutte allusioni alla salvezza e alla protezione divina. Dio non può essere visto, ma può essere raccontato attraverso segni e metafore.

Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina al Sinai, Egitto.

A partire dall’epoca bizantina e medievale, l’iconografia cristiana si arricchisce e si consolida. Il Cristo Pantocratore, raffigurato con un volto severo e ieratico, compare nelle absidi delle chiese, mentre la Vergine con il Bambino diventa il fulcro della devozione popolare. Le immagini sacre non hanno solo un valore estetico, ma servono come strumenti di meditazione e preghiera.

San Gregorio Magno, papa tra il VI e il VII secolo, sintetizza l’importanza dell’arte sacra con una celebre affermazione:

     “L’arte è la scrittura di chi non sa leggere.”

Questa frase sottolinea il ruolo pedagogico delle immagini religiose, che fungono da Bibbia visiva per il popolo. Per questo motivo, le chiese medievali vengono decorate con cicli pittorici che illustrano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, vite dei santi e scene del Giudizio Universale.

L’arte sacra nel Medioevo: tra simbolismo e grandiosità

Mosaici di San Vitale, Ravenna

Nel Medioevo, l’arte cristiana si sviluppa in due principali filoni: l’arte bizantina e l’arte romanica e gotica dell’Europa occidentale.

L’arte bizantina, influenzata dalla cultura greco-romana, si distingue per l’uso di mosaici dorati, icone sacre e rappresentazioni stilizzate. Nelle chiese orientali, come Santa Sofia a Costantinopoli, le immagini sacre sono caratterizzate da volti immobili, occhi grandi e aureole dorate, a simboleggiare la trascendenza divina. Il sacro è distante, immutabile, avvolto in un’aura di solennità.

È da sfatare il luogo comune secondo il quale la Chiesa primitiva, alla pari del mondo giudaico, sarebbe stata contraria alle immagini. All’interno della Chiesa antica si sono sviluppate due correnti: una favorevole alle immagini (iconica), rappresentata in modo particolare dagli scrittori e teologi dell’area alessandrina (Clemente, Origene), l’altra (aniconica) legata alla concezione veterotestamentaria, contraria alle immagini sacre, rappresentata dagli apologisti (Atenagora, Taziano, Aristide, Giustino) e da scrittori cristiani del II e III secolo (Tertulliano, Cipriano, Ireneo). Le tesi della corrente aniconica culmineranno nel Concilio di Elvira (Granada) del 303, dove si fa divieto di rappresentare sulle pareti della chiesa ogni sorta di immagine sacra, ma con esplicito riferimento alla sola aula di culto e non a qualunque genere di pitture. D’altra parte, esistevano già nel III secolo numerose chiese erette al tempo della tolleranza religiosa dei Severi, sia in Oriente che in Occidente che, spazzate via dalla persecuzione di Docleziano, non ci è dato sapere se contenessero o meno delle pitture. Generalmente i Padri della Chiesa, come Eusebio o Tertulliano, sono ostili all’arte, ricordando le proibizioni della legge mosaica (Esodo, XX, 4; Deuteronomio, XXVII, 15). 

La prima forma di arte cristiana fu il simbolo

La Parola SIMBOLO viene dal greco “sumbolon” e dal verbo sumballo che significa “mettere insieme” (in questo caso unire il segno al concetto). Allude ad un segno o ad una figura visibile fatta per esprimere una realtà non rappresentabile. È’ come una formula scritta, densa di significato, di valore evocativo, e di un recondito senso del mistero per un tempo di persecuzione e di martirio. Scrive Costantino Ruggeri I Simboli graffiti, sono schivi di aggettivi, dettati e scritti a volte soltanto un’ora dopo che il martire era stato decapitato, sgozzato e i suoi resti, avvolti in lenzuoli, sepolti in loculi di fortuna nelle tenebre, nei cimiteri scavati nel tufo romano.

Il simbolo divenne il primo linguaggio figurativo il primo mezzo espressivo dei cristiani. Erano tratti dal Vangelo e dalla Bibbia, ma anche dal linguaggio figurativo dell’ambiente in cui si sviluppò il cristianesimo, come aveva suggerito Clemente Alessandrino e anche dal pagano, simboli trasformati in significato cristiano: LA COLOMBA, IL PASTORE, L’AGNELLO, IL PAVONE, IL DELFINO, l’albero, LA NAVE, l’’ORANTE (la romana pietas) L’ANCORA, IL PESCE; segni comprensibili agli iniziati da cui  emergeva la fede e la speranza dei primi cristiani nella vita eterna e in Gesù Cristo figlio di Dio.

