Tra censure, riarmi e illusioni mediatiche, la realtà supera la satira e ci ingabbia senza che ce ne accorgiamo.
QUATTRO PASSI NEL DELIRIO: PESCI D’APRILE SUPERATI DALLA REALTÀ
Il Simplicissimus
In un mondo dove l’assurdo si è fatto sistema e la menzogna si è istituzionalizzata, non servono più scherzi: la realtà li ha già superati. Dall’esclusione della Le Pen alle tragicomiche ambizioni del riarmo europeo, passando per una narrazione pubblica manipolata da veri e propri carcerieri mentali, ci muoviamo dentro un’enorme scenografia ideologica. I trompe l’oeil del discorso dominante trasformano l’irreale in quotidiano, mentre ci abituiamo a vivere in un campo di rieducazione dolce, dove il pensiero critico è bandito e la percezione viene guidata a colpi di megafono. Il delirio non è in arrivo: ci siamo già dentro, e non ce ne accorgiamo nemmeno. (f.d.b.)
Basterebbe fare una piccola panoramica di fatti e di eventi, oltre a quelli clamorosi citati nel post di ieri che riguardano l’esclusione della Le Pen dalle elezioni o i disastri del cosiddetto riarmo europeo, per rendersi conto che siamo nel pieno di un delirio, ma che non ce ne accorgiamo perché i nostri carcerieri mentali fanno in modo che tutto sembri normale e così i trompe l’oeil, che affollano il paesaggio del discorso pubblico, appaiono come realtà. Ma appena ci si discosta da questo enorme campo di rieducazione di Pol Pot con i megafoni che ci dicono cosa dobbiamo vedere e cosa dobbiamo pensare, tutto appare nella sua disperante, ma anche ridicola follia. Tanto che ormai è quasi impossibile distinguere la realtà dall’immaginazione, lo scherzo dal vero, la battuta da un evento fattuale. Ieri, per esempio, in occasione del primo aprile, un gruppo di burloni ha fatto uscire un presunto annuncio della Free Speech Union, secondo cui questa organizzazione, volta a sostenere la libertà di parola, avrebbe abbandonato la piattaforma X. Ma lo ha fatto prendendo a prestito le dichiarazioni di chi a suo tempo ha abbandonato (o ha soltanto detto di farlo) il social per l’assenza di censura.
“I recenti sviluppi sulla piattaforma chiariscono che X non è più in linea con i nostri valori. Per diversi mesi, siamo stati profondamente turbati dal miasma di “bianchezza” che ha avvolto la piattaforma, aumentando drasticamente il volume di commenti senza freni, satira non autorizzata e, cosa più angosciante, persone in disaccordo con noi. Questa tendenza verso la cosiddetta “diversità di punti di vista” è stata tollerata, perfino incoraggiata, dalla dirigenza della piattaforma, la quale sembra credere che la “libertà di parola” includa opinioni che riteniamo irritanti. A partire dalla mezzanotte del 1° aprile, ci trasferiremo perciò su una piattaforma più in linea con il nostro principio fondamentale di postare solo in una camera di risonanza, insieme ad altri membri chiusi delle classi professionali metropolitane che considerano la “ripetizione costante del dogma” come sinonimo di “dialogo pubblico”. Pertanto, presto potrete trovarci su BlueSky.”
Si direbbe una perfetta interpretazione della psicologia del globalista insoddisfatto o del progressista che non tollera opinioni diverse dalle proprie, specie quando si trova in grande difficoltà ad argomentarle e chiede o si aspetta soltanto assenso. Forse non è un caso che la gran parte degli esuli di X adesso esprima un fanatismo bellico infame e ridicolo assieme. Ma andiamo ad un altro pesce d’aprile, ancorché il fatto si riferisca all’estate scorsa: è assolutamente vero, ma ha tutte le stigmate di una burla come sempre più spesso accade. Il portavoce del partito spagnolo Vox, José Antonio Fúster, ha letto pubblicamente i primi 50 nomi di una lista di arrestati durante una notte a Barcellona ed è stato denunciato per crimine d’odio dai mossos d’esquadra, vale a dire dalla polizia catalana. Il fatto è che i primi 50 nomi erano tutti di origine mussulmana. Ora notate la finezza: chi ha fatto gli arresti, denuncia per crimine d’odio chi li ha rivelati. Insomma, è come se in un campo di concentramento le guardie denunciassero chi rivela cosa accade.
Secondo una sorta di vangelo “progressista”, ma ci sarebbe da mettere molte virgolette a questa definizione, non si può rivelare (ciò accade anche in Gran Bretagna, vedere per esempio le bande di violentatori pakistani) che gran parte degli arresti riguarda l’area di immigrazione, clandestina e non, perché questo potrebbe creare risentimento nei confronti dell’immigrazione selvaggia. In realtà si tratta di un fenomeno scontato: secondo tutte le teorie sociologiche e anche quelle di derivazione marxista, il disagio sociale, la povertà, la precarietà, lo sradicamento, l’alienazione, creano maggiore delinquenza. E dunque ciò che realmente si teme è un rigetto verso decisori politici che favoriscono l’immigrazione al di là delle possibilità di un’economia e di una società di assorbirla. Cosa che non ha niente a che vedere con le petizioni di principio astratte con le quali tutto questo viene giustificato come buono e giusto, salvo cambiare idea quando si incappa personalmente nella realtà. È solo un aspetto della infantilizzazione politica cui siamo sottoposti e che sono poi i ceti popolari a pagare.
Si è arrivati al punto che in Gran Bretagna, da sempre dominata dalla finanza e dunque all’avanguardia del globalismo, il Sentencing Council ha deciso di rendere obbligatorie regole processuali che riducono le pene detentive, ma solo per gli appartenenti a minoranze etniche. Il che fa il paio con le promesse laburiste di dimezzare la violenza contro donne e ragazze (pakistani a parte, che quelli non si toccano per motivi non solo legati alla santificazione dell’immigrazione, ma anche ai vizietti dell’alta società britannica) che si dovrebbe realizzare con mezzi ingenui e utopici, come per esempio la presenza di “specialisti di abusi domestici” (esperti picchiatori di mogli, forse?) all’interno delle sale di controllo del pronto intervento. In pratica una presa in giro.
Tutto questo semplicemente testimonia del collasso culturale cui stiamo andando incontro in cui i cosiddetti crimini d’odio vengono sfruttati per imporre censure e discriminazioni. Sono insomma un’espressione di odio verso la realtà.

