Attori hollywoodiano dichiarano guerra alla censura Woke
QUELL’ALTRA AMERICA
Mel Gibson(1) fonda una nuova casa di produzione, con lo scopo, dichiarato, di fare film esenti dalla censura woke che domina ad Hollywood. E subito Pierce Brosnan corre a sostenerlo.
Kevin Costner produce, in quattro puntate, una grande saga Western, Horizon. A sue spese, ipotecandosi anche le ville, perché non trova finanziatori. E subito si scatena la bagarre. Ancora prima che il ciclo sia completato, e distribuito.
Razzista, maschilista, f….sta.
Ma lui se ne frega, e tira innanzi.

E, poi, non poteva mancare lui. L’Ispettore Callaghan. L’uomo dalla cravatta di cuoio. Il, grande, Clint Eastwood. Invecchiato, ma non per questo domo. Annuncia, pubblicamente la restituzione dei suoi Oscar – ben cinque, due per la regia, tre per il miglior film – all’Academy. Motivazione: non vuole più aver nulla a che spartire con la “fogna” woke.(2)
Io non sono un cinefilo, né tantomeno un critico cinematografico. Ma Hollywood non è solo la più grande industria cinematografica del mondo. È il cuore del Soft Power americano. Il massimo strumento di propaganda di modelli sociali e culturali diffusi a livello globale.
Ed è, anche, il termometro delle febbri che attraversano l’America.
Per questo tali segnali di rivolta mi interessano.
Hollywood, la fabbrica dei sogni, in questi ultimi anni, un decennio o poco più, ci ha propinato una versione woke della società e della cultura americana.
Attraverso l’imposizione sistematica del politically correct. Dell’ideologia LGBT.
Che ha portato, e continua a portare, alla mistificazione della storia. E della tradizione culturale. La Disney diventata propugnatrice dell’ideologia LGBT. Il vecchio Walt si starà rigirando vorticosamente nella tomba. Lui che era un sostenitore acceso dell’America bianca. Tradizionale. Con sospette simpatie addirittura per Hitler.
E, poi, Netflix. Nuova Bibbia del politically correct. Achille dalla bionda chioma? Nero. Giulietta, la pallida Giulietta di Shakespeare? Nera, e con marcati caratteri afro.
E Biancaneve? E Cappuccetto Rosso?? Fiabe antiche. Antichissime, che affondano le radici nei misteri della preistoria. Ora rilette, obbligatoriamente, in chiave femminista. Alla luce del trionfo ideologico di quella che Harold Bloom – il massimo studioso di Shakespeare – era solito definire la “Conventicola del rancore”.
Questa è l’ideologia che ci viene propugnata dall’America. E che i nostri zeloti sostengono con servile zelo.
Ma tutto questo non è l’America. È la dottrina di una minoranza, autoproclamatasi élite, prepotente e potente. Conventicole autoreferenziali, sostanzialmente apolidi, che pretendono di imporre le loro, diciamo così, “predilezioni” come nuova normalità. Che disprezzano i popoli, le culture. Le tradizioni. Privi di radici, che mirano a sradicare l’Albero del Mondo.

Che impongono la tirannide delle idee. E scatenano guerre, pandemie… i Quattro Cavalieri. Perché odiano gli uomini, in nome di un “transumanesimo” che ben poco ha di umano.
Ma quella, come dicevo, non è l’America.
La vera America è tutt’altra cosa. E la si ritrova nel suo ventre profondo. Nel Mid West come nella Belt Sun. Non nei salotti di Manhattan o negli antri di Wall Street.
Anche, questa, certo, è per molti versi diversa da noi. E non priva di difetti.
Ma è un mondo oppresso, come il nostro. Schiacciato e ridotto a lungo al silenzio.
E se Hollywood rappresenta, come dicevo, una sorta di psicodramma, il teatro nel quale le diverse anime di quel mondo così complesso si misurano e scontrano… allora questa “rivolta” di ormai vecchie, ma indomite, “glorie”, ci dice una cosa.
Che non tutto è perduto.

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