 

 

 

 

In Europa occidentale, invece, l’arte evolve attraverso lo stile romanico e successivamente quello gotico. Le chiese romaniche, con le loro forme massicce e le decorazioni scolpite nei capitelli e nei portali, trasmettono un senso di solidità e protezione. Le sculture, spesso rudimentali, raffigurano scene bibliche con forte espressività, talvolta con accenti drammatici e moniti morali.

Una vetrata di Notre Dame

Con il passaggio al gotico, tra il XII e il XIV secolo, l’arte sacra raggiunge un nuovo livello di monumentalità. Le cattedrali gotiche, come Notre-Dame de Paris e il Duomo di Chartres, si sviluppano in altezza, con vetrate istoriate che trasformano la luce in colore e narrazione. I rosoni e le finestre ogivali, decorati con episodi sacri, offrono ai fedeli una visione del divino attraverso l’effetto mistico della luce filtrata.

Le vetrate, insieme agli affreschi e ai polittici dipinti, non sono solo ornamenti, ma strumenti per istruire ed emozionare il credente, rendendo visibile ciò che i testi sacri raccontano. Il gotico introduce anche una maggiore espressività nei volti e nei gesti, avvicinando le figure sacre alla realtà umana.

L’arte come strumento di potere: mecenatismo ecclesiastico e feudale

Oltre alla sua funzione religiosa, l’arte medievale è strettamente legata al potere politico ed ecclesiastico. I grandi committenti delle opere d’arte sono il clero e la nobiltà, che vedono nella costruzione di chiese, abbazie e palazzi affrescati un mezzo per affermare il proprio prestigio.

I papi, i vescovi e i sovrani finanziano cicli decorativi e sculture monumentali che, oltre a glorificare la fede, servono a consolidare la loro autorità. L’arte sacra diventa dunque anche un’espressione di potere.

Parallelamente all’arte religiosa, esiste un filone artistico più laico e profano, diffuso soprattutto nelle corti e nei castelli feudali. Gli arazzi, le miniature dei codici medievali e le decorazioni dei palazzi nobiliari raccontano scene di caccia, tornei cavallereschi, momenti di vita quotidiana e storie epiche.

L’arte profana non è mai del tutto separata da quella sacra: spesso, negli stessi manoscritti miniati, si trovano sia raffigurazioni di santi e martiri sia immagini di cavalieri e sovrani. Il sacro e il profano convivono, mescolandosi e influenzandosi a vicenda.

“Amor sacro e Amor profano” Tiziano 1515. Galleria Borghese, Roma
In un paesaggio bucolico due donne, una vestita e una seminuda (rappresentanti rispettivamente Amor Profano e Amor Sacro), stanno nei pressi di una fontana, nel quale un bambino alato (Eros) rimesta le acque ivi contenute.

Rinascimento: il sacro e il profano si guardano negli occhi

Nel Quattrocento, l’arte europea cambia profondamente. Dopo secoli di rigidi schemi iconografici e prospettive gerarchiche, Dio inizia ad avere un volto umano. Il Rinascimento riscopre l’individuo, la natura, la razionalità e l’armonia delle forme. L’arte non è più solo strumento di devozione, ma anche di indagine sulla realtà.

La prospettiva centrale, l’uso della luce e del chiaroscuro, il recupero delle proporzioni classiche segnano una rivoluzione visiva. L’arte sacra si arricchisce di realismo e profondità psicologica, mentre quella profana esplora nuovi soggetti: il ritratto, il paesaggio, la mitologia, la scienza.

Leonardo da Vinci, in una delle sue riflessioni sull’arte, afferma:

“L’arte non è mai finita, ma solo abbandonata.”

Questa idea riflette lo spirito rinascimentale: l’opera d’arte non è più un semplice tributo alla fede o al potere, ma un processo di ricerca, uno studio infinito sulla bellezza e sulla natura umana.

