Dove sono finiti gli eroi letterari immortali?
QUEL DON CHISCIOTTE
Andrea Marcigliano
La letteratura contemporanea ha perso il suo Don Chisciotte? La crisi delle grandi figure mitiche nella narrativa di oggi
Vi è, nella grande letteratura europea dei secoli passati, una figura che, spesso, mi torna in mente. E mi tormenta. E dico dei secoli che furono, per una, ben precisa, ragione. La letteratura contemporanea sembra, per lo meno a me, incapace, anzi inetta a creare figure/mito. Esemplari, capaci di vivere, di avere vita propria intendo, al di là dell’autore che, per primo, le concepì. O, se vogliamo dar credito al Manzoni, le “inventò”. Laddove inventare va inteso nel senso, latino, di “invenire”. Trovare, scoprire… perché certe figure della letteratura passata preesistono all’opera e allo scrittore, o poeta, che per primo diede loro parole. E le rese…visibili.
Oggi – e qui mi scuso, ma voglio chiudere questa, lunga, premessa – gli scrittori non sono capaci di andare oltre se stessi. Di divenire veicoli attraverso cui queste grandi figure possano rivelarsi.
Prendete, ad esempio, “Il giovane Holden”.
Bel romanzo, certo. Ma Holden è l’autore. Salinger. Non costituisce alcun paradigma. Resta, alla fine, chiuso ed esaurito in se stesso.
Non è così, invece, per Faust. Tant’è che, dopo Goethe, si sono cimentati con la sua figura molti altri, da Mann a Pessoa. E non è così per Don Chisciotte.
Già, perché il personaggio di Cervantes ha continuato, e continua, a inquietare, tormentare non tanto i suoi lettori, quanto gli uomini, pochi o tanti (temo sempre di meno), che si pongono ancora qualche domanda sul senso della vita.
E il capolavoro di Unamuno, la sua, personalissima, rivisitazione de La vida di Don Chisciotte,(2) ne è, soltanto, l’esempio più palese. Perché vi è, vi sarebbe molto altro. Talvolta esplicito. Più spesso celato sotto apparenza d’altri nomi ed altri personaggi.
Qui, però, non ho l’ambizione di fare una qualche cronistoria del personaggio letterario. Soltanto di parlare, o se volete divagare, di come Don Chisciotte torni ad affacciarsi nella mia vita. Periodicamente e con crescente insistenza. E, per altro, credo di non essere un caso isolato.
Don Chisciotte è, come molti sanno, il mite Don Alfonso Quijiano. Uno stagionato hidalgo di campagna che ha consumato anni e buon senso leggendo, rileggendo e rileggendo ancora dei miti e delle tradizioni dei cavalieri. Cavalieri probabilmente mai esistiti. Invenzioni dell’Ariosto e del Tasso (Bernardo però, il padre di Torquato), fantasie, sogni letterari…
Che, tuttavia, per il nostro mite, e probabilmente miope, hidalgo sono divenuti incredibilmente reali. Più reali della realtà corrente. Anche perché non sono, come questa, pervasi di squallore e meschinità.
E, allora, con una vecchia padella in testa, un’armatura abborracciata, un vero ronzino per destriero, balza fuori Don Chisciotte. E si slancia per la Mancia, e per il Mondo, a cercare nobili imprese. Mulini a vento che divengono giganti centimani. Povere prostitute che divengono nobili, e vergini, damigelle. Un oste avvinazzato che si trasforma nel Signore del Castello… e questo è solo un assaggio.
Eppure, Don Chisciotte, nel suo solitario delirio, ha il potere di trasformare la realtà. Un potere magico, assoluto. Che lascia allibito il povero Sancio Panza, che rappresenta, invece, il senso, e la percezione, comune.
Certo, Don Chisciotte è pazzo. Ma nella sua follia vi è qualcosa di…maestoso. una grandezza che stupisce, dietro ai ferri vecchi del suo armamento, ai cialtroni che incontra, al grottesco che sembra dominare ogni sua vicenda…
È pazzo. Ma quella follia, forse, ha un suo metodo. Un rigore profondo. Ed apre ad una diversa percezione delle cose e del mondo.
Poi, quando muore, sembra che tutto si spenga. Come un’ultima luce in una notte di nebbia.

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«Nella penombra di un jazz club, tra lettere mai firmate e sogni di un volto nuovo, Cyrano scopre che il vero cambiamento non è nella pelle, ma nelle parole che finalmente decide di pronunciare.»