Abbassa la cresta, Uomo
QUELL’INSIGNIFICANTE 0,01% CHE SI CONSIDERA
IL PADRONE DELL’UNIVERSO
di Marcello Veneziani
Abbassa la cresta, Uomo. Non solo sei un puntino disperso in una briciola trascurabile dell’Universo denominata Terra. Ma anche sulla terra, tra i viventi, oltre a essere un parvenu, sei solo un infinitesimo esemplare rispetto a tutti gli esseri viventi. Se la democrazia fosse estesa a tutto il pianeta, l’umanità sarebbe una trascurabile ultraminoranza rispetto al mondo delle piante: noi umani siamo sulla terra appena lo 0,01 per cento degli esseri viventi, mentre le piante sono l’87 per cento. I funghi, da soli, ci surclassano, sono assai più numerosi di noi umani; a essere giusti non dovrebbero essere gli uomini ad andare a funghi, ma i funghi ad andare a uomini, cogliendo quelli non velenosi. Gli animali sono già più numerosi di noi, gli insetti non ne parliamo; ma anche loro rispetto alle piante sono veramente una sparuta minoranza sulla terra.
Partendo da queste considerazioni, un famoso e assai seguito studioso delle piante, Stefano Mancuso, critica la pretesa di definire l’uomo misura di tutte le cose. Ma che unità di misura siamo, il millimetro?, visto che apparteniamo a una ridicola ultraminoranza. Vero è che il filosofo sofista Protagora aggiungeva che siamo misura di tutte le cose che sono in quanto sono e di quelle che non sono per ciò che non sono; dunque stabiliva una cernita intelligente che difficilmente un fungo o una foglia sarebbero in grado di fare. Ma agli occhi dei botanici integralisti l’antropocentrismo è la pretesa arrogante di essere al centro dell’universo mentre siamo solo una virgola nell’immenso libro del creato.
“Fragilità ecologica: A differenza delle piante, che hanno prosperato per centinaia di milioni di anni adattandosi a cambiamenti climatici estremi, la nostra specie esiste da circa 300.000 anni e dipende in modo critico dagli ecosistemi che sta distruggendo.
Anche il nostro modello di organizzazione, piramidale, gerarchico, rispondente a una pretesa razionalità, è uno spocchioso, fallimentare schemino di gran lunga inferiore rispetto ai sistemi organizzativi delle piante. Spesso siamo inconsapevoli imitatori dei sistemi vegetali; per esempio internet, sostiene Mancuso, somiglia a una rete vegetale più che a un modello antropocentrico. Le piante hanno un sistema organizzativo molto più resistente, efficace, innovativo, rivoluzionario rispetto a noi obsoleti tromboni umanocentrici. «È sempre più riconosciuto – scrive A. Bertrand – che le piante sono organismi sensibili che percepiscono, valorizzano, imparano, ricordano, risolvono problemi, prendono decisioni e comunicano». Insomma non avranno nervi né cervello, non sanno cosa sia l’intelligenza di tipo umano, ma il loro sistema organizzativo è ben più evoluto, oltre che naturalmente ecosostenibile, del “nostro”. Con una capacità di adattamento che noi uomini e bestie ce la sogniamo.
Da qui l’idea, all’apparenza bislacca, di battersi per i diritti delle piante e di riconoscere dignità alle piante. Già l’età dei diritti umani fu superata con l’estensione dei diritti agli animali. Ora è maturo il tempo di riconoscere i diritti del regno vegetale. A quando l’allargamento dei diritti al regno minerale? Sarebbe una “pietra miliare” per una nuova civiltà giuridica che parifica uomini, bestie, piante e sassi e riconosce pari dignità alle persone come alle foglie e alle rocce.
Mancuso cerca il consenso degli stessi umani, rilevando che noi dobbiamo la nostra vita alle piante, grazie all’ossigeno, al cibo e alle fibre biodegradabili di cui ci riforniscono. Quindi passare dalla parte delle piante non è un modo per piantare l’uomo ma fa anche l’interesse degli stessi uomini che vivono grazie alle piante.
Nella sua esagerazione l’apologia botanica ha tuttavia qualcosa di buono e perfino di utile: genera una maggiore sensibilità nei confronti del pianeta, dell’aria, dell’ambiente, del verde e dunque una conseguente attenzione nei confronti del loro e del nostro eco-sistema.
Ma come sappiamo, tutta questa campagna in favore delle piante si inserisce nel nuovo spirito apocalittico della nostra epoca, che partendo dallo sconvolgimento climatico e dall’alterazione dell’ambiente, attribuito all’inquinamento prodotto dall’uomo e allo sviluppo industriale, consumistico e moderno, si spinge a considerare l’uomo il nemico principale del pianeta. E dunque la priorità, l’emergenza è salvare il pianeta dall’uomo, che è l’agente distruttore. L’utopia dei “plantocrati” è che il pianeta può salvarsi solo se l’uomo viene neutralizzato, disarmato, reso innocuo e subalterno. È possibile sognare un mondo migliore disabitato dagli uomini, salvato dalla nefasta presenza umana? Ma soprattutto è possibile per noi uomini ragionare a scapito dell’umanità? Siamo uomini, non teste di rapa…
Dal nostro piccolo, piccolissimo punto di vista umano non riusciamo a non considerare prioritaria la vita e l’intelligenza umane. “Homo sum nihil a me alienum puto”, diceva Publio Terenzio Afro, ossia “Sono un essere umano, e niente di ciò ch’è umano reputo estraneo a me”. La commedia di Terenzio s’intitolava non a caso Heautontimorùmenos ovvero Il punitore di sé stesso. E l’idea che l’uomo debba mettersi nei panni delle piante, ragionare e organizzarsi come loro, prendendo a modello il regno vegetale, tanto da rinunciare al punto di vista antropocentrico, è autopunitiva, autodistruttiva, e in definitiva antiumana.
Chiedeteci di piantare più alberi in città, di rispettare le piante, amarle e studiarle, come ci insegnavano Goethe e Jünger, e da noi Ulisse Aldovrandi e Federico Cesi; ma non chiedeteci di piantare l’umanità e la sua intelligenza per mimetizzarci da vegetali. L’umanità con la sua intelligenza è schiacciata tra l’incudine dell’intelligenza artificiale e il martello dell’intelligenza vegetale. Pover’uomo, soffocato nella morsa tra la pianta e il robot.