L’arte sacra e la rivoluzione del realismo

La pittura religiosa rinascimentale si evolve in modo radicale. Gli artisti non si limitano più a rappresentare Dio e i santi con tratti ieratici e stilizzati, ma li rendono vivi, umani, espressivi.

  • Masaccio, con la sua “Trinità” (1425-1427), introduce la prospettiva lineare in un’opera sacra, dando una profondità spaziale mai vista prima.
  • Piero della Francesca, in dipinti come “La Flagellazione di Cristo” (1460 ca.), utilizza il rigore matematico per rendere la scena più realistica e credibile.
  • Leonardo da Vinci, con “L’Ultima Cena” (1495-1498), rompe la staticità medievale e trasforma la narrazione biblica in una scena teatrale, dove ogni apostolo mostra un’espressione e un’emozione distintiva.
  • Michelangelo, nella “Cappella Sistina” (1508-1512), dipinge un Dio creatore possente e vigoroso, distante dall’immagine ieratica medievale, più simile a un uomo che a un’entità astratta.
Leonardo da Vinci, con L’Ultima Cena (1495-1498)
Masaccio, Trinità

 

Piero della Francesca. Flagellazione di Urbino. 1460 ca. Tempera e olio su tavola. Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

 

 

 

 

 

 

Non è solo un cambiamento stilistico: è una rivoluzione teologica. Se Dio può assumere sembianze umane, allora l’essere umano è vicino al divino. Il corpo non è più solo un involucro dell’anima, ma un capolavoro della creazione, degno di essere studiato, dipinto e scolpito con la stessa attenzione riservata ai santi.

L’arte profana: il ritorno dell’uomo e della natura

Parallelamente all’arte sacra, si sviluppa un’arte laica che celebra l’individuo, la bellezza del mondo terreno e il sapere scientifico. I ritratti diventano sempre più diffusi, simbolo di un’epoca in cui l’uomo si riscopre protagonista della storia.

Sandro Botticelli

La Nascita di Venere è senza dubbio una delle opere d’arte più famose ed amate del mondo. Dipinta da Sandro Botticelli tra il 1482 e il 1485, è diventata un simbolo della pittura del 400 italiano, così densa di significati allegorici e richiami all’antichità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Venere dormiente”, Giorgione e Tiziano 1508 Giorgione e Tiziano, nella Venezia del Cinquecento, esplorano il nudo femminile in dipinti come “Venere dormiente” e “Venere di Urbino”, in cui il corpo è esaltato come pura espressione della bellezza naturale.

 

 

 

 

 

 

 

 

Raffaello, Madonna del cardellino, 1505-6. Firenze, Uffizi.Raffaello, nelle sue Madonne, fonde il divino e l’umano in un equilibrio perfetto, rendendo la maternità della Vergine un tema universale e intimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’arte profana non è in opposizione a quella sacra, ma ne è il naturale complemento. L’uomo non si accontenta più di guardare solo il cielo, ma vuole comprendere anche la terra.

Il Manierismo: quando il sacro e il profano si fondono

A partire dalla metà del Cinquecento, l’armonia rinascimentale lascia il posto a un’arte più inquieta e complessa. Il Manierismo introduce proporzioni allungate, colori artificiali e composizioni dinamiche, riflettendo un’epoca di tensioni religiose e politiche.

Artisti come Pontormo, Parmigianino ed El Greco reinterpretano l’arte sacra con uno stile espressivo e quasi visionario. Le figure si deformano, i colori diventano irreali, le scene sacre assumono un carattere più teatrale e drammatico.

Questa evoluzione anticipa il Barocco, un’epoca in cui l’arte non si limita più a rappresentare la fede, ma la mette in scena con effetti spettacolari.

Dal Rinascimento al Barocco: quando la bellezza diventa potenza

Nel Seicento, l’arte diventa grandiosa, emozionante, persino sensuale. Il Barocco porta il sacro e il profano a una fusione ancora più intensa.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa

Gian Lorenzo Bernini, con le sue sculture monumentali, trasforma il marmo in carne viva, in movimento, in emozione. Nella celebre “Estasi di Santa Teresa” (1647-1652), rappresenta la santa trafitta da un dardo angelico in un momento di rapimento mistico. L’espressione del volto, il panneggio fluido delle vesti, il gioco di luce e ombra creano un’opera che sembra sospesa tra il divino e il terreno. L’estasi spirituale appare in tutto e per tutto simile a un’esperienza fisica, tanto che la scena sembra alludere a un piacere quasi sensuale. Bernini, con il suo stile teatrale e scenografico, non si limita a rappresentare la fede: la rende un’esperienza viscerale, capace di coinvolgere lo spettatore a livello emotivo e fisico.

