Il primo caffè del mattino. Rito fondamentale del risveglio. Bevanda di vita…

QUEL CAFFÈ…

Peppino De Filippo e Totò ne La banda degli onesti

Mi sveglio. Non è ancora l’Aurora. L’aria si sta facendo fresca. Non fredda ancora. Ma, dalla terrazza, si sente un profumo di… autunno. Non meglio definibile. Solo autunno.

Ho voglia di un caffè.

Il primo caffè del mattino. Rito fondamentale del risveglio. Bevanda di vita, oserei dire. Senza della quale non si carbura. Non si riesce ad iniziare la giornata.

Era davvero un rituale la preparazione del caffè. Peppino de Filippo ne ha fatto un monologo straordinario. Un vero pezzo attoriale.

Dosare la polvere di caffè nella napoletana – i puristi amavano macinare i chicchi sul momento, per meglio gustarne l’aroma – dosare anche l’acqua, sciogliendovi un unico cristallo di sale grosso. Comprimere il caffè, senza esagerare, più molle sul fondo, più marcato in superficie, praticandovi tre piccoli fori con uno stuzzicadenti, per farlo respirare. Avvitare stretta la caffettiera. E porla sul fuoco. A fiamma vivace, ma non eccessiva. Quando comincia a fischiare, togliere dal fornello. Rovesciare, se è la Napoletana, alzare il coperchio se è la moka. Attendere qualche minuto. E versare. Nella tazzina.

Qui, poi, due sono le scuole di pensiero. Dolce o amaro? La tradizione mediterranea lo vuole zuccherato. Tanto più zuccherato quanto più è forte. Intenso. Non a caso, un detto delle donne arabe dice che gli uomini devono essere come il caffè: forte, dolce e caldissimo.

Io, però, propendo per l’amaro. O meglio senza aggiunta di zucchero. Ché altri dolcificanti dietetici manco li prendo in considerazione. E col miele non è più caffè. È un dolce in versione liquida. Buono, ma non caffè.

Comunque, il caffè, anche senza zucchero, non è mai amaro. Anzi, senza aggiunta, ne puoi apprezzare appieno il retrogusto, che è, di natura, più o meno dolce, a seconda della qualità. L’Arabica più aromatica e intensa. Le qualità sudamericane, brasiliane, rustiche, ruvide. Dolcigne.

Quindi, in generale non metto zucchero. E bevo il caffè puro. Con un’eccezione. Quando riesco ad andare in una delle più antiche caffetterie di Roma. Dove viene preparato con un procedimento quasi alchemico. Che prevede la formazione di una vera e propria crema emulsionando lo zucchero. E servendo una tazzina divenuta spumosa. Una assoluta delizia.

La caffetteria. La bottega del caffè. Goldoni ne ha tracciato un ritratto inimitabile. Luogo di ritrovo, di conversazione. Perché il ‘700 era il secolo della civile conversazione, come scrisse Leopardi. E il secolo in cui si diffusero le caffetterie. A partire proprio da Venezia, che precedette Parigi, e tutte le altre, grandi, capitali europee. Davanti ad un complesso di bricchi – il caffè veniva, sempre, miscelato, con il cioccolato o con il latte – sorseggiando da tazze di ceramica, si parlava di tutto. Filosofia e scienza, letteratura. Politica. L’ Illuminismo nacque, in buona parte, nelle caffetterie. E la rivista milanese di Pietro Verri, “Il caffè”, sta lì a certificarlo. E si tagliavano tabarri, anche. Ovvero ci si divertiva a tessere pettegolezzi. Come il don Marzio della commedia goldoniana.

Il caffè è legato indissolubilmente al Mediterraneo. È uno degli aromi, insieme a quello di agrumi e al sapore del vino, che lega fra loro le due sponde del nostro mare. Certo, si beve anche altrove. Ma se avete provato il cosiddetto caffè americano, o la Idee Caffè tedesco… beh, avrete certo compreso che definirlo caffè è, appunto, solo una vaga… idea. Non che sia imbevibile. È solo altra cosa. Punto.

Ma se andate, ad esempio, in Turchia, e vi servono il loro caffè con i fondi che si depositano, forte ed aromatico, sempre accompagnato da quei particolari dolcetti melassosi, allora, pur nella diversità, vi riconoscete. Siete a casa. O per lo meno io mi sento così…

L’Aurora comincia ad affacciarsi da Oriente. Il profilo dei Colli Tiburtini esce dalle tenebre ed assume sfumature cobalto.

Bevo il primo caffè della giornata, e, inevitabilmente, accendo una sigaretta. Non dovrei farlo, lo so. E neppure scriverlo. Politicamente scorretto. Ma è una sensazione di piacere, evanescente e densa. Un profumo. Un aroma.

Respiro a pieni polmoni.

Strano… la lieve brezza ha un sentore di mare…

Andrea Marcigliano

 

 

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Libri Citati

 

 

  • La bottega del caffè Condividi
  • di Carlo Goldoni (Autore)
  • BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 1984

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Descrizione

Con la propensione all’ascolto, originariamente determinata da un difetto visivo, don Marzio è il prototipo di quei frequentatori di caffè che sanno di questo e di quello, che raccolgono notizie dalla voce degli altri e dalle gazzette per farsene portavoce, senza la cura di controllarle e di verificarne la fondatezza, mescolando verità e invenzione. Nella bottega del caffè si nasconde una vena scientifico-filosofica caratteristica del diciottesimo secolo e non manca quel doppio livello di lettura, quell’aspetto metateatrale che più volte si ritrova nel Goldoni.

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