Morte della Vergine Caravaggio 1604 Musée du Louvre, Parigi

Caravaggio, con la sua pittura rivoluzionaria, immerge i santi e i peccatori nella stessa luce drammatica, rendendo il sacro incredibilmente reale e umano. Nei suoi dipinti, i martiri e i mendicanti condividono la stessa carne e lo stesso dolore. Opere come “La Vocazione di San Matteo” (1599-1600) o “La Morte della Vergine” (1604-1606) rompono con l’iconografia tradizionale: i santi non sono più figure idealizzate, ma uomini comuni, raffigurati con le rughe, le mani sporche, i piedi scalzi. Il chiaroscuro accentuato, con fasci di luce che squarciano l’ombra, non è solo un espediente tecnico, ma un modo per suggerire la presenza divina nel quotidiano. In Caravaggio, la grazia di Dio si manifesta tra gli ultimi, tra gli emarginati, tra i corpi segnati dalla fatica della vita.

Giudizio di Paride, dipinto da Peter Paul Rubens intorno al 1638.

***Peter Paul Rubens, con il suo stile dinamico e vibrante, celebra la forza e la vitalità del corpo umano, sia nelle scene mitologiche sia in quelle religiose. Opere come “Il Giudizio di Paride” (1636) e “L’Adorazione dei Magi” (1624) esaltano la fisicità e la ricchezza cromatica, con figure monumentali, muscoli tesi, vesti opulente e un uso magistrale del colore. Nelle sue Madonne e nei suoi santi, la divinità non è mai distante o astratta, ma terrena, sensuale, piena di energia. La sua arte è un inno alla bellezza della carne e alla grandiosità del mondo creato, in cui il sacro si manifesta attraverso la vitalità stessa del corpo umano.

Con Bernini, Caravaggio e Rubens, l’arte barocca raggiunge il suo apice espressivo, trasformando la religione in spettacolo e il corpo in simbolo di potenza spirituale. Non c’è più separazione tra cielo e terra, tra fede e passione: tutto diventa una rappresentazione teatrale del divino.

A questo punto, una domanda sorge spontanea: è ancora possibile distinguere il sacro dal profano, quando la bellezza è così potente?

Se il Medioevo separava rigidamente il divino dall’umano, il Rinascimento e il Barocco li fanno dialogare, avvicinandoli sempre di più. L’arte non è più solo un mezzo per glorificare Dio, ma anche per celebrare l’uomo, la sua intelligenza, le sue passioni e le sue contraddizioni.

Il sacro e il profano non sono più due mondi distinti: sono due aspetti della stessa realtà, due strade che portano alla stessa ricerca dell’assoluto.

Arte sacra e arte profana oggi: eredità, trasformazioni e nuove direzioni

L’arte sacra e l’arte profana hanno attraversato secoli di storia, evolvendosi e contaminandosi a vicenda. Se nel passato il confine tra queste due dimensioni era più netto, oggi la distinzione appare sempre più sfumata. Il mondo contemporaneo ha trasformato il concetto stesso di sacro e profano, ridefinendo i linguaggi dell’arte e il loro rapporto con la società.

Oggi l’arte sacra continua a esistere, ma il suo ruolo è profondamente cambiato. Se un tempo le grandi committenze ecclesiastiche determinavano le tendenze artistiche, oggi la produzione di opere religiose è più frammentata e meno influente rispetto al passato. Le cattedrali gotiche e gli affreschi rinascimentali rimangono patrimoni culturali, ma la creazione di nuove opere sacre si confronta con un mondo secolarizzato e con nuove sensibilità artistiche.

L’architettura religiosa è uno degli ambiti in cui l’arte sacra contemporanea ha trovato maggiore espressione. Le chiese moderne, come la Sagrada Familia di Antoni Gaudí o la Chiesa della Luce di Tadao Ando, sperimentano con materiali, geometrie e giochi di luce per evocare il senso del divino senza ricorrere ai tradizionali apparati iconografici.

Anish Kapoor ritorno dalla spiaggia
Mark Rothko

Anche nel campo della pittura e della scultura, alcuni artisti continuano a confrontarsi con il sacro, spesso con approcci innovativi o provocatori. Mark Rothko, con le sue grandi tele monocrome, ha cercato di evocare un’esperienza quasi mistica attraverso il colore e la luce. Anish Kapoor , con leteamLab ,

Tuttavia, l’arte sacra contemporanea si scontra con un mondo sempre più laico. Se in passato il sacro era una componente centrale della cultura visiva, oggi la sua influenza è più limitata e spesso confinata all’interno di contesti liturgici o accademici.

Il corpo umano, che nel Rinascimento era esaltato come riflesso del divino, oggi è spesso rappresentato in chiave più concettuale o provocatoria. L’iperrealismo di Ron Mueck, con le sue sculture che mostrano il corpo in modo estremamente dettagliato e a volte inquietante, riflette una sensibilità diversa rispetto alla bellezza classica. Marina Abramović .

Ron Mueck, Mass, 2017, veduta della mostra alla Triennale di Milano. Photo credit: Gautier Deblonde
Christo e Jeanne-Claude, Il Reichstag impacchettato (1971-1995)

Anche il paesaggio e la natura, soggetti tradizionali dell’arte profana, sono stati reinterpretati nell’era contemporanea. L’arte ambientale di Christo e Jeanne-Claude, le installazioni di Olafur Eliasson o il land art di Andy Goldsworthy ridefiniscono il rapporto tra uomo, natura e spazio, creando opere effimere che interagiscono con il mondo naturale.

Il confine tra sacro e profano: esiste ancora?

James Turrell – Credits: meer Arte

Nel XXI secolo, la distinzione tra arte sacra e arte profana è più sfumata che mai. Molte opere contemporanee sfidano questa dicotomia, esplorando il sacro al di fuori dei contesti religiosi tradizionali e reinterpretando il profano in chiave quasi spirituale.

L’arte digitale e immersiva ha aperto nuove possibilità per la rappresentazione del sacro. Le installazioni luminose di James Turrell, i mandala digitali di Refik Anadol, le esperienze visive di team Lab creano ambienti in cui il visitatore può vivere un’esperienza trascendente, simile a quella delle cattedrali gotiche o delle icone bizantine.

D’altro canto, l’arte profana ha spesso assorbito temi e simboli religiosi, rielaborandoli in chiave contemporanea. Basta pensare alle reinterpretazioni moderne della Crocifissione, all’uso dell’iconografia cristiana nel cinema di registi come Pasolini o Scorsese, o all’influenza della spiritualità orientale nell’arte concettuale.

Se il sacro non è più legato esclusivamente alla religione, e il profano non è più solo la rappresentazione della vita quotidiana, forse oggi l’arte non è più né sacra né profana: è semplicemente arte, un mezzo per interrogarsi sul senso dell’esistenza.

Conclusione

Forse, dopo millenni, torniamo al punto di partenza. L’arte non è più solo sacra o profana, ma un linguaggio universale, capace di dare forma all’invisibile e di interrogare l’essenza dell’essere umano. E in questo percorso, la bellezza rimane il suo nucleo più profondo. Dostoevskij si chiedeva se la bellezza potesse salvare il mondo. Oggi, nell’epoca della velocità, della frammentazione e della crisi dei valori, questa domanda è più attuale che mai.
La bellezza non è solo armonia, né semplice estetica: è la capacità di elevare lo sguardo, di trasformare la percezione, di suggerire un senso. Non impedirà il dolore, non fermerà i conflitti, ma può ancora cambiare il nostro modo di vedere, di sentire, di comprendere.
E forse, se l’arte può ancora trasformare anche solo uno sguardo, allora sì, la bellezza può davvero salvarci.

 

Riccardo Alberto Quattrini

 

 

 

 

Approfondimenti del Blog

«DI CHE RAZZA È DIO STORIA DELLE RELIGIONI MONOTEISTE- PRIMA PARTE»

(1)

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia essenziale

  • Gombrich, E. H. – La storia dell’arte
  • Hauser, A. – Storia sociale dell’arte
  • Chastel, A. – Arte e Umanità a Firenze
  • Battisti, E. – Rinascimento e Barocco
  • Belting, H. – Il culto delle immagini

 

 

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